Yangtze

Si fuggì dal fiume inquinato perché era inutile restare, nessuno comprava più il nostro pesce malato che, perlopiù, veniva trascinato via dalla corrente già morto.

Avevamo faticato non poco anni prima per costruire le nostre case, una a una, mattone su mattone fino a farne un piccolo villaggio e poi, nulla più.  Eravamo rimasti l’ultimo baluardo a resistere contro il richiamo della città, ma adesso anche noi raccoglievamo i nostri stracci per andarci.

Ricordo che mentre mi rassegnavo a partire sconfitto, guardai un’ultima volta indietro per fotografarmi nella memoria quel mio piccolo villaggio triste e maleodorante.

Da allora, solo oggi ho avuto il coraggio di tornare sugli antichi passi in cerca della mia vecchia casa, e questo viaggio è stato ben ripagato: la natura si è ripresa tutto ciò che le avevamo tolto, foglia su foglia tessendo la sua tela verde per nascondere il nostro antico passaggio.

Oggi, fermo sulla riva dello Yangtze non sento più quel terribile puzzo di morte, né vedo pesci scorrere senza vita sulle sue acque. Saranno i miei occhi a celarli al debole mio cuore? Forse. Sono vecchio, ormai, sto per lasciare questa fertile terra, muoio felice però, nel vedere che la natura ha riportato a nuova vita ogni cosa, nel suo costante e inarrestabile cammino.

di Vespina Fortuna

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