Le streghe di Albione 6
Giugno. Anno del Signore 1644
La tensione crebbe ma nessuna delle parti si sbilanciava. Gli spagnoli che palesemente sospettavano che gli italiani fossero francesi travestiti temevano che questi reagissero, mentre gli italiani esitavano a parlare per non tradirsi.
Ma non poteva andare avanti così. Il condottiero italiano a un certo punto giocò la sua carta. In uno spagnolo maccheronico disse all’ufficiale iberico indicando i compagni: “Todos catalanos”
Il luogotenente si mise a ridere rivolgendosi agli altri come per dire che quelli parlavano male spagnolo per via della loro provenienza. Altri mostrarono un po’ di prosopopea e qualcun altro commentò dicendo qualcosa che suonava come “francesi a metà”.
Il luogotenente si mise a parlare inglese.
«Siamo in Inghilterra e quindi parliamo la lingua locale. Così non solo i catalani ma anche le signore ci capiranno.»
Diede uno sguardo cavalleresco alle donne in gabbia.
«Siete sicuri che siano streghe?» chiese poi.
«Lo deciderà l’Inquisitore» rispose l’italiano, sempre in inglese.
«Questi inquisitori locali da quattro soldi vedono streghe dovunque» commentò lo spagnolo.
«Gli ordini sono ordini» rispose l’italiano. La smorfia dello spagnolo sembrava esprimere che non gradiva troppo l’Inquisizione inglese. E forse neppure quella spagnola.
«Comandante, siamo qui per sostenere la causa del Re. Siamo soldati e come soldati siamo pronti a combattere contro uomini… hombres!”
Non si era sbilanciato per paura della reazione di un superiore. L’italiano prese la palla al balzo e rispose.
«Per la patria affronterei qualsiasi soldato nemico. Luogotenente, questa storia di bruciare donne è solo un dovere a cui devo ubbidire.»
Non aggiunsero altro. Si erano capiti senza sbilanciarsi troppo.
Fu allora che il drappello mandato al villaggio si avvicinò cavalcando.
Mary osservò la scena muta che si svolgeva davanti a lei: il dubbio dei nuovi arrivati alla vista degli spagnoli. Il dubbio e la sorpresa alla vista della palese intesa tra l’ufficiale spagnolo e il comandante italiano. Non appena a tiro di voce, il condottiero disse subito in inglese.
«Parliamo la lingua locale per evitare incomprensioni tra noi catalani e dei veri spagnoli.»
«Catalani o castigliani, serviamo tutti lo stesso re, comandante» rispose il luogotenente.
«E mangiamo la stessa paella» aggiunse il milite appena giunto dal villaggio, mostrando i resti del risotto.
«Il parroco del villaggio è malato e noi l’abbiamo nutrito con la paella fatta da noi» spiegò il condottiero.
«Scommetto che entro pochi giorni si rimetterà. La cucina spagnola farebbe risuscitare i morti.» commentò con una risata il luogotenente.
«A questo punto, mi sembra doveroso offrire i resti della gastronomia nostrana ai nostri compatrioti e compagni d’arme» ordinò il condottiero.
«Grazie, comandante, ma a quanto vedo basta solo a malapena per noi. Non vogliamo abusare della vostra ospitalità» ribatté lo spagnolo.
«È un ordine, luogotenente» rispose con un sorriso l’italiano. «Tra parentesi noi ci siamo abbuffati prima di mandare l’ambasciata culinaria al villaggio.»
«A questo punto non mi resta che ubbidire» accettò lo spagnolo con un sorriso che manifestava anche l’acquolina alla bocca e un vago peccato di gola.
Gli italiani presero dei piatti di metallo e li riempirono di risotto, centellinandolo perché bastasse per tutti gli spagnoli. A malapena fu un boccone ciascuno, ma bastò per cementare una specie di cameratismo e aumentare il buon umore.
Il luogotenente mangiò con gusto commentando.
«Comandante, secondo me non siete catalani.»
Un brivido prese Mary. Ma un attimo dopo la voce gioviale dello spagnolo continuò sedando la tensione.
«Secondo me il cuoco è di Valencia, la patria d’origine della paella. Mai assaggiato una paella così gustosa» concluse, asciugandosi le labbra e la barba.
