Iliade – Libro XXIV
ILIADE
Libro Ventiquattreesimo
Il riscatto di Ettore
Le gare finirono, i guerrieri si disperdevano avviandosi 1
alle rapide navi: pensavano allora alla cena
e a godersi il dolce sonno. Achille non faceva che piangere,
a ricordare il caro compagno: non era preso dal sonno
che pure tutto doma, ma si rivoltava di qua e di là. 5
Rimpiangeva di Patroclo la forza virile e l’energia gagliarda;
e le imprese che aveva affrontato con lui, i dolori che aveva patito,
passando attraverso battaglie di uomini e traversie di mare!
A tali ricordi si scioglieva in un pianto dirotto:
ora si metteva a giacere sul fianco, ora invece supino 10
e ora bocconi. Alla fine balzava in piedi,
si aggirava inquieto sulla riva del mare.
Né gli sfuggiva l’apparizione dell’aurora sulle acque e sui lidi:
subito aggiogava i veloci cavalli al carro,
vi legava dietro al cocchio il corpo di Ettore e lo trascinava 15
tre volte intorno al tumulo del figlio di Menezio.
Poi tornava ancora a riposarsi nella tenda, lasciando
il cadavere nella polvere, disteso. Ma dal corpo
Apollo teneva lontano ogni bruttura, commiserandolo
anche nella morte: lo copriva tutto con la sua Egida 20
d’oro, non voleva che Achille lo scorticasse nel trascinarlo.
Così lui oltraggiava il divino Ettore, nella sua furia:
gli Dei beati stavano a guardare e ne avevano pietà:
incitavano l’uccisore di Argo dal vigile sguardo a rapire la salma.
L’idea piaceva a tutti, ma non certo a Hera, 25
né a Poseidone e neanche alla vergine dagli occhi lucenti.
Essi persistevano nel loro odio contro la sacra Ilio,
contro Priamo e il suo popolo, per via della colpa di Alessandro:
questi aveva offeso le Dee, quando si erano recate alla sua grotta
e lui aveva lodato quella che gli promise la sventurata lussuria. 30
Ma quando arrivò l’aurora del dodicesimo giorno,
ecco che Febo Apollo si mise a parlare tra gli immortali:
“Dei, siete spietati e crudeli! Ettore non vi bruciava,
una volta, cosce di buoi e di pecore senza difetti?
E ora che lui è morto, non vi siete dati la briga di salvarlo, 35
per darlo a vedere alla sua sposa, alla madre e al figlio,
al padre Priamo e a tutto il popolo. Loro al più presto
potrebbero bruciarlo sulla pira e rendergli gli onori funebri.
Voi, invece, preferite stare dalla parte del funesto Achille,
che non ha più la mente sana, né una volontà che si possa 40
piegare, ma è selvaggio e feroce come un leone
che ubbidisce solo alla forza bruta e al suo istinto temerario:
e assalta le greggi degli uomini per procurarsi il pasto.
così è Achille: ha smarrito ogni senso di pietà e non ha più vergogna,
che per gli uomini è un grande ostacolo ma anche un grande aiuto! 45
Certo, può capitare a chiunque di perdere una persona molto cara:
un fratello, per esempio, o anche un figlio;
ma, dopo avere pianto e sospirato, ci si mette il cuore in pace.
Le Moire hanno dato agli uomini un animo in grado di rassegnarsi.
Lui, invece, dopo aver tolto la vita al divino Ettore, 50
lo lega di continuo al cocchio e lo va trascinando intorno al sepolcro
del suo compagno: non ne trarrà vantaggio né onore alcuno.
Sì, è un valoroso: ma stia attento! Noi Dei ci possiamo adirare!
È terra insensibile ormai quella che oltraggia nella sua furia”.
A lui rispondeva sdegnata Hera, la Dea dalle bianche braccia: 55
“Le tue ragioni, o Dio dall’arco d’argento, possono essere valide,
se volete concedere ad Achille e a Ettore uguale onore!
