Odissea – Libro XXI
ODISSEA
Libro Ventunesimo
Atena, la Dea glaucopide, suggerì 1
alla figlia di Icario, la saggia Penelope, di mettere
nelle mani dei pretendenti nella casa di Odisseo
l’arco e il ferro grigio, strumenti di gara e inizio della strage.
Lei salì per l’alta scala del suo palazzo, prese 5
con la mano robusta la bella chiave ricurva
fatta di bronzo, con l’impugnatura d’avorio;
poi andò con le ancelle nella stanza più interna
della casa, dove erano custodite le ricchezze del sovrano:
bronzo, oro e ferro ben lavorato. Lì c’erano 10
l’arco ricurvo e la faretra piena di frecce:
dentro c’erano molte frecce che danno dolore;
erano un dono di un ospite incontrato a Lacedemone:
Ifito figlio di Eurito, simile agli Dei immortali.
I due si erano trovati insieme in Messenia, 15
a casa del saggio Ortiloco: Odisseo era lì per esigere
un debito che doveva riscuotere da quel popolo. I Messeni,
con le navi dai molti remi, avevano portato via da Itaca
trecento pecore con i loro pastori; per questo Odisseo,
ancora ragazzo, fece questo lungo viaggio: aveva ricevuto 20
l’incarico da parte del padre e di tutti gli altri anziani.
Ifito era andato per cercare delle cavalle che erano scomparse:
dodici femmine che allattavano muli resistenti alla fatica;
queste provocarono, poi, il suo destino di morte.
Infatti egli andò dal forte figlio di Zeus, 25
il possente Eracle esperto di grandi imprese,
che lo uccise a casa sua, pur essendo suo ospite.
Sciagurato! Non ebbe timore dello sguardo degli Dei,
né rispetto della mensa che aveva imbandito: lo uccise,
e nascose nelle sue stalle quelle cavalle dal forte zoccolo! 30
Mentre le cercava, Ifito incontrò Odisseo e gli donò l’arco
che un tempo usava il grande Eurito il quale, in punto di morte,
lo aveva lasciato al figlio nel suo grande palazzo.
A lui Odisseo donò una spada affilata e una lancia robusta,
dando inizio a un rapporto di ospitalità; non poterono conoscere 35
l’uno la mensa dell’altro, perché prima il figlio di Zeus uccise Ifito,
figlio di Eurito simile agli immortali, che gli aveva
donato l’arco. Il glorioso Odisseo, quando
andava a combattere con le sue navi nere,
non lo portava mai con sé: lo teneva in casa in ricordo 40
dell’ospite caro; lo usava soltanto nelle sue terre.
Quando Penelope, divina tra le donne, giunse al talamo
e raggiunse la soglia di quercia (un artigiano l’aveva
levigata con cura, dopo averla squadrata con il filo a piombo,
su di essa aveva fissato gli stipiti e montato gli splendidi battenti), 45
allora rapidamente sciolse la cinghia dagli anelli,
introdusse la chiave e spostò i chiavistelli della porta
con un colpo mirato: i battenti muggirono come
un toro al pascolo, in un prato; con la stessa forza rimbombò
la porta per la spinta della chiave: subito i battenti si aprirono. 50
Allora lei salì su un alta pedana dove c’erano casse
piene di vesti profumate; sporgendosi al di sopra
delle casse, staccò dal chiodo l’arco assieme
allo splendido fodero che lo avvolgeva;
poi si mise seduta e se lo appoggiò sulle ginocchia: 55
mentre tirava fuori l’arco del sovrano, piangeva senza freno.
Quando fu sazia di lacrime e di pianto, tornò
nella sala dai nobili pretendenti portando in mano
l’arco ricurvo e la faretra piena di frecce:
dentro c’erano molte frecce che danno dolore; 60
dietro di lei, le ancelle portavano una cesta dove c’era
ferro e bronzo: strumenti di gara del sovrano.
Quando giunse tra i pretendenti, divina tra le donne,
si fermò accanto a un pilastro dell’alto tetto,
tendendo davanti alle guance lo splendido velo; 65
ad ognuno dei due lati, aveva vicino un’ancella fedele.
