STORIA DEL LIBRO – l’invenzione della stampa – 1 di 2
I segnali di un mutamento nella lunghissima tradizione del libro manoscritto s’erano già avvertiti verso il Mille, quando i Cinesi avevano inventato la stampa tabellare. Questa consisteva nell’incidere una volta per tutte un testo oppure figure sopra una tavoletta di legno successivamente inchiostrata per poi riprodurli per pressione su un tessuto o un foglio di carta.
L’Occidente dovette attendere tre secoli prima che l’idea trovasse applicazione anche in Europa: se ne interessarono per primi i Tedeschi, quando lo sviluppo delle università e la diffusione della cultura fecero sentire la necessità della produzione su scala più vasta dei testi manoscritti: il lavoro dei copisti non bastava più a soddisfare la richiesta di libri.
Al raffinato ma lento e costoso lavoro degli amanuensi non c’era altra alternativa se non l’incisione su legno, la tecnica di origine orientale della matrice già utilizzata per la diffusione di una produzione di immagini popolari a prevalente soggetto religioso con una didascalia manoscritta, successivamente anch’essa intagliata assieme al disegno.
Con questo sistema fu possibile stampare a costi molto contenuti e in un ragionevole numero di copie i primi libri e libretti destinati a un pubblico popolare: testi più lunghi intercalati da figure, come la Biblia pauperum (la Bibbia dei poveri), un condensato dei principali avvenimenti della Bibbia e della vita di Gesù, dove a ogni illustrazione corrispondeva una didascalia in latino o in tedesco.
O come i Mirabilia Urbis, sorta di guida turistico-spirituale scritta verso la metà del XII secolo dal canonico romano Benedetto: un testo, più volte rimaneggiato, che con l’avvento della stampa tabellare conobbe una notevole divulgazione; il più noto tra questi rifacimenti fu, nel XIII secolo, Le miracole de Roma, redatto da un anonimo romano con precisione di informazione e l’inserimento di notazioni umoristiche.
E poi l’Apocalypsis, l’Ars moriendi, soggetti tipici di un’ingenua produzione di anonimi artigiani, a cui si accompagnano almanacchi e grammatiche elementari: il “libro” diventa così accessibile anche agli umili, che in tal forma più modesta continueranno a preferirlo per molto tempo, anche dopo l’invenzione della tipografia.
È il periodo della diffusione delle cartiere, numerose in Italia in quel periodo (assume presto importanza rilevante quella di Fabriano): i fogli di carta lisci e piani che, contrariamente alla pergamena, si prestano a essere impressi facilitano il lavoro degli incisori.
A livello di diffusione della cultura, il libro tabellare ebbe una grande espansione fin verso la metà del Quattrocento, quando l’invenzione dei caratteri mobili ne mise in evidenza la rigidità tecnica che ne impediva un uso versatile con costi più contenuti; quest’esperienza contribuì a sviluppare l’arte dell’incisione su legno (xilografia), a cui si dedicarono grandi artisti, rimasta in uso industriale fino a fine Ottocento.
Il progresso nelle tecniche di lavorazione dei metalli portò infine alla soluzione ingegnosa: l’incisione e la fusione in lega metallica delle singole lettere dell’alfabeto, componibili e scomponibili con la possibilità di essere riutilizzate più volte, di sostituirle se rovinate, di apportare singole correzioni alla composizione: con l’invenzione del torchio a pressione e l’uso dell’inchiostro grasso verso la metà del Quattrocento nasce la tipografia.
L’uomo che è tradizionalmente ritenuto l’inventore del libro nella sua forma moderna vede la luce a Magonza con il nome di Johann Gensfleisch tra il 1394 e il 1399: ma è passato alla storia come Gutenberg, perchè i suoi provenivano dal paese omonimo.
Suo padre era incisore alla zecca di Magonza, e sulle orme paterne il giovano Johann apprese l’arte dell’incisione e dell’oreficeria, una scuola di pazienza che contribuì a indirizzarne la mano e la mente verso il rinnovamento delle tecniche di riproduzione. I primi documenti in cui sia ricordato il giovane Gutenberg sono del 1420.
Non si sa per quale motivo si trasferì, o fu esiliato, a Strasburgo, almeno dal 1433: ma qui nel 1436 stipulò un contratto di associazione con certi Andreas Dritzehn, Johann Riffe e Andreas Heilmann per mettere in pratica alcune sue invenzioni. Non si conosce con precisione il progetto a cui lavorarono Gutenberg e Dritzehn, nel laboratorio allestito in casa di quest’ultimo, ma aveva certamente a che fare con perfezionamenti nel campo della stampa.