Ma Ettore è un semplice mortale, ha succhiato mammella di donna:
Achille invece è figlio di una Dea; sono stata io ad allevarla,
tra mille cure, e l’ho data in sposa a un eroe: 60
a Peleo, sì, che era molto caro agli immortali.
Voi prendeste parte tutti, o Dei, alle nozze; c’eri anche tu al banchetto,
con la cetra in mano, amico dei vigliacchi, sempre sleale!”.
A lei replicava Zeus, l’adunatore dei nembi:
“Hera, non inveire con tanta rabbia contro gli Dei! 65
Non avranno certo lo stesso onore, stanne certa. Però anche Ettore
era molto caro agli Dei, tra i mortali che sono in Ilio. E così
era per me, non lo nego. Non trascurava mai le offerte dovute.
Mai una volta l’altare mancò della parte giusta del sacrificio,
della libagione e del fumo: è questo l’onore che avemmo in sorte. 70
Lasciamo perdere l’idea (del resto non è neppure possibile)
di rapire l’ardito Ettore di nascosto ad Achille. Sua madre
va sempre da lui, di giorno come di notte.
Piuttosto, qualcuno degli Dei chiami qui Teti.
Devo darle un saggio consiglio: che Achille 75
accetti i doni da Priamo e restituisca Ettore”.
Così disse; rapida come tempesta, Iris si levò per portare
il messaggio; a metà strada tra Samo e Imbro rocciosa,
balzò dentro il mare oscuro: e ribolliva la distesa delle acque;
calò verso il fondo, come fa la palla di piombo 80
attaccata a un corno di bue selvatico,
quando va a portare la morte ai pesci voraci.
Trovò Teti in un’ampia grotta: attorno sedevano,
tutte assieme, le Dee del mare; lei in mezzo a loro
lamentava la sorte del figlio suo splendido, che le doveva morire 85
nella terra di Troia dalle larghe zolle, lontano dalla patria.
Le si avvicinò Iris dal piede rapido e disse:
“Su, Teti! Ti chiama Zeus dal pensiero infallibile”.
A lei rispondeva allora la dea Teti dal piede d’argento:
“Come mai mi vuole il grande nume? Non me la sento 90
di incontrarmi con gli immortali: ho tante pene nel cuore.
Ad ogni modo verrò. Non deve restare inascoltata la parola che dice”.
Così parlava. La divina tra le Dee prese un velo:
era un velo scuro, non c’era veste più nera di quella.
Si mosse per andare; la precedeva la veloce Iris, 95
che ha i piedi come il vento: davanti a loro cedeva l’onda del mare.
Salivano sulla spiaggia e si lanciavano verso il cielo:
qui trovarono il Cronide dalla voce di tuono: intorno, sedevano
tutti insieme gli Dei beati che vivono in eterno.
Sedette accanto a Zeus padre: le aveva ceduto il posto Atena. 100
Hera le mise in mano una bella coppa d’oro
e le rivolse parole di conforto: Teti bevve e rese la coppa.
Tra di loro cominciò a parlare il padre degli uomini e degli Dei:
“Sei dunque venuta qui sull’Olimpo, Dea Teti, anche se afflitta,
con un lutto tremendo nel cuore: lo so bene. 105
Ma devo dirti perché ti ho chiamata sin qui:
da nove giorni è sorta tra gli immortali una contesa
a proposito del cadavere di Ettore e di Achille distruttore di città;
incitano l’uccisore di Argo a rapire la salma.
Ma io questa gloria la voglio riservare ad Achille: 110
per mantenermi, in futuro, il tuo rispetto e la tua amicizia.
Vai subito al campo e avverti tuo figlio:
digli che gli Dei sono adirati con lui; io, più di tutti gli altri
immortali, sono sdegnato! Nella sua follia
trattiene ancora Ettore presso le navi e non lo rilascia. 115
Voglio vedere se ha timore di me e concede il riscatto!
Io, da parte mia, manderò Iris dal magnanimo Priamo,
a dirgli di recarsi alle navi degli Achei a riscattare il figlio,
di portare ad Achille tanti doni da placarne l’ira”.
