Una relazione tossica
La storia di Monica e Luca sembra come tante: un colpo di fulmine, amore a prima vista, fusione immediata di due anime e corpi, felicità alle stelle.
Ma, come tutte le relazioni pericolose, anche quella di Monica e Luca è destinata a rimanere intrappolata in un circolo vizioso, dove la vittima ed il suo carnefice assurgono a protagonisti di un copione, che porta inevitabilmente alla distruzione di entrambi:
l’una soccombe al punto tale da perdere l’autostima, la fiducia in se stessa e nei propri valori, da isolarsi dalla realtà per vivere esclusivamente per il carnefice, dissociandosi inconsapevolmente dalla realtà e vivendo in una sorta di “incantesimo” che non porterà alla conquista del principe, ma alla distruzione psicologica e fisica della propria personalità;
l’altro ripete ciclicamente il processo di idealizzazione-svalutazione-abbandono della propria vittima, fino a giungere alla sua distruzione per trarre il proprio “nutrimento” narcisistico.
Ma esiste una via d’uscita dal tunnel per la vittima, e Monica, la narratrice e protagonista del racconto, lo dimostra, dando un esempio ed un incoraggiamento a tutte le persone coinvolte in questo tipo di relazioni tossiche.
La storia viene raccontata da Monica, in una sorta di riassunto autobiografico.
Premessa
“Lo scopo del mio racconto è quello di trasmettere a tutti voi che vi immedesimerete nella mia storia un messaggio: chiedete aiuto prima di sprofondare negli abissi del vampiro”.
LA STORIA
Nel Febbraio 1995, io e Luca ci conosciamo nel mio ufficio, una banca, dove lui viene fatto assumere da me, su raccomandazione di un amico in comune (che mi aveva, tra l’altro, manipolata abbastanza, ma non riuscivo a staccarmi da lui come “amico”)
Tra Aprile e Maggio 1995 ha inizio la relazione “rose e fiori”.
Sono perdutamente innamorata di lui, con il quale ho lavorato per un po’ di mesi, durante i quali si comportava da amico che dava consigli, ascoltava i miei problemi (relativi al mio ragazzo, che avrei a breve lasciato senza pensarci su due volte), mi inviava mazzi di rose rosse in ufficio quando era via con il capo per trasferte varie.
Avevo perfino stretto amicizia con sua madre, che veniva a prendermi in ufficio durante la pausa pranzo per mangiare insieme, ecc. Era molto, troppo affettuoso, al punto che mi dava anche fastidio.
I primi segnali strani sono arrivati già in occasione della prima uscita, una cena al ristorante egiziano. Quando all’invito io avevo risposto che non sapevo se potevo, in quanto dovevo sentire il mio ragazzo (che ancora non avevo lasciato). Lui si era infastidito parecchio e mi aveva fatto una scenata.
Alla fine ho accettato l’invito, pur se avevo notato quello strano comportamento.
Poi, altri segnali sono stati quando, dopo qualche tempo, siamo andati a Berlino in macchina con un suo amico, al quale avevo offerto dei biscotti porgendogli la scatola e riprendendomela subito dopo, dato che stava guidando.
A quel gesto lui è esploso e ha detto: “Ma che fai, gliela togli da sotto il naso?” tutto scocciato ed adirato. Io mi sono chiusa nel mutismo per tutto il viaggio, nonostante con il suo amico avessi confidenza.
Arrivati a Parigi i segnali si sono amplificati; mi trattava male davanti ai suoi amici, non voleva dormire con me, mi riprendeva su tutto quello che dicevo e facevo, ed io non facevo altro che piangere.
Nonostante ciò, ho continuato a stare con lui.
Altri segnali evidenti li ebbi quando abbiamo passato la vigilia di Natale con i suoi colleghi; non mi filava e faceva il figo con le altre ragazze. Addirittura, non si era degnato nemmeno di salutarmi, dato che il giorno dopo sarei partita per le vacanze natalizie a Napoli, dai miei.
E poi, ancora tanti altri, come quando mi prendeva in giro e si vergognava del modo in cui parlavo, facendo notare che il mio accento era terrone (io sono di Napoli, lui di Milano). Non si è mai risparmiato di farlo notare davanti a nessuno e ha sempre sostenuto (come suo padre, di cui è la copia) che “bisogna tagliare l’Italia in due, esattamente da sotto il Po”.