Subito parlò ai pretendenti facendo questo discorso:
“Ascoltatemi, superbi pretendenti, che senza sosta
vi precipitate a mangiare e a bere nella casa
di un uomo che da tanto tempo è lontano; 70
non sapete trovare nessun altro pretesto, se non
quello di volermi sposare e prendermi in moglie:
ora datevi da fare! Propongo un premio per una gara.
Io porrò qui il grande arco del glorioso Odisseo:
quello che tenderà l’arco con maggiore abilità 75
e attraverserà tutte le dodici scuri con la freccia,
io lo seguirò e lascerò questa casa: il palazzo
di mio marito, così bello e così ricco,
di cui mi ricorderò per sempre anche in sogno”.
Così disse; e incaricò Eumeo, il glorioso porcaro, 80
di mostrare loro l’arco e il ferro grigio.
Eumeo lo prese e, piangendo, lo pose a terra; con lui
piangeva anche il bovaro, vedendo l’arco del suo padrone.
Antinoo li rimproverò, si rivolse a loro e disse:
“Sciocchi campagnoli, non sapete pensare oltre il domani. 85
Miserabili, perché piangete e tormentate il cuore
di questa donna? Già vive nell’angoscia,
perché ha perduto lo sposo che amava.
Ora sedetevi a mangiare in silenzio, oppure
uscite a piangere fuori della porta! Lasciate qui l’arco: 90
sarà una durissima prova per i pretendenti, non credo
che sarà facile tendere questo lucido arco.
Nessuno di questi uomini, infatti, è forte
come Odisseo: io l’ho visto di persona e mi ricordo
bene, anche se ero ancora un bambino”. 95
Così disse; ma dentro l’animo suo sperava di tendere
la corda e di far passare la freccia attraverso il ferro.
E invece proprio lui avrebbe provato per primo la freccia
scagliata dalle mani del glorioso Odisseo: anche se lui
lo insultava, stando in casa sua e incitando i suoi compagni. 100
A tutti i pretendenti disse il forte Telemaco:
“Ahimè, Zeus figlio di Crono mi ha reso folle!
Mia madre, che pure è così assennata,
dice che sposerà un altro e lascerà questa casa.
E io sto qui a ridere, come un folle! 105
Pretendenti, vi viene offerto un premio notevole:
una donna che non ha pari in terra achea,
né nella sacra Pilo, né ad Argo, né a Micene,
né qui a Itaca, né sul continente ombroso.
Ma questo lo sapete: che bisogno c’è di lodare mia madre? 110
Non andate più avanti con pretesti, non sottraetevi
alla gara dell’arco; siamo pronti a guardarvi.
Anche io vorrei mettermi alla prova con l’arco:
se lo tenderò e attraverserò con la freccia il ferro,
la mia nobile madre non dovrà più lasciarmi, 115
abbandonando questa nobile casa e seguendo un altro:
io sono capace di maneggiare gli strumenti di mio padre”.
Così disse; balzando in piedi, si tolse dalle spalle
il mantello di porpora e sganciò la spada affilata;
per prima cosa, mise in fila le scuri; scavò un solco lungo, 120
lo fece dritto come fosse squadrato tendendo una corda,
ammucchiando la terra intorno: tutti si stupirono, vedendo
come l’aveva messo bene (anche se non lo aveva mai visto fare).
Poi si fermò sulla soglia e si provò a tirare con l’arco:
tre volte cercò di tenderlo, con l’intento di tirare; 125
per tre volte rinunciò a quello sforzo: invano sperava
di tendere la corda e scoccare la freccia dentro il ferro.
Quando stava per tendere l’arco per la quarta volta
Odisseo gli fece cenno e lui trattenne l’impulso.
A tutti i pretendenti disse il forte Telemaco: 130
“Ahimè! Sarò sempre debole e incapace, oppure
sono ancora troppo giovane e non posso fidarmi delle braccia
per difendermi da qualcuno che mi faccia del male!
Ma ora voi, che siete tanto più forti di me,
provate a tirare con l’arco e a ultimare questa gara”. 135
Così dicendo, mise l’arco a terra lontano da lui,
appoggiandolo ai lucidi battenti della porta;
sospese all’anello della porta la freccia veloce,
poi tornò a sedere sul seggio da cui si era alzato.
Allora parlò Antinoo, il figlio di Eupite: 140
“Compagni, alzatevi tutti uno dopo l’altro, cominciando
da destra, come quando si versa il vino”.