Così parlava: e prontamente obbedì la Dea Teti dal piede d’argento; 120
scese giù dalle vette dell’Olimpo in un volo
e giunse alla tenda di suo figlio. Lo trovò
che piangeva e singhiozzava; intorno a lui i compagni
erano tutti affaccendati e preparavano il pasto del mattino:
avevano sgozzato nella tenda una grossa pecora villosa. 125
La divina madre gli si metteva a sedere accanto,
lo carezzò con la mano, articolò la voce e disse:
“Figlio mio, fino a quando ti mangerai il cuore
tra sospiri e pene? Ecco, non pensi più al cibo
né al sonno. È dolce unirsi in amore con una donna. 130
Tu non sopravviverai a lungo, già ti sta da presso
la morte e il destino inesorabile.
Ascoltami ora: sono messaggera di Zeus;
dice che gli Dei ce l’hanno con te, e lui più di tutti
gli altri è in collera, perché nella tua follia 135
trattieni ancora Ettore presso le navi e non lo rilasci.
Su, allora, restituiscilo e accetta il riscatto per il cadavere!”.
A lei rispondeva Achille dal piede veloce:
“Così sia. Che qualcuno porti i doni del riscatto e si prenda la salma,
se è l’Olimpio a volerlo con mente benigna”. 140
Così madre e figlio, nell’accampamento delle navi,
si scambiarono a lungo parole alate.
Intanto il Cronide inviava Iris dentro la sacra Ilio:
“Vai rapida, Iris: lascia la sede dell’Olimpo!
Annuncia al magnanino Priamo, laggiù ad Ilio, 145
di andare alle navi degli Achei a riscattare suo figlio;
che porti ad Achille tanti doni da placarlo.
Ma da solo: nessun altro dei Troiani deve andare con lui;
lo deve accompagnare solo un araldo anziano, a reggergli
le mule ed il carro per riportare poi in città 150
il corpo dell’uomo ucciso da Achille divino.
Non pensi di andare incontro alla morte, non abbia paura!
Gli daremo una buona scorta: l’uccisore di Argo,
che lo condurrà sino alla tenda di Achille.
E una volta entrato nella tenda di Achille, 155
lui non lo ucciderà: anzi, impedirà a gli altri di farlo.
Non è pazzo né cieco, né sacrilego:
lo risparmierà trattando con ogni riguardo il supplice”.
Così parlava; rapida come tempesta, Iris si levò a portare il messaggio.
Giunse alla reggia di Priamo e vi trovò grida e lamenti. 160
I figli intorno al padre sedevano dentro il cortile
e bagnavano le vesti di lacrime. In mezzo a loro il vecchio
era avviluppato attorno al mantello: aveva sul capo
e sul collo una grande quantità di fango;
si era rotolato a terra e l’aveva raccolto con le sue mani. 165
E per le stanze del palazzo piangevano le figlie e le nuore,
al ricordo dei tanti uomini forti e valorosi
che erano caduti perdendo la vita sotto i colpi degli Argivi.
Si mise accanto a Priamo la messaggera di Zeus e gli parlò
a bassa voce; il suo corpo venne preso da un tremito: 170
“Fatti coraggio, Priamo Dardanide, e non avere paura!
Non vengo qui ad annunciarti altri guai,
ma per il tuo bene. Sono la messaggera di Zeus,
che anche da lontano si prende cura di te e ti compiange.
L’Olimpio ti ordina di andare a riscattare il grande Ettore, 175
di portare ad Achille tanti doni da placarlo.
Ma vai da solo: nessun altro dei Troiani deve venire con te;
ti deve accompagnare solo un araldo anziano, a reggere
le mule ed il carro per riportare poi in città
il corpo dell’uomo ucciso da Achille divino. 180
Non pensare di andare incontro alla morte, non aver paura!
Ti verrà data una buona scorta: l’uccisore di Argo,
che ti condurrà sino alla tenda di Achille.