Gli esperimenti proseguirono per due anni. Ma nel 1438 Andreas Dritzehn morì, i suoi fratelli pretesero di succedergli nella società e per di più dall’officina scomparve parte del materiale già predisposto. Motivi questi che indussero Gutenberg a intentare nel 1439 un processo contro Riffe, Heilmann e Nikolaus Dritzehn, fratello ed erede di Andreas.
Negli atti di questo processo appare il primo nebuloso accenno all’innovativa esperienza che ha fatto del magontino uno dei benemeriti della civiltà: gli esperimenti di stampa con caratteri mobili che Gutenberg e Dritzehn avevano tenuto segreti.
Gutenberg come sappiamo non inventò dal nulla: ebbe tuttavia il grande merito di intuire per primo la possibilità di pubblicare dei testi in un numero teoricamente illimitato di copie attraverso un nuovo modo di applicare al libro le tecniche di incisione già note; combinate però con l’invenzione della matrice per fondere singoli caratteri tutti di uguale disegno e della forma per contenerli sul piano del torchio in modo da poterli riprodurre a pressione su carta.
È possibile che il progetto fosse già a punto, ma non esiste prova scritta del suo completamento. Non sappiamo come la storia si concluse, salvo il fatto che Gutenberg vinse la causa. Incerta anche l’evoluzione della sua attività dopo la rottura della società.
Nel 1448 lo ritroviamo comunque a Magonza, impegnato a perfezionare il nuovo sistema di stampa attraverso la realizzazione di opere di cui è difficile stabilire la paternità, in quanto Gutenbverg non ha mai “firmato” le proprie edizioni. Riferiti a questo periodo, gli si attribuiscono il Weltgericht, poema sul Giudizio Universale, e due edizioni della grammatica latina del Donato.
Qualche tempo dopo, tra il 1449 e il 1450, nonostante la deludente esperienza di Strasburgo, Gutenberg prova di nuovo ad associarsi con qualcuno in grado di assicurargli una stabilità economica: un ricco concittadino, Johann Fust, legale con l’hobby del prestito a interesse.
Intravedendo le possibilità commerciali delle idee di Gutenberg, Fust gli presta 800 fiorini d’oro, e altri gliene darà nel tempo, per l’acquisto di carta, pergamenae inchiostro e per la fabbricazione di strumenti per “l’opera dei libri”, cioè per la fusione dei caratteri. È quanto occorre per realizzare un’edizione di duecento copie della Bibbia: quest’opera capitale, detta “delle 42 righe”, è considerata il primo vero libro a stampa con caratteri mobili uscito dal torchio.
In parallelo con questo gravoso impegno, di lunga gestazione ed esecuzione, tra il 1454 e il 1455 Gutenberg diede altri saggi delle proprie capacità, pubblicando il Türkenkalender e almeno due edizioni delle Lettere d’Indulgenza, che comprendevano una bolla di Niccolò V relativa ad aiuti economici per il re di Cipro in guerra contro i Turchi.
Purtroppo però il lavoro di stampa della Bibbia procedeva a rilento, forse per la difficoltà approntare caratteri uniformi nella quantità necessaria; per ottenere nuovi prestiti e calmare le apprensioni dell’avvocato Fust, Gutenberg dovette associare nel 1455 Peter Schöffer, un giovanotto di belle speranza, fresco di studi dalla Sorbona di Parigi e fidanzato o fresco sposo di Cristina, figlia di Fust. Schöffer per la verità è anche calligrafo e incisore, e questo dev’esser stato determinante per spingere Fust a insistere e Gutenberg ad accettarne la presenza.
Incauto come molti inventori all’inseguimento di un’idea, Gutenberg si ritrovò comunque indebitato con Fust per oltre 2000 fiorini d’oro, senza riuscire più a far fronte al pagamento degli interessi annuali nè a restituire il capitale.
L’avvocato gli fece causa per rientrare del suo credito, Schöffer gli fu buon testimone, e il 6 novembre 1455 Fust ottenne il sequestro di tutte le attrezzature e i materiali presenti nella bottega, compresi i fogli già stampati di duecento esemplari della Bibbia.
Si ignora se al momento del sequestro Gutenberg fosse già riuscito a completare quel lavoro; però due date scritte su una copia del libro, conservata alla Bibliothèque Nationale di Parigi, confermano che l’opera era già offerta in vendita nell’agosto 1456: in considerazione dell’inevitabile lentezza nell’esecuzione del lavoro, è assai probabile che la stampa vera e propria fosse ormai completata. In ogni caso le vendite della Bibbia andarono a esclusivo profitto di Fust e Schöffer.