Così disse Antinoo; il suo discorso piacque a tutti.
Si alzò per primo Leode, il figlio di Enopo,
che era il loro aruspice; sedeva sempre in fondo 145
alla sala, accanto al cratere: a lui solo erano odiose
le prepotenze dei pretendenti ed era sdegnato con loro.
Lui prese per primo l’arco e la freccia veloce,
si fermò dritto sulla soglia e provò a l’arco,
ma non riuscì a tenderlo: tirando, aveva affaticato 150
le sue mani morbide e delicate. Allora disse ai pretendenti:
“Amici, non riesco a tenderlo: lo prenda un altro!
Questo arco spezzerà il cuore a molti uomini forti,
privandoli della vita: perché è meglio morire
che vivere senza aver ottenuto ciò per cui stiamo sempre 155
insieme qui, facendoci ospitare ogni giorno.
Ognuno di noi nell’animo suo spera e brama
di sposare Penelope, la moglie di Odisseo;
ma quando si prova a tirare con l’arco e si fallisce,
allora è meglio chiedere in moglie un’altra delle donne achee 160
dal bel peplo, offrendole dei doni: e che Penelope sposi
chi le avrà offerto di più e sarà scelto dal destino”.
Così dicendo, mise l’arco a terra lontano da lui,
appoggiandolo ai lucidi battenti della porta;
sospese all’anello della porta la freccia veloce, 165
poi tornò a sedere sul seggio da cui si era alzato.
Antinoo lo rimproverò e, rivolto a lui, disse:
“Leode, quali tremende parole ti sono uscite
dalla chiostra dei denti! Sono sdegnato! Dici che
questo arco spezzerà il cuore a molti uomini forti, 170
solo perché tu non hai potuto tenderlo tu.
La tua nobile madre, infatti, non ti ha generato
per essere arciere e lanciatore di frecce;
ma altri nobili pretendenti riusciranno a tenderlo!”.
Così disse; e diede ordini al capraio Melanzio: 175
“Su, Melanzio, accendi il fuoco nella sala
e avvicina al fuoco un grande seggio con sopra un vello;
e porta qui un gran pezzo del grasso che c’è in casa,
perché noi giovani, dopo averlo riscaldato e spalmato sull’arco,
ci mettiamo alla prova e concludiamo questa gara”. 180
Così disse; subito Melanzio accese un fuoco ardente,
avvicinò al fuoco un grande seggio con sopra un vello
e portò lì un gran pezzo del grasso che c’era in casa.
I giovani lo riscaldarono e si misero alla prova, ma non
riuscirono a tendere l’arco: non avevano forze sufficienti. 185
Rimanevano ancora Antinoo e il nobile Eurimaco,
che erano i capi dei pretendenti e i più valorosi;
allora il bovaro e il porcaro del glorioso Odisseo
si fecero cenno e uscirono insieme dalla sala:
con loro, uscì anche il glorioso Odisseo; 190
quando furono fuori dalla porta e dall’atrio,
prese a parlare e fece loro questo discorso:
“Bovaro e porcaro: non so se dirvi una cosa
o tacerla, ma il cuore mi spinge a parlare.
Sareste disposti ad aiutare Odisseo, 195
se tornasse qui all’improvviso, condotto da un nume?
In tal caso, aiutereste Odisseo o i pretendenti?
Ditemi quello che pensate davvero”.
Gli rispose allora il pastore dei buoi:
“Padre Zeus, magari si realizzasse il mio desiderio: 200
che quell’uomo ritorni e lo conduca un nume!
Allora sì che vedresti la forza delle mie braccia!”.
Allo stesso modo, Eumeo pregava gli Dei
perché il saggio Odisseo facesse ritorno a casa.
Quando egli capì che il loro cuore era sincero 205
allora si rivolse di nuovo a loro e disse:
“Sì, sono proprio io! Dopo venti anni e dopo
avere molto sofferto sono tornato in patria.
Vedo che solo voi avete desiderato il mio ritorno,
tra i servi: non ho sentito nessun altro pregare 210
perché io tornassi e giungessi di nuovo a casa.
A voi due dirò sinceramente quello che avverrà:
se per mano mia un nume abbatterà i superbi pretendenti,
darò a ciascuno di voi una moglie, beni in proprietà
e una casa costruita accanto alla mia; in futuro 215
voi sarete per me come due amici fraterni di Telemaco.