E una volta entrato nella tenda di Achille,
lui non ti ucciderà: anzi, impedirà a gli altri di farlo. 185
Non è pazzo né cieco, né sacrilego:
ti risparmierà trattando con ogni riguardo il supplice”.
Così diceva la Dea Iris dal piede rapido e se ne andò via.
Allora Priamo ordinava ai figli di preparare un carro veloce,
tirato da per muli, e di legarvi sopra la cesta. 190
Lui poi discese alla stanza del tesoro, profumata: era in legno di cedro,
dal soffitto alto, e conteneva molti oggetti preziosi.
Chiamò là dentro la moglie Ecuba e disse:
“Povera cara, mi è venuto da parte di Zeus un messaggio dall’Olimpio:
vuole che vada alle navi degli Achei a riscattare mio figlio 195
e che porti ad Achille tanti doni da placarne l’ira.
Ma tu cosa ne pensi? Dimmi. Per quello che mi riguarda,
te lo confesso, sento un gran desiderio
di recarmi là tra le navi, dentro il campo degli Achei”.
Così parlava. E la donna levò un grido di lamento e rispose: 200
“Ahimè, dove mai è andato a finire il tuo buon senso
che ti rendeva famoso, in passato, fra le genti straniere e i sudditi?
Cosa ti salta in mente di presentarti tra le navi degli Achei,
da solo, davanti al guerriero che ti ha ucciso
tanti valorosi figlioli? Hai proprio un cuore di ferro! 205
Se ti avrà tra le mani e ti poserà addosso lo sguardo
(feroce e sleale come è), non avrà pietà di te
e neppure rispetto. Stiamocene a casa a piangerlo
da lontano! Per lui era destino così, si vede! Un destino
inesorabile è stato filato per lui, alla sua nascita (quando lo misi al mondo): 210
che avesse a sfamare i cani veloci, lontano dai suoi genitori,
accanto a un uomo brutale: magari potessi azzannargli il fegato
nel mezzo e divorarlo! Sarebbe allora la giusta vendetta
per mio figlio! Lui non lo ha trucidato mentre fuggiva:
stava a piede fermo difendeva i Troiani e le donne troiane 215
dalle vesti fuenti, senza pensare alla fuga o a mettersi in salvo”.
A lei rispose il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“Sono deciso ad andare, non trattenermi! No stare dentro casa
a fare l’uccello del malaugurio! È inutile che tu insista.
Se me lo avesse detto un qualsiasi altro uomo 220
(per esempio un indovino o un sacerdote),
potrei pensare ad un inganno e me ne guarderei bene.
Ma ora la Dea l’ho sentita con le mie orecchie: me la sono vista davanti.
Dunque andrò: non rimarrà inascoltata la sua parola. Se poi è destino
che debba morire presso le navi degli Achei vestiti di bronzo, 225
sono pronto. Che Achille mi uccida pure, ma abbracciato
a mio figlio: mi sarò tolto la voglia di piangere”.
Così disse e già apriva i bei coperchi delle casse:
ne tirò fuori dodici magnifici pepli,
dodici mantelli doppi, altrettante coperte di lana, 230
e altrettanti tessuti di lino e oltre a questi altrettante tuniche.
Pesò i talenti d’oro, dieci in tutto, e li mise da parte;
poi prese due tripodi lucenti e quattro lebeti
e anche una coppa bellissima; gliela avevano data i Traci,
al suo arrivo per un’ambasceria: era un grande dono. Neppure quella 235
volle tenersi in casa il vecchio, tanto era deciso
a liberare suo figlio. Poi scacciava i Troiani
dal portico prendendoli a male parole:
“Via di qui, svergognati seccatori! Non avete anche voi
da piangere a casa vostra? Perché venite a disturbarmi? 240
O vi sembra poco che Zeus Cronide mi abbia dato il dolore
di perdere il figlio più valoroso? Ma ve ne accorgerete anche voi!
Sarà più facile per gli Achei massacrarvi
adesso che lui è morto. Quanto a me, prima di vedere
sotto i miei occhi la città qui saccheggiata 245
e devastata, mi auguro di andare nella casa di Ade”.