In occasione del viaggio in Canada (estate 1996), poi, si è rivelato molto curioso di sapere il mio passato, in modo particolare gli interessava la storia con il nostro amico in comune (che ho citato prima), il quale, poi, gli dirà che ero molto appiccicosa e che stavo con un altro pur uscendo con lui.
Nel viaggio successivo in India, invece, era scocciato perché gli dicevo sempre si e mentiva clamorosamente quando gli chiedevo un parere (tipo quando ero andata dal parrucchiere, dal quale ero stata conciata in maniera oscena, ma lui sosteneva che ero bellissima addirittura…).
Per non parlare di altri tanti segnali premonitori, che mi facevano soffrire, ma che non consideravo abbastanza, anzi, affatto.
Il più importante tra questi, riguarda l’isolamento dalla mia famiglia e dai miei amici.
A poco a poco, con il procedere della relazione, il distacco dalla mia famiglia diventava sempre più evidente. All’inizio, era lui che non voleva frequentare i miei, adducendo ogni scusa pur di non venire a Natale o a Pasqua (le uniche ricorrenze in cui, prima di avere la bambina, andavo giù a trovarli) oppure d’estate, quando gli proponevo di andare.
La scusa generalmente era il lavoro. Così, finiva che andavo da sola, sopportando il bombardamento di domande e commenti/critiche dei miei, di parenti e amici, in merito alla sua assenza.
Io lo giustificavo sempre, ribadendo che lui era impegnato e che, comunque, mi telefonava tutti i giorni e più volte al giorno. Alla fine, era una sofferenza star giù, anche perché lui chiedeva tutte le volte: “Quando torni da me?”, diventava un tormento star lì in attesa del giorno della partenza.
In tal modo, il rapporto con i miei si è incrinato sempre di più, fino a sfociare in una vera litigata quando è nata Celeste.
Lui non voleva che loro venissero a stare con me durante la gravidanza, pertanto, sono venuti al nord e sono stati ospitati da mia zia, con grande arrabbiatura anche di mia zia e dei suoi, che, da allora, hanno tagliato i ponti con me.
Allo stesso modo, si sono allontanati a poco a poco gli amici che, in qualche modo, mi ero fatta qui (grazie a mia figlia) ed anche quelli che ho lasciato a Napoli ed a Roma (dove ho studiato), perché non andavo mai a trovarli, nonostante gli inviti.
Così, mi sono ritrovata in completo isolamento, con l’aggravante di questo posto (piccolo paese alle porte di Milano) dove è difficile fare amicizia, e che non offre molto a chi, come me, non ha neanche la macchina e che, quindi, è costretta a star qui ed arrangiarsi per qualsiasi cosa, contando sui vari aiuti esterni.
Ma torniamo indietro, all’ agosto 1996, dopo il viaggio in Canada, dove avevo capito che Luca non era così come era sembrato.
All’improvviso, mentre eravamo a casa mia a guardare il calcio, come al solito (lui comandava anche a casa mia, andando e venendo a suo piacimento durante il weekend, quando la domenica andava a pranzare con i suoi e veniva da me o tornava nel pomeriggio), mi disse che, il giorno dopo, si sarebbe trasferito da me e che i suoi lo sapevano già.
Io non fui capace di replicare e, tacitamente, annuii. Ovviamente, il giorno dopo è arrivato con la sua roba e ha usurpato anche del mio spazio, mettendo le sue cose dove io tenevo le mie. Ma, per me, era tutto normale.
Nel marzo 1998 la banca dove lavoravo ha chiuso per fallimento, così ho perso il lavoro. Ma, in realtà, avevo cominciato a non lavorare più bene da quando Luca si era stabilito da me.
Non ero più concentrata come prima, tanto che il mio capo e sua moglie mi avevano fatto una scenata in ufficio, davanti a lui ed anche in disparte, per il fatto di averli fatti viaggiare in Economy anziché in Business, quando erano andati a Tokyo.