Ma ora vi mostrerò anche un altro segno chiarissimo,
perché mi riconosciate e abbiate fiducia in me:
la ferita che mi fece un cinghiale con la sua zanna bianca,
mentre andavo a caccia con i figli di Autolico, sul Parnaso”. 220
Dicendo così, scostò le vesti lacere dalla grande cicatrice;
quelli la videro con attenzione e capirono tutto.
allora, piangendo, essi abbracciarono il saggio
Odisseo, baciandogli la testa e le spalle;
anche Odisseo li baciò sulla testa e sulle mani. 225
Il sole sarebbe tramontato mentre loro ancora piangevano,
se Odisseo non li avesse fermati e non avesse detto:
“Smettetela con i pianti e i lamenti: che nessuno,
uscendo dalla sala, vi veda e lo dica a quelli che sono dentro.
Ora rientriamo uno per volta, non tutti insieme; 230
io entrerò prima di voi. Il segnale che vi darò sarà questo:
tutti i superbi pretendenti non permetteranno
che mi siano dati l’arco e la faretra; ma tu,
divino Eumeo, attraversando tutta la sala,
me li metterai tra le mani e dirai alle donne 235
di chiudere bene le solide porte della sala;
se qualcuna di loro, dall’interno delle loro stanze,
sentirà lamenti o rumori all’interno non dovrà
uscire dalla porta, ma dovrà restare a lavorare in silenzio.
A te, Filezio, io ordino di chiudere a chiave 240
la porta dell’atrio e di stringerci sopra un nodo””.
Detto così, rientrò nella sua casa ben costruita
e tornò a sedere sul seggio da cui si era alzato;
poi rientrarono anche i due servi del divino Odisseo.
Eurimaco aveva già impugnato l’arco, dopo averlo 245
riscaldato dai due lati alla fiamma del fuoco: neppure
così riusciva a tenderlo e ne soffriva il suo cuore orgoglioso.
Adirato, si rivolse agli altri e disse:
“Ahimè, che vergogna! Non per me, ma per tutti!
Sono addolorato, ma non soffro tanto per le nozze 250
– ci sono molte altre donne achee a Itaca
circondata dal mare, come nelle altre città –,
ma perché quanto a forze siamo molto inferiori
al divino Odisseo; e infatti non riusciamo neppure a tendere
il suo arco. Un’onta! Lo sapranno anche le generazioni future!”. 255
Gli rispose allora Antinoo, il figlio di Eupite:
“Eurimaco, non sarà così! E lo sai anche tu.
Ora in queste terre si celebra festa sacra di Apollo, un Dio
molto potente: chi potrebbe tendere l’arco? State tranquilli,
mettetelo a terra. Possiamo lasciare le scuri qui; 260
perché credo che nessuno entrerà nella sala
di Odisseo figlio di Laerte per portarle via.
Adesso, che l’araldo cominci a riempire le coppe
perché possiamo libare e mettere da parte l’arco ricurvo;
domattina ordinate al capraio Melanzio 265
di portare le capre più belle del gregge;
dopo avere offerto le cosce ad Apollo, arciere glorioso,
ci metteremo alla prova e concluderemo questa gara”.
Così disse; le sue parole piacquero a tutti.
Gli araldi versarono acqua sulle loro mani, 270
i giovani riempirono fino all’orlo i crateri
e poi distribuirono a tutti le coppe di vino.
Dopo che ebbero libato e bevuto a volontà,
a tutti parlò l’ingegnoso Odisseo, meditando inganni:
“Ascoltatemi, voi che volete sposare la gloriosa regina, 275
affinché io possa dire ciò che penso.
Io supplico Eurimaco e Antinoo simile a un Dio
(che ha parlato anche questa volta in modo giusto)
di lasciare da parte l’arco e affidarsi agli Dei.
Domattina, un Dio concederà la vittoria a chi vorrà. 280
Ma ora datemi questo lucido arco, perché anch’io
metta alla prova la forza delle mie braccia: così saprò
se c’è ancora il vigore di prima nelle mie membra robuste
o se il vagabondaggio e la povertà l’hanno distrutto”.
Così disse; tutti gli altri si sdegnarono molto, 285
temendo che riuscisse a tendere il lucido arco.
