La guerra di Troia – 3di9

5.

Gli Atridi

La punizione di Tantalo

Su Agamennone e Menelao, tuttavia, è opportuno spendere qualche parola in più, visto il rilievo che essi avranno nel corso della nostra storia; all’epoca, essi vivevano alla corte di Tindaro perché esiliati dalla loro terra natia dallo zio Tieste: ma la stirpe cui appartenevano (quella dei Pelopidi) era già turpemente nota in tutta l’Ellade[1].

A dare il proprio nome alla infelice dinastia fu Pelope, figlio di Tantalo; quest’ultimo commise un delitto così efferato da suscitare orrore e raccapriccio per secoli e secoli.

Potendo vantare di discendere direttamente dal grande Zeus, il tiranno del cielo, Tantalo invitò tutti gli dei dell’Olimpo ad un banchetto:

per mettere alla prova la loro onniscienza, Tantalo fece a pezzi il figlio ancora bambino e, dopo averlo cucinato, lo imbandì sulla mensa degli immortali; ovviamente, gli dei si accorsero del turpe inganno e respinsero inorriditi quel piatto di carne (tutti eccetto Demetra, dea delle messi, che senza badarvi ne mangiò una spalla).

L’ira di Zeus non si fece attendere; Tantalo venne scaraventato negli inferi e condannato ad un atroce supplizio che Omero così descrive:

Soffriva ritto dentro uno stagno: l’acqua lambiva il suo mento. Pareva sempre assetato e non poteva attingere e bere: ogni volta che, bramoso di bere, quel vecchio si curvava, l’acqua risucchiata spariva, la nera terra appariva ai suoi piedi. Un dèmone la prosciugava. Alberi dall’alto fogliame gli spargevano frutti sul capo, peri e granati e meli con splendidi frutti, fichi dolcissimi e piante rigogliose d’ulivo: ma appena il vecchio tendeva le mani a sfiorarli, il vento glieli lanciava alle nuvole ombrose”[2].

Dopo aver punito Tantalo, gli dei risuscitarono Pelope e, al posto della spalla mancante, gliene fecero una di avorio. Il figlio di Tantalo, tuttavia, non si dimostrò meno scellerato del padre.

Giunto nell’età virile, infatti, Pelope si mise alla ricerca di una moglie di stirpe regale e venne a sapere che Enomao, re di Pisa nell’Elide, avrebbe concesso la mano della figlia Ippodamia solamente a colui il quale fosse riuscito a sconfiggerlo in un agone sportivo.

In realtà, il re di Pisa voleva evitare in tutti i modi che la propria figlia convolasse a giuste nozze, perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto proprio per mano del genero.

Enomao possedeva dei cavalli divini pressoché invincibili, per cui proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero conquistato la mano di Ippodamia.

Già tredici giovani avevano perso la vita in questo modo quando Pelope giunse alle porte del palazzo di Enomao: il figlio di Tantalo ricorse così al tradimento per essere sicuro di vincere.

Mirtilo, figlio del dio Hermes e auriga del carro di Enomao, era infatti innamorato di Ippodamia, per cui Pelope promise di fargli passare una notte con lei se l’auriga avesse consentito allo sfidante di vincere la corsa;

poiché Enomao guidava personalmente il carro quando gareggiava con i pretendenti, Mirtilo tolse i perni degli assali del carro e li sostituì con dei pezzi di cera.

Pelope e Ippodamia

Durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò ed Enomao mori: Pelope ne uscì quindi vincitore e conquistò la mano di Ippodamia ma, non avendo nessuna intenzione di mantenere la promessa fatta a Mirtilo, lo gettò in mare, facendolo annegare; in punto di morte, tuttavia, lo sfortunato auriga maledisse Pelope e la sua stirpe e le sue parole vennero colte dal di lui padre, Hermes.

Pelope diventò re, accumulò ricchezze e onori, ma i suoi discendenti, vittime della maledizione degli dei, erano destinati a non conoscere mai la pace, sebbene il figlio di Tantalo avesse tentato di conciliarsi i favori degli dei istituendo i giochi olimpici (Olimpia si trovava, appunto, nell’Elide, a poca distanza da Pisa).

I figli di Pelope e di Ippodamia, Atreo e Tieste, vennero chiamati a succedere al trono di Micene, una delle città più importanti di tutta l’Ellade; la prima dinastia di reggitori, quella dei Perseidi (dal nome di Perseo, il mitico fondatore), si era infatti estinta a seguito di una faida che aveva opposto l’ultimo re Euristeo ai discendenti di Eracle (detti, appunto, gli Eraclidi).

Il solito oracolo aveva prescritto agli abitanti di Micene di prendere come re un discendente di Pelope, ragion per cui i due fratelli si recarono nella città, assieme alla loro servitù e al bestiame, in attesa della scelta del popolo[3].

Il dio Hermes, subdolamente, aggiunse un agnello dal vello d’oro agli armenti che Tieste ed Atreo avevano ereditato dal padre, sapendo che ciò avrebbe provocato tra i due una disputa fatale. Infatti Atreo pretese nella sua qualità di primogenito l’agnello, che venne sacrificato alla dea Artemide.

