Marc Chagall e il sogno poetico della pittura
Marc Chagall è pittore straordinario della nostalgia, di una nostalgia che egli ha riferito particolarmente al paesetto natio, Vitebsk, ma che in realtà ha un significato ben più simbolico e mistico. Nella pittura di Chagall, Vitebsk non è un luogo geografico bensì un luogo del sogno e dell’anima, dove si aggirano caprette parlanti ed altri animali prettamente simbolici e umanizzati. Le case sono architetture scenografiche e inabitate, come in un presepio, e la popolazione umana ha un deciso carattere fiabesco, quando sta arrampicata sui tetti ma anche se ritratta in normali occupazioni. Il colore si sparge nel paesaggio con nuvole vivamente cromatiche, le quali appaiono sospinte da un vento misterioso, che suscita personaggi, cose ed emozioni affascinanti poiché indefiniti. A Vitebsk anche il tempo non ha uno scorrimento ordinario, ma forma quinte in cui si riflettono accadimenti passati, presenti, futuri, e che mai avverranno, con un senso straordinario ed intrigante di contemporaneità.
Il pittore ha creato questo suo mondo immaginifico sulla tela credendoci con innocenza, così ha compiuto il miracolo di renderlo pulsante, conferendogli quell’assolutezza con cui i nostri sogni notturni ci illudono d’essere veri. Con tale incantesimo i sogni a volte possono comunicarci dei misteri, e questo è il modo con cui la nostalgia dell’artista ci contagia dolcemente. Una nostalgia simile alla melanconia dell’alchimista, ma affatto saturnina bensì ridente; però non meno spirituale. Infatti Chagall è stato un mistico che ha scelto di dipingere piuttosto di recarsi alla sinagoga, che alla rigidità dell’orazione canonica ha preferito la danza della pittura. In ciò ha mostrato il folle genio dei mistici hassidi che egli aveva visto piroettare sulle piazze della sua infanzia; sono certo che lì comprese come l’autentico misticismo sia al di là delle regole, che la vera preghiera si matura nel vivere, e nel vivere intensamente con l’apertura del cuore. Egli è stato infatti un pittore-musico errante, come i suoi violinisti trasfigurati, ed ha composto sarabande di colori e di figurine aggraziate e sorridenti.
La sua è una canzone eterna dell’intimità e dell’amore, di cui la donna amata è stata Dea e musa ispiratrice. Il sogno di Chagall parve lacerarsi dopo la morte di Belle, ma per fortuna sorse per lui un’altra Luna; due donne amatissime che sono state uno stesso archetipo femminile nella sua pittura quanto nella sua vita, uno specchio irrinunciabile per rasserenarsi nella fiducia della congiunzione alchemica degli opposti. Il pittore si è continuamente raffigurato insieme all’amata, ma senza l’investigazione introspettiva dell’autoritratto; non ha inteso vedersi personalmente, bensì celebrare l’unione amorosa, in cui la presenza del singolo è irrilevante. Quella coppia che ha così tanto accarezzato con la sua pittura è un gioco di specchi, una formula d’integrazione, un costante richiamo all’androginia spirituale, una posizione di unità intorno a cui si compone il grande spettacolo dell’irrefrenabile generazione, quasi un mandàla della Creazione.
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