Antinoo lo rimproverò e gli fece questo discorso:
“Pazzo straniero, non hai un briciolo di cervello!
Non ti accontenti di mangiare tranquillamente accanto
a noi, così nobili? Il cibo non ti manca, 290
puoi ascoltare i nostri discorsi: come non ha mai
fatto nessun altro straniero o mendicante!
Il dolce vino ti annebbia la mente; il vino fa male
a tutti, se lo si tracanna e lo si beve senza misura.
Anche un centauro, il glorioso Euritione, fu accecato 295
dal vino quando andò fra i Lapiti, nella sala del banchetto
del magnanimo Piritoo. Quando fu accecato dal vino,
lui impazzì e commise azioni scellerate in casa di Piritoo.
I Lapiti furono presi dall’orrore, gli si avventarono contro:
lo trascinarono fuori con il bronzo spietato gli mozzarono 300
il naso e le orecchie; lui, con la mente accecata,
andò via portandosi nel cuore la sua sciagura.
Da qui nacque la lotta tra uomini e centauri; quello,
ubriacandosi, fece del male soprattutto a se stesso.
Io prevedo per te una grande sciagura, se tu dovessi 305
tendere l’arco: non troveresti più protezione
nel nostro paese; ti manderemmo subito
su una nave nera dal re Echeto, flagello dei mortali:
non potresti salvarti in nessun modo. Perciò resta
tranquillo a bere, non metterti in gara con i più giovani”. 310
Gli rispose allora la saggia Penelope:
“Antinoo, non è né bello né saggio maltrattare
gli ospiti di Telemaco o chiunque arrivi in questa casa.
Temi forse che, se lo straniero dovesse tendere il grande
arco di Odisseo con la forza delle sue braccia, 315
possa condurmi a casa sua e prendermi in moglie?
Di certo lui non sperava questo, nel suo animo;
nessuno di voi che partecipate al banchetto deve
preoccuparsi di questo: sarebbe una cosa disdicevole”.
Le disse allora Eurimaco, il figlio di Polibo: 320
“Figlia di Icario, saggia Penelope, noi non pensiamo
che quest’uomo ti porti via: sarebbe una cosa disdicevole.
Ci vergogniamo di quello che potrebbero dire uomini e donne.
Abbiamo paura che anche il più vile degli Achei possa dire:
– Degli uomini molto inferiori vogliono sposare la moglie 325
di un uomo valente, ma non sanno tendere il suo lucido arco;
invece un mendicante, un vagabondo che è arrivato qui,
ha teso l’arco e ha attraversato con la freccia le scuri di ferro –.
Così direbbero; e sarebbe un oltraggio per noi”.
Gli rispose allora la saggia Penelope: 330
“Eurimaco, non è possibile che abbiano un buon nome
tra il popolo quelli che senza riguardo dilapidano il patrimonio
di un uomo valoroso. Perché adesso vi vergognate?
Questo straniero è molto forte e robusto
e si vanta di essere nato da un nobile padre. 335
Perciò dategli il lucido arco, mettiamolo alla prova.
Ma io vi dico una cosa e certamente avverrà:
se lui riuscisse a tenderlo e Apollo gli concede questa gloria,
io gli darò vesti bellissime: una tunica e un mantello,
un’asta aguzza per difendersi dagli uomini e dai cani, 340
una spada a due tagli e sandali per i piedi:
farò in modo che vada dove lui desidera”.
Le rispose allora il saggio Telemaco:
“Madre mia, nessuno tra gli Achei può decidere
meglio di me sul fatto di dare l’arco o rifiutarlo: 345
nessuno tra tutti i potenti che sono a Itaca rocciosa
oppure abitano le isole di fronte all’Elide ricca di cavalli.
Anche se io volessi regalare per sempre l’arco all’ospite
perché se lo porti via… nessuno potrebbe impedirmelo.
Ma ora torna nelle tue stanze e bada ai tuoi lavori, 350
al telaio e al fuso; ordina alle ancelle di dedicarsi
ai loro lavori. Dell’arco si interesseranno gli uomini;
ma soprattutto io, che sono il capo di questa casa”.
Lei, stupita, tornò nelle sue stanze: nel suo animo
aveva accettato le sagge parole del figlio; 355
salita al piano superiore con le sue ancelle,
continuò a piangere Odisseo, il suo sposo, finché
Atena glaucopide non versò dolce sonno sulle sue palpebre.
