Inferno – Canto II
INFERNO
Canto II
Testo Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno m’apparecchiava a sostener la guerra O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; Io cominciai: «Poeta che mi guidi, Tu dici che di Silvio il parente, Però, se l’avversario d’ogne male non pare indegno ad omo d’intelletto; la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, Per quest’andata onde li dai tu vanto, Andovvi poi lo Vas d’elezione, Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? Per che, se del venire io m’abbandono, E qual è quei che disvuol ciò che volle tal mi fec’io ’n quella oscura costa, «S’i’ ho ben la parola tua intesa», la qual molte fiate l’omo ingombra Da questa tema acciò che tu ti solve, Io era tra color che son sospesi, Lucevan li occhi suoi più che la stella; “O anima cortese mantoana, l’amico mio, e non de la ventura, e temo che non sia già sì smarrito, Or movi, e con la tua parola ornata I’ son Beatrice che ti faccio andare; Quando sarò dinanzi al segnor mio, “O donna di virtù, sola per cui tanto m’aggrada il tuo comandamento, Ma dimmi la cagion che non ti guardi “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, Temer si dee di sole quelle cose I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, Donna è gentil nel ciel che si compiange Questa chiese Lucia in suo dimando Lucia, nimica di ciascun crudele, Disse: – Beatrice, loda di Dio vera, non odi tu la pieta del suo pianto? Al mondo non fur mai persone ratte venni qua giù del mio beato scanno, Poscia che m’ebbe ragionato questo, e venni a te così com’ella volse; Dunque: che è? perché, perché restai? poscia che tai tre donne benedette Quali fioretti dal notturno gelo tal mi fec’io di mia virtude stanca, «Oh pietosa colei che mi soccorse! Tu m’hai con disiderio il cor disposto Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: intrai per lo cammino alto e silvestro. 142 | Parafrasi l giorno era quasi finito, e l’oscurità toglieva gli animali che sono in terra dalle loro fatiche; e io ero il solo che mi preparavo ad affrontare un cammino angoscioso e terribile, che la mia mente infallibile descriverà. O muse, o alto ingegno poetico, aiutatemi; o mente, che annotasti quello che hai visto, qui dovrai dare dimostrazione della tua nobiltà. Io cominciai a dire: «Poeta che mi guidi, valuta se la mia virtù è sufficiente, prima di condurmi in questo arduo viaggio. Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita, andò nell’Aldilà in carne e ossa, con tutto il corpo. Perciò, se il nemico di ogni male (Dio) fu cortese verso di lui, l’uomo e i suoi meriti non sembrano indegni a un uomo dotato di intelletto, se si pensa all’alto effetto che doveva essere prodotto da lui; infatti egli fu scelto nell’Empireo come fondatore della nobile Roma e del suo impero: e Roma e il suo impero, a dire la verità, furono stabiliti come la santa sede dove risiede il successore del primo papa (Pietro). Grazie a questo viaggio che tu narri, Enea sentì cose che lo portarono poi alla vittoria e produssero il manto papale (la nascita della Chiesa). Vi andò poi (nell’Aldilà) ilo strumento della scelta (san Paolo), per rendere salda quella fede che è principio alla via della salvezza. Ma io perché dovrei andarci? chi lo concede? Io non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun altro mi ritiene all’altezza di questo compito. Perciò, se accetto di seguirti, temo che il mio viaggio sia una follia. Sei saggio, comprendi meglio di come io possa spiegare». E come colui che non vuole più ciò che voleva, e cambia idea a causa di nuovi pensieri, cosicché recede totalmente dai suoi propositi, così divenni io in quei luoghi oscuri, perché pensandoci sopra posi fine all’impresa che fu così rapida all’inizio. L’ombra di quel nobile uomo rispose così: «Se io ho capito bene le tue parole, la tua anima è vittima di viltà, la quale molte volte opprime l’uomo e lo fa desistere da un’impresa onorevole, proprio come una falsa immagine fa