Di questa versione, conosciuta anche come “Mazarina” (dal nome della biblioteca parigina dove nel Seicento ne fu rintracciato un esemplare), si conoscono 47 copie, di cui 12 su pergamena, del tutto prive di indicazioni dello stampatore, luogo e data della stampa.
Estromesso dalla società, Gutenberg trovò un nuovo alleato nel sindaco di Magonza, Konrad Humery, col cui aiuto riuscì nel 1458 ad aprire una nuova stamperia. Con comprensibile ostinazione, si lanciò in una nuova edizione della Bibbia, che fu messa in vendita prima del 1461: conosciuta come l’edizione “delle 36 righe”, è stampata con caratteri uguali a quelli delle Lettere d’Indulgenza del 1454: Anche se nel sequestro giudiziale aveva perduto i caratteri, s’era evidentemente tenuto i disegni e le matrici.
Ma anche questa seconda impresa come tipografo / editore subì un forzato arresto a seguito del sacco della città (ottobre 1462) da parte dell’arcivescovo elettore Adolfo di Nassau contrastato con le armi da un rivale; non si sa bene perchè, Gutenberg fu espulso dalla città. Più tardi l’arcivescovo cambiò atteggiamento e l’inventore potè rientrare in possesso della sua officina, che rimase in attività almeno fino al 1465.
Alla sua bottega si attribuisce comunemente anche la stampa del Catholicon di Giovanni Balbi, stampato a Magonza nel 1460. Alcuni studiosi hanno voluto attribuire quest’opera a uno stampatore di Eltvil, Heinrich Bechtermünze, perchè è stata stampata con gli stessi caratteri usati dal Bechtermünze nel 1467 per il Vocabolarius ex quo. Ma forse non c’è mistero nè contraddizione: nel 1465 Gutenberg era stato nominato familiare dell’arcivescovo Adolfo, che gli aveva assegnato una pensione ed esenzioni fiscali. Un buon motivo, con l’età avanzata, per ritirarsi dall’esercizio della professione e cedere ad altri le proprie attrezzature.
Gutenberg morì a Magonza il 3 febbraio 1468. L’ex socio Fust se ne era già andato da un paio d’anni, morto di peste durante un viaggio a Parigi per cercare sbocchi commerciali alla produzione editoriale di famiglia.
Peter Schöffer aveva avuto miglior fortuna. Il suo primo obiettivo nella società con Fust, dopo l’estromissione di Gutenberg, fu la creazione di nuovi e perfezionati punzoni, con cui provò anche a stampare a colori i capilettera secondo l’uso dei codici a mano (inventando di fatto la selezione dei colori nella preparazione di matrici di stampa).
In questo modo realizzò poco tempo dopo il primo libro “firmato”, addirittura con una marca tipografica, e stampato con data certa, 14 agosto 1457: il celebre Psalterium di Magonza, un in-folio di 350 pagine, ricco di circa 290 grandi capilettera a due colori, rosso e blu, che si considera il suo capolavoro. La produzione successiva, di cui si conoscono oltre 250 titoli, comprende il Rationale divinorum officiorum del Durando, pubblicato nel 1459; le Constitutiones di Clemente V (1460) e un’altra Bibbia, detta “delle 48 righe”, pubblicata in due volumi nel 1462.
Come Gutenberg, anche Schöffer conobbe un periodo di inattività, con l’inevitabile partenza dei collaboratori disoccupati: due tra questi, Sweynheim e Pannartz, se ne andarono a promuovere la stampa in Italia. Schöffer può riprendere a produrre libri verso il 1465 avendo ben presto come socio il cognato Konrad, erede di Johann Fust, suo collaboratore fino al 1480: ma il suo lungo periodo di operosità proseguirà fino al 1502.
Appartengono a questa stagione libri come il De officiis et paradoxa di Cicerone (1465), che si ritiene la prima edizione a stampa di un classico latino; l’Herbarius latinus (1484), la Sachsenchronik (1492) e un nuovo Psalterium (1502), anche questo detto “maguntino”, che conclude la sua opera personale.
Non si sa quando Peter Schöffer sia morto, probabilmente poco tempo dopo l’ultima opera che porta il suo nome; il successivo lavoro dell’officina è un Hermes Trismegistus del 1503, firmato dal figlio Johann (nato verso il 1456, morirà nel 1531), che ne continua l’attività fino al 1531, pubblicando oltre 200 titoli, tra cui la prima edizione di Tito Livio (1518-19).
Ignorando del tutto Gutenberg, Johann tentò anche di accreditare l’invenzione della stampa esclusivamente alla propria famiglia. Dopo la sua morte l’officina fu ereditata da Ivo, figlio di suo fratello Peter, detto il Giovane. Anche questi s’era dedicato al mestiere di famiglia, lavorando nella bottega di Magonza dal 1509 al 1523, nonchè a Worms dal 1518 al 1529, dove per conto dei riformati realizzò un’edizione dei Profeti (1527) e una Bibbia (1529).