Non mi sarebbe mai successo se lui non fosse stato li! Ero sempre stata precisissima e mi piaceva il mio lavoro. Così mi avevano messo alle strette: o te o lui fuori. Un out-out.
E’ andato via lui, che si è mostrato molto comprensivo. Ma il rapporto con il capo non era più lo stesso, fino a quando è arrivato il fallimento e, da li, la chiusura imminente.
Tra settembre ed ottobre 1998, comincio a lavorare in vari uffici, ma ottengo sempre lo stesso risultato. In breve, poca concentrazione, tutta presa da lui che mi costringeva anche a dire bugie per uscire prima dall’ufficio o per arrivare in ritardo.
Mi ricordo quando Luca era a Parigi per lavoro per un lungo periodo e mi costringeva ad andare da lui tutti i weekend, in treno, dormendo in cuccetta, tornando sempre stravolta il lunedì mattina.
Una volta ero tornata in aereo, ma ero arrivata tardi in ufficio, a causa di un ritardo del volo.
Ero con la valigia (un borsone sportivo) e l’Amm.Delegato, che avevo incontrato in ascensore, mi chiese se andavo in palestra la sera. Dissi di si, non sapendo che, poi, in mi assenza avrebbe controllato il contenuto del borsone.
E da li una valanga di bugie, successive a sue telefonate supplichevoli in ufficio, quando, parlando come un bambino (ed anch’io, naturalmente, dovevo fare altrettanto) mi implorava di tornare a casa. Se lo contraddicevo, s’infuriava e passava ad altri toni.
Conclusione: ho perso tanti lavori perché deconcentrata e bugiarda, oltre che falsa.
Poi, comincio a lavorare in privato, in casa o presso clienti, come insegnante di inglese ed italiano per stranieri. Un bellissimo lavoro, con un vasto giro di clienti.
Lavoravo fino a tardi e, quando lui tornava a casa, si scocciava sempre perché trovava gente in casa ed io non ero ai fornelli. Non si filava nessuno e, una volta andati via tutti, non voleva saperne di parlare con me del mio lavoro o quant’altro, perché diceva che era stanco. Naturalmente, non parlava neanche del suo, come di nient’altro.
Fino al Giugno 2000, tutto è proceduto come da copione:
parlavamo in maniera infantile, lui super-affettuoso, appiccicoso, che faceva moine, gesti e carezze come i bambini, non parlava mai di sé, del suo lavoro, dei suoi interessi, ecc. Era sempre immerso nella lettura: centomila libri in tutta la casa, come centomila dischi di musica jazz e blues.
Parlavo io, invece, dicendogli anche troppo. Lui si fingeva interessato, a volte commentava in maniera assurda, per me, altre fingeva di darmi ragione.
Mi ha coinvolta nel gioco del golf, per forza di cose, perché dovevo aiutarlo a preparare un esame (infatti, l’ho aiutato a copiare) e facevamo viaggi solo nei posti dove si giocava a golf. Bellissimi posti, ma il copione era sempre quello.
Il sesso era un “dovere” della domenica dopo pranzo: se non rispondevo al suo richiamo di bambino che usava diversi vezzeggiativi (che ora usa con mia figlia!), si inalberava oppure si spazientiva.
Il tutto durava poco, anche perché io non avevo voglia e non partecipavo, ma soprattutto perché iniziavano le partite di calcio, durante le quali si osservava religioso silenzio.
Durante tanti di quei viaggi, però, ho sofferto e pianto tanto per le offese ricevute, per la sua indifferenza, la mancanza di empatia, per il suo tono sempre di disprezzo, dopo momenti di gioia (pochi, devo dire).
Durante il viaggio in Madagascar, nel giugno 2001, mi disse che ero bellissima, un giorno in spiaggia, facendo seguire questo momento da altri, a cena, in cui mi fece notare che mangiavo troppo e che costavo troppo.
A Luglio torniamo dal viaggio e scopro di essere incinta di 3 mesi e mezzo. Luca, quando gliel’ho comunicato al telefono, era senza parole.
Tornato a casa la sera, era contento, ma non abbiamo festeggiato come sarebbe stato normale, tanto più che, quel giorno, avevamo ricevuto la notizia che avevamo ottenuto l’assegnazione di un appartamento più grande dall’ente proprietario del nostro condominio.