Intanto il glorioso porcaro prese l’arco ricurvo per portarlo
a Odisseo; i pretendenti, nella sala, inveivano contro di lui 360
e qualcuno di quei giovani insolenti diceva:
“Dove porti l’arco ricurvo, miserabile porcaro
senza cervello? Se ci proteggeranno Apollo e gli altri
Dei immortali, presto – accanto ai tuoi porci e lontano
dagli uomini – ti divoreranno i cani veloci che allevi”. 365
Così dicevano; quello lasciò l’arco dove l’aveva preso,
impaurito: erano in molti a gridare, dentro la sala.
Ma, dall’altro lato, Telemaco urlava minaccioso:
“Vecchio, porta subito l’arco: non puoi dar retta a tutti.
Bada che io non ti insegua a sassate fino ai campi: 370
anche se sono più giovane, sono più forte di te!
Se fossi anche più forte di tutti costoro
che bivaccano a casa – i pretendenti –
li scaccerei subito e in malo modo da casa mia:
perché qui si compiono azioni scellerate!”. 375
Così disse; i pretendenti risero di lui, allegramente,
e allentarono l’ira nei confronti di Telemaco.
Il porcaro Eumeo attraversò la sala con l’arco,
si fermò e lo diede in mano a Odisseo.
Poi chiamò a parte la nutrice Euriclea e disse: 380
“Saggia Euriclea, Telemaco ti ordina
di chiudere bene le solide porte della sala;
se qualcuna di loro, dall’interno delle loro stanze,
sentirà lamenti o rumori all’interno non dovrà
uscire dalla porta, ma dovrà restare a lavorare in silenzio”. 385
Così disse e non parlò al vento;
la nutrice serrò le porte della sala.
Filezio, in silenzio, uscì dal palazzo
e chiuse le porte dell’atrio ben recintato.
Sotto il portico vi era la fune di una veloce nave, 390
fatta di giunco di papiro: con essa legò le porte e rientrò;
sedette sullo sgabello da cui si era alzato
e guardava Odisseo. Questi maneggiava l’arco
e lo rigirava tutto, saggiando da ogni parte
se i tarli avevano roso il corno, in assenza del padrone. 395
Qualcuno, rivolti gli sguardi al suo vicino, diceva:
“Certo, è un uomo che ha occhio e si intende di archi;
forse a casa sua ne possiede uno simile,
oppure ne desidera uno: da come lo rigira
tra le mani, il vagabondo sembra un esperto”. 400
Un altro dei giovani arroganti diceva:
“Potesse costui avere così poco successo
quanto ne avrà nel tendere l’arco”.
Così dicevano i pretendenti. L’astuto Odisseo,
quando ebbe ponderato ed osservato il grande arco, 405
come un uomo esperto di canto e di cetra
(che senza sforzo tende le corde allo strumento nuovo
attaccando ai due estremi le budella di pecora),
così senza sforzo tese il grande arco.
Poi impugnò la corda e la saggiò con la mano destra: 410
ed essa cantò, con voce simile alla rondine.
I pretendenti ne soffrirono e mutarono colore.
Zeus tuonò con fragore, manifestando il suo favore.
Allora il paziente Odisseo provò gioia,
poiché l’astuto Cronide aveva mandato un segno. 415
Prese una freccia veloce che stava vicino al tavolo:
la altre erano dentro la faretra concava
(gli Achei le avrebbero presto assaggiate).
Egli incoccò il dardo sull’arco, tese la corda,
stando seduto con la mano destra sul petto 420
e scagliò la freccia, mirando dritto: non mancò
il primo foro: attraversate tutte le scuri, il dardo
uscì fuori. Egli disse allora a Telemaco:
“Telemaco, lo straniero non ti disonora, sedendo
a casa tua; non ho fallito il bersaglio, 425
né faticai molto: conservo le mie forze,
a differenza dei pretendenti che mi insultano.
Ora è tempo di preparare la cena agli Achei,
con la luce della sera, e di divertirsi in altro modo
con il canto e con la cetra che allietano il banchetto”. 430
Così disse e annuì con il sopracciglio. Allora Telemaco,
il caro figlio del divino Odisseo, cinse la spada,
impugnò l’asta si mise vicino al seggio
del padre, armato di bronzo lucente.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.