Senza di lei
Apro gli occhi, mi ritrovo sudato e con il fiato corto, come se avessi appena finito di correre una maratona. La sveglia sul comodino segna le sette e venticinque, cinque minuti prima dell’orario fissato per suonare.
Questo è decisamente insolito, non mi sono mai svegliato da solo, ma sempre dopo il fastidioso suono di quel ferrovecchio rumoroso.
Impiego quei minuti per recuperare il respiro, ansimo e non è una sensazione gradevole. Non ricordo di aver fatto un sogno particolare, dormivo come sempre; poi all’improvviso mi sono svegliato, qualcosa deve aver turbato il mio riposo.
Allungo la mano sul lenzuolo alla mia sinistra e non incontro ostacoli, la sensazione di vuoto mi spinge a volgere il capo in quella direzione, lei non c’è!
Non mi preoccupo, sorrido. Quando mi sveglio il mattino non c’è mai, lei si alza sempre prima di me, senza che suoni la sveglia, mi sono sempre chiesto come fa, so che non usa orologi, sembra avere un campanello interno che l’avvisa.
Appena alzata prepara il caffè. Il suono della sveglia e l’aroma caldo avvolgente del caffé danno un senso al risveglio.
Sono sempre stato un pigro, anche da giovane, ricordo che mia madre faceva le stesse cose, veniva in punta di piedi nella stanza e apriva le tapparelle per far entrare la luce, poi andava in cucina a trafficare con i fornelli. Caffè, e molto spesso una fetta delle sue favolose crostate.
Svegliarsi in quel modo diventava gradevole, e il trauma mattutino era più accettabile.
Dopo il matrimonio, mia moglie si è assunta l’onere di continuare la tradizione, lei fa del suo meglio, non può eguagliare la mamma, ma apprezzo moltissimo la sua buona volontà.
La sveglia ha preso il posto della luce mattutina, l’aroma del caffé rimane la cosa più persuasiva per il mio risveglio; è capace di far uscire dal letto anche uno come me, pigro oltre ogni dire.
Sto ripensando alla mia giovinezza, quando mi accorgo di non sentire nessun profumo di caffè. Possibile che si sia dimenticata? In quaranta anni di matrimonio non lo ha mai fatto, cosa sarà successo?
Il cervello annebbiato dal sonno interrotto si sta riprendendo, e la realtà mi si presenta in tutta la sua cruda e angosciante verità. Ancora non riesco ad accettare il fatto che lei non c’è più, mi ha lasciato da poco più di un mese, se ne andata insieme ad un male perverso che mi ha privato della parte migliore di me; lei era quella che mi rendeva un uomo completo.
Sono seduto in mezzo al letto e vedo lo squallore in cui è ridotta la mia casa. C’è odore di chiuso, di panni sporchi, non ricordo da quando non lavo le lenzuola né la biancheria che indosso.
La donna delle pulizie viene una volta a settimana, ma si limita a dare di straccio e toglie la polvere. Le altre incombenze ricadono tutte su di me.
Sono capace a sbrigare le faccende e anche a cucinare, solo che non ho voglia di farlo. Sono a pezzi, è una settimana che non vado nemmeno a lavorare. Sento la sua mancanza come se avessero strappato un pezzo del mio corpo, sono come un invalido su una sedia a rotelle, paralizzato a metà.
E’ inutile negarlo, nonostante le diversità, i litigi e le incomprensioni che si sono accumulate nei lunghi anni trascorsi insieme, lei mi manca. Manca come l’acqua in un deserto, come la luce negli anfratti bui, come un ombrello quando piove.
Era una donna dall’aspetto delicato, quasi un ninnolo di porcellana. Non amava il sole, la sua pelle candida come avorio e i capelli corti e scuri la facevano somigliare ad un folletto, sempre in movimento, sempre in anticipo sulle mie esigenze, osservava tutto in silenzio senza parlare.
Il destino è stato crudele con noi, ci ha privati della gioia di avere un figlio; dopo la prima esperienza risoltasi in modo tragico, il suo fragile corpo non è stato più in grado di affrontare altre gravidanze.
Lei, come sempre, non disse niente e continuò la sua vita, ma qualcosa nel suo sguardo si era spento per sempre. La scintilla di vita interiore che era ben visibile quando la conobbi era stata la cosa che maggiormente mi aveva colpito in lei, al di là della bellezza e dell’attrazione fisica.
Aveva una vivacità e un acume notevole, una intelligenza non comune e, anche se non era culturalmente preparata, aveva la capacità di capire le cose al volo. Qualsiasi argomento o discussione affrontasse, anche per la prima volta, era in grado dopo pochi minuti di intervenire con idee proprie.
Io mi sono sempre vantato di essere un intellettuale impegnato, e trovare una donna come lei fu il classico ritrovamento di un ago nel pagliaio.
Abbiamo trascorso quaranta anni di vita insieme e ora che lei non è più al mio fianco devo ammettere con una nota di rimpianto che ricordo tutti i giorni, ogni ora trascorsa insieme.
Mi chiedo perché lei e non io, perché il destino si diverte a creare situazioni di dolore e di disordine, si ostina a sconvolgere lo stato naturale delle cose. Ero io quello che doveva andarsene, vuoi per l’età, vuoi per i malanni, per tante altre situazioni collaterali.
Ero io il predestinato, e invece nel giro di un anno, il maligno si è impossessato di lei, di quel piccolo corpo pieno di vita e l’ha portata via da me.
Sono ancora a letto a pensare, ad osservare quel posto vuoto al mio fianco e non riesco a decidere su cosa fare della mia vita: continuare ad andare avanti o lasciare che l’onda dei ricordi mi trascini sempre più in basso fino alle soglie di un inferno dove non troverò lei e non avrò nemmeno la possibilità di ricordarla.
Tutti dicono che la vita continua, bisogna farsi forza e andare avanti, ma per andare dove? E soprattutto, perché? Non ho un futuro a cui fare riferimento, sono avanti con l’età e l’unico orizzonte che riesco a vedere è un cielo nero denso di nubi.
Questa notte deve essere successo qualcosa nella mia mente, il risveglio è stato particolarmente violento.
È stato un avvertimento, un segnale.
Torno a dare uno sguardo intorno e la sensazione di disagio, che avevo provato prima, la ritrovo uguale adesso. Lo squallore che mi circonda dovrebbe indurmi a darmi da fare; se solo lei potesse vedere come sono ridotto, sono certo che i suoi occhi manderebbero cenni evidenti di disapprovazione.
Lei non alzava mai la voce, ti guardava e subito dovevi calare il capo in segno di resa. Mi ritrovo anche adesso con gli occhi abbassati, come se lei fosse presente, quasi a chiederle scusa per la mia indolenza.
Sono tentato.
Ora mi alzo, voglio cominciare questo nuovo giorno con animo diverso, con un caffé che mi preparerò da solo. Poi voglio portare dei fiori là dove lei riposa, ma la tensione è troppa e la volontà già scema.
Gli occhi si richiudono, il richiamo del sonno è più forte. Tornerò a dormire sperando di svegliarmi da questo sogno troppo doloroso.
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