Finito il mio tempo nasce la bambina, Celeste. La gravidanza era andata molto bene fisicamente. Stavo bene e ho lavorato con le lezioni in casa fino all’ultimo mese di gravidanza, frequentando corsi di yoga per il parto.
Il giorno della nascita, Luca ha partecipato al parto, ma mi rifiutavo di dargli la mano. Quando la bambina è nata, io ho avuto, come reazione, la febbre alta e la bambina è stata messa in incubatrice.
Luca non veniva da me per sapere come stavo, venivano invece i dottori. Lui andava dalla bambina.
Un giorno, in ospedale, l’ha sollevata come un trofeo e la teneva in quella posizione di trionfo, andando avanti e dietro per il corridoio. Lui è stato una notte in ospedale. Il giorno dopo, erano passati i dottori per il controllo.
Quando Luca è arrivato gli ho riferito che stavo bene e potevo uscire il giorno dopo, ma lui mi aveva freddata dicendo: “Veniamo a notizie più importanti: come sta la bambina?”. Sembrava che avesse un soffio al cuore, invece era tutto nella norma.
Tornati a casa, comincia l’incubo. Se la situazione era un po’ cambiata prima che fossi incinta, ora comincia la vera fase della svalutazione.
E via a critiche, ipergelosia nei confronti della bambina, imposizioni, prevaricazioni nel mio ruolo di madre, e così via. Non potevo gestire la bambina come volevo, ero sempre sotto controllo. Apparentemente, tutto era perfetto, ma già dalle foto si poteva intuire che lui fingeva.
Aveva sempre un sorriso forzato e fingeva di abbracciarmi, posandomi anaffettivamente il braccio sopra le spalle. Ed è stato sempre peggio, fino a quando ho cominciato a star male.
La depressione incalzava, anche perché non dormivo la notte. La bambina era sempre sveglia, Luca si inalberava perché non andavo a letto da lui, era geloso e faceva scenate. Addirittura, mi diceva di lasciar piangere la bambina.
Nel frattempo, si impossessava sempre più di lei, la ovattava, tenendola sotto una campana di cristallo. Non potevo farle fare niente di “infantile”, neanche portarla alle feste, se non dopo pianti e ricatti, a volte non andavamo proprio.
Intanto, io reagivo bestemmiando, strillando e prendendomela con la bambina, in assenza di lui. E più si andava avanti, più lui scambiava i ruoli tra me e mia figlia, fino a quando, cresciuta, l’ha cominciata a trattare proprio come una moglie e ha visto in lei un’alleata contro di me.
Ed allora, la svalutazione, la denigrazione, il sarcasmo, l’ironia, la cattiveria, le minacce, gli insulti, le offese, le prese in giro, insomma la violenza psicologica, economica ed affettiva sono straripate. Mi ha sempre dato meno soldi, niente più sesso da qualche anno dopo la nascita di Celeste, niente più uscite insieme, se non nelle occasioni ufficiali.
Ad agosto 2010, in montagna, cado malamente, sbattendo la schiena e la zona pelvica. Ero con mia madre e mia figlia. Da quella caduta, sono cominciate le mie indagini, grazie alle quali ho cominciato a capire che qualcosa non andava.
Ho provato tante cure, ma il risultato era sempre il solito: problema psicosomatico. Intanto peggioravo, ma lui non mostrava la minima comprensione, anzi, ne faceva oggetto di derisione.
Finalmente, nel maggio 2015, mi rivolgo ad una naturopata, la quale comincia a mettermi la pulce nelle orecchie. Mi dice che il malato era lui, non io, e che mia madre e sua madre avevano combinato dei danni. Ma non solo loro, anche i rispettivi padri.
Lei ha ripreso la mia anima per i capelli, mi ha aiutato a capire, fino a quando ho deciso di rivolgermi ad una psicologa, perché mi ero resa conto che avevo troppe cose da buttar fuori e da capire nel profondo della mia anima.
Dovevo salvare me stessa e mia figlia, così ho cominciato questo percorso psicologico che mi sta aiutando a gestire questo mostro che ho amato per 22 anni e dal quale spero di liberarmi presto. Intanto, sto imparando a non farmi provocare, semplicemente non rispondendo alle sue provocazioni.
