L’angelo e l’aquila
Ottobre. Anno del Signore 1529
Da quando aveva iniziato il sacerdozio, Luna d’Argento aveva imparato il concetto di ”angeli”, ”messaggeri” in greco. In India li chiamavano ”deva”. Esseri tra il Grande Spirito e gli umani, con le proprie gerarchie e funzioni. Comprendere l’armonica fusione tra politeismo e monoteismo era stato come illuminare strade buie, un mistero chiarito semplicemente.
Gli dei mexica e maya avevano la loro corrispondente in quelli greci, romani e norreni. Dei che non intendevano sostituirsi all’Entità Suprema, ma, anzi, servirla contribuendo al contatto con i mortali. Si era ormai abituata a considerare il Serpente Piumato un arcangelo e Huitzilopoctli l’angelo patrono del suo popolo. Gerarchie e funzioni, come tra gli umani.
L’angelo che le stava davanti era la rappresentazione cristiana di questi esseri. Bellissimo e alato, grande quanto un uomo di media statura e vestito di una tunica candida. La cintura era di cuoio come il fodero della lunga spada che pendeva al suo fianco.
«Un angelo sterminatore, secondo la tradizione biblica» commentò Atena.
«O custode» ribattè lo sposo di lei, che si chiamava Angelo, come l’automo immobile che sembrava guardarli. Atena proseguì: «La statua di Minerva che la settimana scorsa ha rischiato di privarci del numero uno della Serenissima Repubblica non poteva volare. Ma Michele, sì.»
«Voi dato nome angelo?» chiese Luna d’Argento nel suo stentato italiano.
«Potevamo chiamarlo anche Gabriele, un nome angelico vale l’altro. Il nostro Michelino è dotato dell’apparato ad ance vibranti sensibili ai suoni come la defunta Minerva. Credevamo che l’ultima innovazione fosse un segreto e invece Arcangelo di Caprera ci ha rubato l’idea.»
Dal soffitto, la voce metallica del pilota tuonò: «Roma in vista!»
Luna corse per prima al finestrone panoramico del Proteus. Non voleva perdersi il panorama della leggendaria città, mai vista prima d’ora. La Città Eterna, la Capitale del Mondo. La settimana prima aveva fatto un gemellaggio tra mexica e veneziani. Quello tra gli antichi romani e il suo popolo non fu da meno.
Anche i fondatori di Roma avevano vagato per il Lazio e avevano eretto la città in base a una profezia. All’inizio disprezzati dai popoli vicini, alla fine se li erano fatti amici e alleati, fondando l’Impero più grande che l’Europa avesse mai conosciuto. Ora un’enclave dove regnava il papa, ancora capitale, ma di un regno spirituale. La Chiesa Riformata aveva voltato le spalle a un passato di corruzione e giochi di potere tanto poco consoni alla parola del fondatore di quel credo, nato da una vergine la cui nascita era stata vaticinata proprio da un angelo.
Come evocato, l’angelo di bronzo che si stagliava in cima al Castello a lui dedicato, lontano ma visibile, confermò che le visioni di giorni prima erano state giuste.
«Io visto questo e…»
«Ti crediamo e ti siamo grati, Luna» confermò Artemide, che aveva condiviso le sensazioni dell’americana.
«Sua Santità è stato avvisato in tempo della minaccia e adesso si trova rifugiato al sicuro a Castel Sant’angelo.» Indicò la massiccia fortezza.
«Me non capire aquila.» insistè Luna con apprensione.
«L’aquila fu il simbolo di Roma» cercò di chiarire Artemide. «Le visioni ci hanno portato nel luogo giusto.»
«Non capire. Aquila minaccia angelo. Aquila vera. Aquila vola.»
«Le aquile vivono in montagna, Luna. Le uniche aquile qui a Roma sono le effigi che si trovano qua e là a ricordare il suo grande passato. La minaccia esiste, di sicuro, ma l’aquila è… un simbolo.»
Atena aggiunse: «Certo, i sicari dell’Ombra agli ordini della monaca danese e del bel tenebroso arcangelico cercheranno di attaccare, sicuramente dai cieli, dove le aquile osano. Ma, come noi, non possono avvicinarsi troppo senza essere visti in tempo e abbattuti dalla contraerea delle guardie svizzere. Oppure dal nostro amico.» Indicò Michele immobile.
