Plunolingi – Lo terraneo te li messapi
Il Selenico, la lingua dei Plunolingi che ho creato e della quale esiste un vocabolario “Selenico-Italiano / Italiano-Selenico” di oltre 1300 definizioni è nata dalla necessità di dare voce ad uno dei protagonisti del mio romanzo intitolato La leggenda dei Plunolingi.
Il personaggio in questione, infatti, essendo stato ricoperto dalla Luna con la polvere dell’immortalità, era l’unico membro del proprio popolo a vivere da centinaia di anni e quindi doveva per necessità parlare una lingua antica e in disuso.
A darmi l’idea di creare questo strano idioma fu un viaggio negli Stati Uniti di qualche anno fa quando sentii il linguaggio usato da alcuni italiani molto anziani: non parlavano la nostra lingua, ma quella che avevano lasciato in patria anni fa imbarcandosi per il viaggio della speranza!
Lo trovai così buffo e tenero da non poter non tenerne conto per uno dei miei libri.
Il nome “Selenico” non l’ho scelto a caso: la luna ed io abbiamo un rapporto molto speciale, dovevo dedicargliela la mia lingua, per forza!
Con questo linguaggio ho scritto anche un mini-libro di favole dal titolo Quatruo Corpuli et Quatruo Capulei, ha riscosso un discreto successo, l’ho presentato anche in RAI nella Sezione letteraria “Caffè” ed è stato letto in diverse occasioni da artisti molto apprezzati, uno dei quali l’attore Giorgio Colangeli; la sua performance si può vedere su Youtube digitando Quatruo Corpuli et Quatruo Capulei.
Quello che segue è un piccolo brano in selenico.
Lo terraneo te li messapi
Atprodetti ne lo terraneo te li messapi, ne lo loco addove lo mareo è intrasparentissimo et li persicei ambulano felicitati et leti.
Me intruffoletti indentro cotella aqua magnificentissima et ambuletti idem at li persicei. Agguardetti le stelle te lo mareo, magnificentissime et rubigne accostatissime at le rocciate.
Agguardetti persicei argentichi che pascevano le erbule molli et ambulavano accostatissimi at li alteri persicei idem at essi medesemi.
Centuplichi riccei inserratissimi et scuritissimi co’ li puntali se restavano immotissimi insopra le rocciate. Lo sole faceva la provatura sua te accalorare la aqua atprofundissima et jelata sedinvero li raggi te esso se restavano insenza puotere sequitare.
Scuritissimi cavernali agguardetti insotto lo mareo, attimorosissimi et scuritissimi.
Et inmentre facetti la provatura te introffulare me medesema indentro uno te cotelli cavernali, le timpanate mie intendettero uno straneo musicale che narrette: “Agguarda, sedinvero non accostare te medesema!
In cotesto loco, solamentissimo li persicei puotono facere la esistura loro.
Agguarda ta insopra lo pelame te la aqua, restate lungevolissima!”
Escetti ta lo mareo co’ lo capuleo mio pe’ intendere ta cotale loco me atprodettero cotelle narranze, sedinvero nessunissimo vitale era accostato at me medesema. Reintruffoletti lo capuleo ne lo mareo et agguardetti una femina sirenea magnificentissima.
“Accosta te medesema ” me narrette co la vocianza sua maliatora.
Me accostette la manula sua pe’ vicinare me at se medesema, sedinvero uno persice piuso enormico me cogliette pe’ uno pietale et me strascichette insuso te una rocciata.
Inmentre facevo la provatura te redestare me medesema ta cotella streconeria, intendetti una altera narranza te lo persice enormico.
“Restate lungevolissima, sedinvero aggradisci te restare vitale insopra lo terraneo tuo!”
Restetti insopra la rocciata pe’ addiversissime ore et solamentissimo allorquando lo sole se celette indentro lo mareo, me redestetti et me restrascichetti at la dimora mia.
Atora me precunto sedinvero facetti una sognatura oppuranco ero destissima. Ta cotello jorno, però, non discendetti piuso indentro te lo sconfinatissimo mareo.
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