Fino a pochi giorni fa, mi sono comportata come lui, rispondendogli a tono e disarmandolo. Ora, invece, non reagisco e, dentro di me, mi aspetto la prossima mossa.
Luca le sta provando tutte per provocarmi: squilli continui a tutto volume del cellulare, chattare vistosamente in mia presenza, tattica del silenzio su chat, sms, mail ma anche di persona, cordialità a tavola quando si parla tutti insieme, fughe dalla mattina alla sera senza dire dove va, dispetti o scherzi, ecc.
Devo precisare che, questa mia consapevolezza, é stata “risvegliata” in modo particolare dalle continue minacce che mi sono giunte ultimamente, quando mi sono sentita dire “ti faccio a pezzi se le fai male “(riferendosi a mia figlia), “ti elimino”, “ti do una lezione che ti ricorderai”, “se mi dici ancora deficiente, sarò costretto a metterti le mani addosso”, “mi fai schifo, sei la donna più brutta al mondo”, “devi vergognarti”, ecc.
Nell’ultimo periodo, sono cominciati anche i calci notturni, con la scusa che russavo, terminati, però, nel momento in cui Luca ha ascoltato la mia telefonata ai carabinieri, durante la quale avevo riferito il fatto.
Devo dire che, a parte i calci e qualche tentativo di schiaffo, da me prontamente evitato, non ci sono stati altri atti di violenza su di me, per ora. Ma non posso garantire per il futuro.
Nel frattempo, Luca, visto che le varie tattiche provate non sortivano alcun effetto, ha adottato quelle della deresponsabilizzazione, la colpevolizzazione, la proiezione e ha accentuato il gaslighting.
Ma il tutto non quando siamo soli (che prova a provocarmi, ma non ottiene altro che risposte secche o mutismo ed indifferenza), ma in presenza di mia figlia Celeste, prevalentemente a tavola, quindi.
Improvvisamente, con lei è diventato più tollerante (pur se persistono i rush aggressivi, in cui la schiaffeggia, la ricatta e/o la punisce), comprensivo e morbido, al punto di consentire le uscite diurne e notturne (alle quali io non mi oppongo, ma cerco di porre dei limiti, soprattutto di orario, mai rispettato) senza problemi di orario ed il massimo della libertà, rivelandosi perennemente accondiscendente e disponibile.
Celeste ultimamente è cambiata. Un paio di mesi fa, lei ha cominciato a frequentare un gruppo, in cui è stata inserita da un suo ex compagno di classe, con il quale si vede ancora.
Del gruppo fa parte anche qualche altro ragazzo/a di sua conoscenza, ma anche dei ragazzi della cui famiglia non si parla bene nell’ambiente, perché sono istigatori e causano problemi nel gruppo. Infatti, spesso si verificano liti e spaccature all’interno del gruppo, proprio a causa di questi elementi.
Una mia conoscente ha riferito che, sua figlia (nel gruppo), quando ha conosciuto uno di questi ragazzi, ha cominciato a rispondere ed a ribellarsi a tutto. In più, la madre di questi ragazzi, si è permessa di farle una telefonata, minacciandola di “ammazzarla” e definendola “madre di merda”.
Io ho notato lo stesso cambiamento di atteggiamento in mia figlia, anzi, peggiore, in quanto aggravato dall’influsso che suo padre “malato” ha costantemente su di lei, remando contro di me.
Infatti, mia figlia, pur conservando all’esterno la sua immagine angelica, timida, dolce, disponibile e quanto di più possa esistere di complimentoso, in casa è diventata una iena, con frequenti crisi di rabbia nei miei confronti, offensiva, vendicativa, incolpandomi di tutto, usando la tattica della deresponsabilizzazione, della colpevolizzazione, del gaslighting e della proiezione, che, in contemporanea, ha adottato suo padre.