***
La suora e il frate si guardarono a distanza. Il bel volto del monaco esibiva un sorriso sornione. Girarono lo sguardo alla volta dell’effige dell’Aquila Romana appollaiata sul simbolo SPQR, piazzata in cima a una colonnina. Avanzarono ambedue verso il rapace bianco come il marmo, incontrandosi. Il frate toccò la S dicendo: «S come sterminio.» Il sorriso divenne un ghigno satanico. Un rumore meccanico provenne dall’aquila, le cui ali si mossero, candide come le sue piume. Schiacciò la P.
«P come papa» declamò la suora. «Morto lui, Roma ritornerà l’oscura Babilonia dei bei tempi.»
L’aquila si involò, leggera e meccanica. La statua alata che sovrastava Castel Sant’angelo sembrò guardarla, passiva. Le guardie svizzere agli spalti alzarono la testa.
***
«Oggetto volante non identificato!» tuonò la voce della vedetta.
Atena tirò una levetta nella schiena di Michele, e l’angelo meccanico si animò. Corse verso la rampa di lancio e si gettò nel vuoto, aprendo le ali e volando veloce in direzione della bianca aquila che stava raggiungendo il Castello. Atena esclamò allarmata: «I sensori degli occhi seguono qualsiasi oggetto volante. Ci aspettavamo un ornitottero e invece… avevi ragione, Luna.»
L’americana si limitò a seguire le fasi del duello celeste.
Da lontano, la candida aquila poteva sembrare una colomba, portatrice di pace secondo la tradizione biblica. Le guardie svizzere agli spalti erano appena state ingannate. L’angelo la battè in velocità. Custode o sterminatore? Sfoderò la spada che baluginò al sole del mite autunno romano. Colpì l’uccello prima che questo si infilasse in una delle finestre del Castello. L’aquila si trasformò in nuvola. Atena commentò.
«I fumi venefici. Senza l’intervento di Michele, Sua Santità e le guardie svizzere all’interno ci avrebbe rimesso… le penne. Invece è toccato a quelle dell’aquilotto assassino.»
La carcassa dell’automo volante distrutto uscì dalla nuvola tossica e cadde.
La sirena del Proteus urlò e gli apparati acustici di Michele lo fecero girare in direzione del suono. Poi, quelli visivi mostrarono la via da seguire: l’unico oggetto volante rimasto sui cieli di Roma.
L’angelo planò leggiadro sulla rampa, piegò le ali e si incamminò con passo cadenzato all’interno del Proteus. Rinfoderò la spada e alla fine restò immobile, dopo che Atena aveva nuovamente tirato la levetta per disattivarlo.
«Bravo, Michelino» lodò la donna, pur consapevole che l’angelo non avrebbe sentito.
***
La folla correva per le strade gridando su miracoli, angeli, nuvole e altro. La monaca e il frate benedirono a destra e a manca. Il monaco sbarbato non sorrideva ma si atteggiava a una mistica serietà.
Il loro passi si fecero sempre più frettolosi.
Non appena lontani da orecchie indiscrete, Arcangelo ruggì: «Ma come diavolo l’hanno saputo?»
La suora, con tono rassegnato rispose: «Uomo di poca fede, il tuo mestiere si ferma alle macchine. I nostri avversari hanno evidentemente qualche veggente tra di loro. Orbene, prima di ritentare dovremmo darci da fare per reclutare sensitivi dai poteri che si possano opporre ai loro.»
Il sorriso che si aprì sulla sua bocca esprimeva speranza in un trionfo futuro.
«Hanno vinto due volte, ma si sono anche scoperti. Il mondo è grande. La magia latita in queste terre che hanno ucciso più streghe che soldati. Le tue macchine hanno accorciato le distanze. America, Asia, Africa e le loro magie sono a portata di mano. Servi dell’Ombra si trovano dovunque. Mio padre era uno di loro, figlio d’Europa ma credente a divinità egizie.»
Gli occhi si illuminarono: «La terra degli antichi faraoni ci attende. La guerra continua. La Luce disperde la Materia, l’Ombra la protegge. Le tenebre trionferanno.»
Entrarono in una casa abbandonata. Scesero la scala che portava a una cantina. Varcarono una porta, ritrovandosi in una darsena sotterranea dove un piccolo submarem li attendeva.
Si immersero e, nascosti sotto le acque del Tevere, lasciarono Roma. Mentre navigavano in immersione la suora dichiarò: «L’assenza della luce mi fa star bene. L’Ombra deve vincere!»
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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