Un attimo dopo l’espressione del luogotenente si fece triste.
«Comandante, ma non sentite la nostalgia di casa? Della Catalogna? Quanto mi manca la mia Mancha. Perdonate il sentimentalismo. Sono orgoglioso di partecipare a questa missione, e spero di poter contribuire alla vittoria del Re. Ma onestamente soffro nel vedere un popolo diviso che si combatte l’un l’altro. Gente che parla la stessa lingua e si ammazza tra di loro. Onestamente prego Dio ogni giorno che una cosa del genere non accada mai in Spagna. Immaginate di dover combattere contro altri spagnoli.»
«Anche se fossero catalani?» rispose con un sorriso il comandante.
«Catalani, castigliani, valenziani, andalusi… Tutti spagnoli.»
«Moreschi, marrani, indios della Nuova Spagna…» incoraggiò il condottiero.
«Ma sì, mettiamoci dentro anche loro. Viva il Re!» concluse lo spagnolo.
«E non dimentichiamo quelli della Mancha» aggiunse l’italiano elogiando le origini del luogotenente.
«Diciamo che quelli della Mancha sono stati un po’ ridicolizzati per via di quel libro di Cervantes.
«Don Quixote?» rispose l’italiano. Il divertente romanzo aveva varcato i confini ed era stato tradotto in italiano.
«L’avete letto, comandante?»
«Tradotto nella mia lingua, naturalmente.»
«Onestamente, comandante qui in queste contrade straniere mi sento un po’ una specie di Don Quixote, un cavaliere errante per una causa a cui crede.»
«Un prode soldato della Mancha non si smentisce» rispose il condottiero.
La piacevole conversazione venne interrotta da uno sparo, seguito da un altro. Uno spagnolo e un italiano caddero. Un attimo dopo da dietro il bosco spuntò un’orda di uomini armati. Non portavano le divise di Cromwell, né quelle realiste.
«Bandidos!» commentò il luogotenente. «Senza bandiera, fuorilegge, sbandati.»
Una raffica di mitraglia sollevò piccoli vulcani di terra.
«E anche ben armati con fuoco di copertura» concluse il comandante.
«E di sicuro molti, visto che osano attaccare dei soldati altrettanto ben equipaggiati. Chissà quanti sono ben nascosti al riparo dietro gli alberi» aggiunse il luogotenente.
Una voce roca echeggiò dal bosco.
«Spagnoli, ascoltate. Siete circondati. Non avete scampo. Se volete salva la vita consegnate le armi, i cavalli e le donne.»
«Sono streghe destinate all’Inquisizione! Serve del Diavolo. Andrete all’Inferno» ribatté il comandante italiano.
«Prima dell’Inferno godremo il Paradiso. E prima che finiscano al caldo, scalderanno i nostri giacigli. Cosa avete da perdere?» ribatté la voce.
Come per enfatizzare l’irrifiutabile richiesta, una nuova raffica di mitraglia sollevò ulteriore polvere.
«Alla prossima sventagliata alziamo la mira e una ventina di spagnoli finirà in Purgatorio o all’Inferno.»
«Mi è venuta un’idea, luogotenente» bisbigliò il condottiero.
Subito dopo urlò.
«Queste peccatrici erano destinate all’Inferno in ogni caso. Le lasceremo peccare ancora una volta, tanto sono destinate a bruciare per l’eternitá. Anno più anno meno. Ma lasciateci le armi.»
«No way» rispose l’inglese. «Donne, cavalli e armi. Specialmente i rivoltoni Vincianus. Ne abbiamo tre, ma qualche altro in più non fará male.»
«E la vita dei soldati?» richiese.
«Perché sprecare piombo? Non appena ci consegnerete cavalli armi e femmine potrete andarvene.»
«E va bene. Parola d’onore?»
«Parola d’onore» rispose la voce.
«Parola di bandido» commentò il luogotenente.
«Mi fiderei di più di un lupo famelico» aggiunse l’italiano. «Ma alla forza risponderemo con l’astuzia.»
CONTINUA…
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato un secolo dopo nell’universo del romanzo
“Il Sole all’Orizzonte” dello stesso autore.
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