Così disse e con il bastone disperdeva la gente; quelli se ne andavano
per la furia del vecchio. Allora lui veniva urlando contro i suoi figli,
li copriva di improperi: Eleno, Paride e il grande Agatone;
Pammone, Antifono e Polite possente nel grido di guerra; 250
e inoltre Deifobo, Ippotoo e il nobile Dios.
A loro nove il vecchio gridava con voce di comando:
“Sbrigatevi poltroni, pessimi figli! Era meglio che moriste
voi al posto di Ettore, presso le navi, tutti quanti insieme!
Povero me, infelice che sono! Ho generato nella vasta Troia 255
dei figli valorosi e prodi ma nessuno di loro è rimasto in vita.
È caduto Mestore divino e Troilo, così bravo a battagliare sul carro;
ora anche Ettore, che era un Dio tra i guerrieri e non sembrava
il figlio di un uomo destinato a morte, ma quello di un nume.
Loro sono stati presi da Ares e sono rimasti i peggiori: 260
sleali, ballerini, valenti solo nelle danze in piazza!
Sempre pronti a razziare agnelli e capretti nel loro paese!
Cosa aspettate a prepararmi subito il carro
e a sistemarci sopra tutta la roba? Voglio mettermi in viaggio!”.
Così diceva; e loro, intimoriti dalle grida del padre, 265
tirarono fuori il carro per muli con le sue solide ruote:
era bellissimo, ancora nuovo; vi fissarono sopra una cesta;
toglievano giù dal chiodo il giogo da muli,
in legno di bosso: era ombelicato ed era munito di anelli;
insieme portavano fuori anche la cinghia di nove cubiti. 270
Appoggiarono il giogo sopra il timone ben levigato,
proprio in cima, infilando l’anello nella cavicchia:
facevano passare tre volte la cinghia ai due lati della sporgenza,
la legarono alla sponda con un nodo e ripiegarono indietro la punta.
Poi trasportarono dalla stanza del tesoro i molti doni 275
per il riscatto del corpo di Ettore e li misero sul lucido carro;
aggiogarono i muli dai forti zoccoli, bravi a tirare:
erano quelli che i Misi avevano dato a Priamo (uno splendido dono).
Per Priamo attaccavano i cavalli che il vecchio
teneva solo per sé e allevava alla greppia di legno levigato. 280
Così, nell’alto palazzo, si facevano aggiogare le bestie
l’araldo e Priamo, assorti in gravi pensieri.
Venne loro vicino Ecuba, con l’angoscia nel cuore:
portava con la mano destra il dolce vino,
dentro una coppa d’oro; voleva che libassero prima di partire. 285
Si fermò davanti ai cavalli, si rivolse al marito e disse:
“Fai libagioni per Zeus padre e pregalo di poter tornare a casa
dal campo nemico, se sei proprio deciso
ad andare tra le navi anche se sono contraria.
Allora rivolgi una preghiera al Dio delle nuvole nere, il Cronide; 290
a Zeus Ideo che guarda dall’alto tutta la regione di Troia
chiedigli che ti mandi un uccello, il suo rapido messaggero,
che gli è il più caro dei volatili e ha una grande forza;
che venga da destra! Così tu, nel vederlo, andrai con fiducia
alle navi dei Danai dai veloci cavalli. 295
E se Zeus ti rifiuterà il suo messaggero,
allora capisci anche tu che non ti posso più dire
di recarti tra le navi degli Argivi, per quanto tu lo desideri”.
A lei rispondeva Priamo simile a un Dio:
“Donna, tu insisti così e io voglio darti retta. Hai ragione: 300
è cosa buona levare le mani verso Zeus. Forse avrà pietà”.
Così diceva il vecchio e dava ordine alla dispensiera
di versargli acqua pura sulle mani. L’ancella fu subito lì,
con un bacile nella mani e una brocca.
Egli allora si lavava e prese da sua moglie la coppa; 305
poi pregava in piedi nel mezzo della corte, libava il vino
levando gli occhi al cielo; così diceva:
“Zeus padre che regni dall’alto dell’Ida, tu glorioso e grande,
fammi giungere nella tenda di Achille da amico, che abbia pietà!