Tieste, dal canto suo, riuscì a trafugare la pelle dell’animale sacrificato poco prima che gli anziani proclamassero l’erede al trono di Micene; e quando il consiglio offrì la corona al possessore del vello d’oro, Tieste poté esibire il magnifico tesoro ed ottenere il trono.

Lo stesso Zeus, indignato per un inganno così turpe (per ottenere il suo scopo, Tieste era giunto sino a sedurre la moglie di Atreo, Erope), intervenne nel conclave rivelando sia il furto del vello che le infedeltà della moglie del maggiore dei Pelopidi. Il trono andò quindi al primogenito, mentre Tieste veniva condannato all’esilio.

Una volta re di Micene, Atreo cercò il modo di vendicarsi del fratello; dapprima uccise la moglie Erope e poi mandò a Tieste un messaggio distensivo, dissimulando una volontà di riconciliazione.

L’ignaro Tieste fu ben lieto di ritornare a Micene: il fratello lo accolse con ipocrite esibizioni di affetto e l’invitò ad un banchetto per celebrare il suo ritorno; durante il pranzo, si svolse una scena macabra: Atreo esibì le teste mozzate dei figli di Tieste (Tantalo e Plistene) e rivelò al fratello che gliene aveva servito le carni come pietanza.

Folle di dolore, il secondo figlio di Pelope maledisse Atreo e fuggì verso l’oracolo di Delfi per chiedere in che modo potersi vendicare; su suggerimento della Pizia (la sacerdotessa di Apollo che parla per bocca del dio), Tieste generò un altro figlio (frutto, pare, della relazione incestuosa che egli ebbe con la figlia Pelopia), cui venne dato il nome di Egisto.

Genealogia degli Atridi

Padre e figlio riconquistarono il trono di Micene uccidendo Atreo e condannando all’esilio i suoi due figli maschi, che ripararono a Sparta; e qui si riallacciano le fila della nostra storia.

 

6.

Il ratto di Elena

 

Il Peloponneso

 

Alla morte di Tindaro, poiché i figli maschi di quest’ultimo (stiamo parlando dei due Dioscuri, Castore e Polluce; ve ne ricordate?) erano stati assunti fra le divinità, il regno passò a Menelao, mentre Agamennone riuscì a riprendersi il trono di Micene scacciando Egisto e Tieste;

in seguito, il maggiore degli Atridi riuscì ad allargare il suo dominio anche alla città di Argo e Tirinto e diventando così il padrone di tutta l’Argolide. Il Fato, tuttavia, aveva in serbo per la stirpe dei Pelopidi un destino che non era fatto solo di onore e gloria, ma che avrebbe portato gravi lutti agli Elleni.

Alcuni anni dopo le nozze di Elena, infatti, a Sparta venne ricevuta con tutti gli onori una missione diplomatica proveniente dalla fiorente città di Troia, rappresentata dal nobile Enea e dal giovane rampollo della casata di Priamo, il giovane ed aitante Paride.

Durante il loro soggiorno in Laconia, Menelao dovette recarsi a Creta per celebrare i funerali di un suo avo. Complice l’influsso di Afrodite (che – ricorderete – aveva promesso a Paride l’amore della donna più bella del mondo in cambio del pomo della discordia), in assenza del marito Elena si invaghì del giovane troiano.

Tra i due nacque una insana passione: Paride conquistò il cuore della figlia di Leda e, nonostante il parere contrario di Enea, riuscì a convincerla a lasciare la casa paterna per partire alla volta della città di Troia; Elena, accecata dalla passione, seguì il figlio di Priamo portando con sé anche una buona parte del tesoro di Menelao.

Il viaggio verso l’Ellesponto non fu privo di pericoli anche perché la dea Hera, ancora adirata con Paride per il suo fatale giudizio, riuscì a convincere le divinità marine a scatenare una tempesta contro le navi troiane, costringendole a sbarcare in Egitto[4].

La flotta dei Teucri giunse quindi a Sidone, nella terra dei Cananei, prima di giungere a Troia e di presentare a tutta la famiglia reale la sposa di Paride.

Quando Menelao tornò a Sparta e scoprì l’inganno, pieno di furore chiese al fratello Agamennone di far valere il giuramento che i pretendenti di Elena avevano religiosamente pronunciato davanti al re Tindaro.

Il re di Micene inviò emissari in tutta l’Ellade per richiamare tutti i principi della Grecia, invitandoli a rispettare il patto solenne; la parte migliore della nobiltà ellenica era così chiamata a radunarsi davanti al porto di Aulide, nell’isola di Eubea, con il proprio esercito.

Il ratto di Elena, di Guido Reni, 1631

[1]    Antico nome della Grecia.
[2]    OMERO, Odissea, Libro XI, vv. 582-592.
[3]    In realtà il mito attribuisce a Pelope anche un altro figlio, Pitteo; re di Trezene, egli è famoso per aver dato alla luce la bella Etra, madre dell’eroe Teseo (v. Racconti senza tempo, Vol. I, pp. 22-39).
[4]    Secondo una versione della leggenda, riferita dal poeta Stesicoro e poi ripresa nella tragedia “Elena” di Euripide, in Egitto la bella figlia di Leda venne sostituita da un fantasma con le sue sembianze. Paride condusse quindi con sé un mero simulacro, mentre la bella Elena – pentita del tradimento – rimase in Egitto in attesa del marito.

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di Daniele Bello

Dicembre 12, 2017

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