imbizzarrire una bestia quando si adombra. Affinché tu ti liberi da questi timori, ti dirò perché sono venuto qui e quello che sentii nel primo momento che provai per te dolore. Io ero tra le anime sospese del Limbo, e mi chiamò una donna tanto beata e tanto bella che le chiesi di comandarmi. I suoi occhi erano più lucenti di una stella e lei iniziò a parlarmi con tono dolce e soave, con una voce che sembrava il linguaggio di un angelo: “O nobile anima mantovana, di cui la fama ancora perdura nel mondo e durerà tanto quanto il mondo, colui che mi amò in modo disinteressato (Dante) sul pendio deserto di un colle è impedito a tal punto che si è voltato indietro per paura; e temo che sia già smarrito a tal punto che io mi sono mossa troppo tardi per soccorrerlo, per quello che ho sentito su di lui in cielo. Ora muoviti, e con la tua parola elegante, e con ciò che è necessario per la sua salvezza, aiutalo in modo che io ne sia consolata. Io che ti faccio andare sono Beatrice; vengo da dove desidero tornare; l’amore mi ha fatto venire qui a parlarti. Quando sarò davanti a Dio, spesso loderò il tuo nome”. Allora tacque e io risposi: “O donna virtuosa, l’unica per cui la specie umana si eleva al di sopra di tutto ciò che si trova sotto il cielo della Luna, la tua richiesta mi trova così d’accordo che se anche avessi giù ubbidito sarebbe tardi; non devi fare altro che dirmi quello che vuoi. Ma dimmi il motivo per cui non hai timore nello scendere quaggiù, all’Inferno, dal luogo più ampio dove desideri tornare”. Lei mi rispose: “Poiché vuoi maggiori dettagli, ti spiegherò in breve il motivo per cui non temo di venire qua dentro. Si devono temere soltanto quelle cose che hanno il potere di fare male agli altri; le altre no, poiché non sono spaventose. Io sono resa da Dio, bontà sua, tale che la vostra miseria non mi tocca e nessuna fiamma dell’Inferno può danneggiarmi. Nel cielo c’è una donna nobile (Maria) che si duole di questo impedimento per il quale chiedo il tuo aiuto, così che infrange il duro giudizio divino. Costei chiese di parlare a Lucia e le disse: – Ora il tuo fedele ha bisogno di te e io a te lo raccomando -. Lucia, nemica di ogni uomo crudele, si mosse e venne là dove io ero, seduta accanto all’antica Rachele. Mi disse: – Beatrice, autentica lode di Dio, perché non soccorri colui che ti amò al punto da elevarsi al di sopra della schiera volgare? Non senti l’angoscia del suo pianto? non vedi la morte che combatte sul gorgo tempestoso del peccato? – Al mondo non ci furono mai persone tanto rapide a perseguire il loro vantaggio o a fuggire il loro danno, quanto io, dopo aver udito quelle parole, venni quaggiù dal mio scanno celeste, affidandomi alle tue parole nobili che onorano te e quelli che le hanno udite”. Dopo che mi ebbe detto questo, girò gli occhi che brillavano per il pianto, il che mi indusse a venire più presto; e venni da te come lei volle; ti soccorsi da quella belva (la lupa) che ti impedì una facile ascesa al colle. Allora che c’è? perché, perché resti qui? perché coltivi in cuore tanta viltà? perché non hai coraggio e determinazione, visto che queste tre donne benedette si preoccupano per te nella corte celeste e le mie parole ti promettono ogni bene?» Come dei fiorellini chiusi e rivolti in basso dal gelo notturno si drizzano tutti aperti sul loro stelo, dopo che il sole li ha illuminati, così feci io con la mia stanca virtù, e al cuore mi venne tanto coraggio che iniziai a dire, come persona rinfrancata: «Oh donna pietosa che mi soccorse, e tu cortese che obbedisti subito alle parole autentiche che ti disse! Tu, con le tue parole, mi hai disposto il cuore al desiderio di venire, al punto che che sono tornato al primo proposito. Adesso va, poiché entrambi vogliamo la stessa cosa: tu sei la mia guida, il mio signore, il mio maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu messo in cammino intrapresi il percorso arduo e selvaggio. |
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.