Mandami ora un uccello, il tuo rapido messaggero, 310
che ti è più caro dei volatili e ha una grande forza;
che venga da destra! Così, nel vederlo, andrò con fiducia
alle navi dei Danai dai veloci cavalli.
Così diceva pregando: e lo ascoltò il provvido Zeus;
subito mandava un’aquila, il più perfetto di tutti gli uccelli: 315
era la bruna cacciatrice, che chiamano anche “la nera”.
Come è grande la porta d’una stanza dal soffitto alto,
in un palazzo di un uomo ricco, ben serrata con i chiavistelli:
così larghe erano, da una parte e dall’altra, le sue ali.
Comparve loro da destra, in volo sulla città; nel vederla, 320
tutti si rallegrarono e si rinfrancò il cuore in petto.
Allora affrettandosi il vecchio salì sul suo cocchio,
si avviò fuori dal vestibolo e dal portico che risuonava.
Davanti, i muli tiravano il carro a quattro ruote:
li guidava il saggio Ideo; venivano dietro i cavalli, 325
che il vecchio faceva andare toccandoli con la frusta,
attraversando la città; seguivano tutti i suoi cari,
lo commiseravano a lungo come se andasse incontro alla morte.
Scesero così per la città e giunsero alla pianura:
i figli e i generi, voltandosi indietro tornavano 330
verso Ilio. Al loro apparire, i due non sfuggirono
a Zeus tonante: guardò il vecchio e ne ebbe pietà.
Subito si rivolgeva a Hermes, suo figlio:
“Hermes, lo sappiamo che ti è caro, più che a ogni altro,
farti compagno di viaggio dei mortali: ed ascolti chi vuoi. 335
Vai, allora, e guida Priamo alle navi degli Achei!
Fai in modo che nessuno tra tutti gli altri Danai
lo scorga e riconosca, prima di arrivare dal Pelide”.
Così parlava: e prontamente obbedì il messaggero Argicida.
Subito ai piedi si allacciò i bei calzari d’oro, 340
divini: lo potevano portare sul mare e sulla terra
sconfinata, insieme con i soffi del vento.
Prese la verga con la quale incanta gli occhi degli uomini,
se lui vuole: altri invece li risveglia anche dal sonno;
tenendola in mano, volava il forte Argicida. 345
In un attimo arrivò nella regione di Troia, nell’Ellesponto,
e prese a camminare: somigliava a un giovane di famiglia reale,
al quale spunta la prima barba, nella leggiadra età adolescenziale.
Intanto i due avevano oltrepassato il sepolcro di Ilo
e fermavano muli e cavalli al guado del fiume, 350
per farli bere: il buio era ormai sceso sulla terra.
Fu allora che l’araldo vide Hermes lì vicino;
si allarmò e disse, rivolto a Priamo:
“Attento, Dardanide! Qua ci vuole prudenza.
Vedo un uomo che potrebbe farci del male. Presto, 355
fuggiamo via con i cavalli. Oppure muoviamoci per toccargli
le ginocchia e a supplicarlo! Può darsi che abbia pietà di noi”.
Così parlava. La mente del vecchio venne sconvolta, aveva veramente
paura; gli si rizzarono i peli nelle membra ricurve
e rimase là sbigottito. Il Dio soccorritore si avvicinò; 360
prese la mano del vecchio e gli domandò:
“Dove vai, padre mio, guidando così i cavalli e i muli
nella notte divina, quando dormono gli altri mortali?
Non hai paura degli Achei decisi a tutto,
che ti sono qui vicini, ostili e feroci? 365
Se ti vedesse uno di loro nel buio della notte,
con questo carico di tesori, che cosa potresti fare?
Tu non sei più giovane e qui ti accompagna uno troppo vecchio
per difenderti, se uno volesse aggredirti.
Ma io non intendo farti del male, anzi sono pronto 370
a darti una mano contro gli altri. Mi sembra di vedere mio padre”.