Dal 1529 al 1539 si stabilì a Strasburgo, quindi a Basilea, dove morì nel 1547. Per un breve periodo (1541-42) risiedette anche a Venezia, con compiti di insegnamento del mestiere. Il figlio Ivo (1505 – 1555) diventò lo stampatore ufficiale del Capitolo del Duomo e dell’Università di Magonza; a lui si attribuiscono 145 opere.
Soprattutto in quelle lontane epoche una buona idea aveva scarse probabilità di protezione commerciale: dopo il sacco di Magonza i primi tipografi, collaboratori di Gutenberg e di Schöffer o semplici orecchianti, emigrarono in fretta veerso altri paesi, portandosi dietro i ferri del mestiere e incidendo i rudi caratteri gotici secondo le richieste.
I conventi sono per essi un rifugio naturale e i religiosi li vedono di buon occhio perchè considerano la nuova invenzione dal punto di vista della diffusione della cultura religiosa. Non è raro che copisti ecclesiastici o laici apprendano la nuova arte: del resto umanisti e centri universitari li aiutano per il sostanzioso contributo che offrono alla conoscenza dei testi classici e moderni, in uno con un effetto pratico di notevole impatto: una sensibile riduzione del costo dei libri. in questa diaspora i nuovi stampatori finiscono per stabilirsi in una qualche città grande o piccola in cui sia possibile sviluppare il lavoro attraverso una generosa clientela (Parigi, Roma, ecc.), in un centro di commercio (Lione, Milano), o presso un porto (Venezia, Anversa).
Ma al Sud la celebrata tecnica tedesca si sposa con la tradizione d’arte italiana: e presto artisti locali si dedicano al disegno di nuovi caratteri, lontani dalla spicolosità degli aspri caratteri gotici, alla ricerca di una più accentuata leggibilità ed eleganza che si estende dal carattere al disegno della pagina, conquistando in pochi decenni all’Italia una indiscussa superiorità nel campo della stampa a Venezia, Milano, Firenze, Brescia, ecc.
È per tutto un simile concorso di circostanza che già nel 1465 i caratteri mobili li ritroviamo in Italia, importati dai due stampatori di Magonza, Sweynheim e Pannartz. Probabilmente coetanei, il chierico Konrad Sweynheim (nato a Magonza) e il laico Arnold Pannartz (nato a Praga) si incontrano a Magonza dove imparano il mestiere dell’officina di Peter Schöffer.
I disordini del 1462 conseguenti al sacco della città li convincono a cercar fortuna altrove, dove il nuovo mestiere possa essere praticato senza problemi. Con i loro strumenti fanno tappa al cenobio benedettino di S. Scolastica, a Subiaco, dove allestiscono una tipografia, stampando poco dopo in 300 copie una versione della grammatica latina del Donato: il Donatus pro puerulis del 1464, considerato il primo libro stampato in Italia, L’anno successivo stampano un in-folio piccolo, il De oratore di Cicerone, adoperando nuovi caratteri semirotondi disegnati e fusi a imitazione di quelli utilizzati dagli amanuensi nei codici del convento; nonchè l’in-folio del De divinis institutionibus adversus gentes, di Lattanzio.
Impiegano altri due anni per dar fuori l’ultima opera realizzata a Subiaco, il De Civitate Dei di Sant’Agostino, del 1467. Nello stesso anno si trasferiscono a Roma, invitati da Pietro e Francesco, principi Massimo.
Allestiscono una nuova officina nel palazzo Massimo e a novembre sono in grado di pubblicare un primo libro, le Epistolae ad familiares di Cicerone. Fino al 1473 produrranno circa 50 edizioni in-folio, soprattutto di classici latini. Fino al marzo 1472 si affannarono anche a dare puntuale relazione della propria attività al papa Sisto IV, nella speranza di ottenere un privilegio che li mettesse al riparo dalla concorrenza sorta in città perfino nell’area ebraica.
I risultati non furono pari alle attese e nel 1474 i due soci si divisero; Pannartz mantenne la sede in casa Massimo e a Roma morì un paio di anni più tardi. Dopo la separazione, Sweynheim – probabilmente il disegnatore dei caratteri e l’autore delle matrici – lavorò per tre anni a preparare le carte geografiche della Cosmographia di Tolomeo, ma non la vide pubblicata: la stampa fu compiuta il 10 ottobre 1478 dal tipografo tedesco Arnold Buckinck quando Sweynheim era già morto da un anno.
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