E’ arrivata al punto di dirmi “vattene via, ci rovini la vita”, “vaffanculo”; “non capisci un cazzo”, “sei una cretina”, “ma dirai una cosa giusta??”, ecc., tutte parole già proferite da suo padre, dette con lo stesso tono aggressivo, anzi, più esplosivo, in certi momenti. In più, riferendosi ad amici, usa espressioni quali: “gli do una lezione, se non la pianta”; “ma io l’ammazzo quella”, “sono una grande”; “capisco tutto io, non sono come gli altri, non ho bisogno di studiare”, “quella li è una problematica”, “quello è uno psicopatico”, e via dicendo.
In tutto questo, la mia tattica è cambiata, su consiglio della mia psicologa. Continuo nel mutismo, purtroppo anche con mia figlia, con la quale non riesco più ad essere spontanea e la evito oppure sono piuttosto fredda e distaccata con lei.
Mi è capitato di dover intervenire, qualche giorno fa, per cercare di spiegarle che il rispetto, pur nelle situazioni disagiate come quella in cui siamo noi, non deve mancare, ma mi sono subito pentita di averlo fatto, in quanto mio marito ha precisato che il rispetto lo devo avere io per lei, perché sono adulta, sottolineando che io non chiedo mai scusa.
In tal modo, ha istigato mia figlia, la quale ha stravolto letteralmente ciò che io le avevo detto il giorno prima a proposito della sua nascita (le avevo spiegato che lei è arrivata a sorpresa) e volendomi far passare per pazza.
Quindi, oltre al mutismo, ho adottato l’evitamento di qualsiasi situazione di tensione, assentandomi qualora esse si verifichino. Ma la vera tattica che vorrei veramente adottare è la fuga: dire basta a tutto, scomparire nel nulla, eliminando dalla mia vita tutte le persone negative, facendole sprofondare nel vuoto.
Anche le mie orecchie sono esauste di sentir Luca ed ora Celeste parlare di “persone deboli e fragili, con problematiche, che offendono, che non chiedono mai scusa, egoiste, senza sentimenti” riferendosi agli altri e minacciare chiunque di “ammazzarli, farli fuori, fargli vedere, dargli lezioni, mandare affanculo”.
Ricordiamoci che “in primis” parlano di me, il solito capro espiatorio. In conclusione: non esigo vendetta, ma ci deve essere un modo per smascherare Luca e mettere in salvo me prima di tutto e, poi, mia figlia, se non è troppo tardi, dato che l’imitazione è già fin troppo avanti e l’aggravante dei pessimi influssi esterni non aiuta certamente.
COSA HO FATTO PER LUI
- Mi sono isolata da amici e parenti
- Non l’ho mai contraddetto per paura
- Ho sempre fatto quello che voleva fare lui senza obiettare. Per es.: andare a vedere concerti di musica jazz che a me non piaceva (mi addormentavo, infatti), andare a vedere i film che voleva lui, andare nei posti che decideva lui in vacanza ma anche nei weekend o tutti i giorni, ecc.
- Ho detto bugie al lavoro per uscire prima e correre a casa da lui, che faceva scenate
- Ho perso diversi lavori
- Ho perso clienti perché non ero abbastanza concentrata
- Ho perso amiche perché non le voleva in casa e le trattava male
- Mi sono annientata
- Ho vissuto in funzione di lui
- Sono impazzita per cercare di cambiarlo
- Sono stata trattata male dai suoi (suo padre)
- Mi sono allontanata da amici e parenti
- Ho sacrificato tutti i miei hobbies e le mie passioni
- Ho perso la voglia di ridere
- Ho perso la voglia di fare le cose
- Ho sofferto perché non capivo il motivo di questo maltrattamento, dato che io lo amavo
- Ho rinunciato a fare ciò che mi piaceva
- Ho rinunciato alla mia libertà, facendolo venire a convivere senza reagire
- Ho anche rinunciato al matrimonio, al quale tenevo tantissimo
- Ho buttato via 22 anni della mia vita, ma, finalmente, sono diventata consapevole.
CONCLUSIONE
Monica è diventata consapevole ed invita anche te che stai leggendo a diventarlo: non cadere nella trappola del narcisista, scappa via ai primi segnali, non alimentare il suo egoismo, lascia che distrugga se stesso e rimanga solo con la sua immagine riflessa nello specchio, che, inesorabilmente, lo porterà all’annientamento.
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