A lui rispondeva allora il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“È proprio così come tu dici, figlio mio.
Ma qualche divinità mi tende ancora la mano,
se mi ha fatto incontrare un viandante come te, 375
di buon augurio e bello di aspetto. Sei anche assennato.
Sono proprio fortunati i genitori che hai!”.
Gli rispondeva di rimando il messaggero Argicida:
“Sì, tutto questo è vero, vecchio: hai parlato bene.
Ma dimmi una cosa e parla con franchezza: 380
cerchi di esportare tanti oggetti preziosi
presso genti di valore, per averli al sicuro?
Oppure ormai abbandonate tutti la sacra Ilio
per la paura? So che è caduto un grande guerriero, il migliore:
era tuo figlio. E non era da meno degli Achei in battaglia”. 385
A lui rispondeva allora il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“Ma tu chi sei, amico? Chi sono i tuoi genitori?
Con molta delicatezza hai accennato alla morte del figlio sventurato!”.
Gli rispondeva di rimando il messaggero Argicida:
“Vuoi mettermi alla prova, vecchio, domandandomi del divino 390
Ettore. Ebbene sì: l’ho visto più di una volta
nella battaglia gloriosa: anche quando cacciava gli Argivi tra le navi
e li uccideva, facendoli a pezzi con l’acuta arma di bronzo;
noi stavamo fermi ad ammirarlo: Achille non ci lasciava
combattere, perché era in collera con l’Atride. 395
Io sono un suo scudiero: ci ha condotti qui la stessa nave;
faccio parte dei Mirmidoni: mio padre si chiama Polittore.
È un uomo ricco, ma ormai vecchio, come sei tu;
lui ha sei figli ed io sono il settimo: tra loro
fui sorteggiato per accompagnare qui Achille. 400
Adesso poi vengo dalle navi qui nella piana; domani mattina
gli Achei dagli occhi splendente attaccheranno la città:
si spazientiscono, se stanno fermi, e i principi degli Achei
non riescono più a trattenerli, con la smania che hanno di combattere”.
A lui rispondeva allora il vecchio Priamo, simile a un Dio: 405
“Se tu sei davvero uno scudiero del Pelide Achille,
allora dimmi tutta la verità:
mio figlio è ancora presso le navi, o Achille
l’ha già tagliato a pezzi dandolo in pasto alle sue cagne?”.
Gli rispondeva di rimando il messaggero Argicida: 410
“No, vecchio: finora non l’hanno divorato né cani né uccelli;
giace ancora accanto alla nave di Achille,
come prima, dentro la tenda. Sono dodici giorni che
giace al suolo, ma non marcisce il corpo, né lo mangiano
i vermi che divorano gli eroi uccisi in battaglia. 415
È vero che lui lo trascina brutalmente intorno al sepolcro
del suo amico, quando appare l’aurora in cielo, ogni mattina:
ma non riesce a guastarlo. Lo vedrai anche tu al tuo arrivo:
è fresco come la rugiada, il sangue è stato ripulito,
non ha neppure una macchia; le sue piaghe si sono richiuse, 420
nonostante le ferite inferte (molti immersero l’arma nel suo corpo).
Gli Dei beati si prendono cura del tuo prode figlio,
anche dopo morto: si vede che era molto caro al loro cuore”.
Così diceva. Il vecchio ebbe un moto di gioia e rispose:
“Figliolo, è una buona cosa fare per gli immortali 425
le dovute offerte! Mai una volta mio figlio, finchè viveva,
si dimenticava nella nostra casa degli Dei che abitano l’Olimpo.
Perciò si sono ricordati di lui, anche nel destino di morte.
Ma via, accetta da me questa bella coppa
e proteggimi! Fammi da guida, con l’aiuto degli Dei! 430
Devo arrivare sino all’alloggio del Pelide”.
Gli rispondeva di rimando il messaggero Argicida:
“Mi tenti, vecchio. Sono più giovane, ma è inutile tu insista.
Mi inviti ad accettare un dono all’insaputa di Achille.
Ma io non me la sento e mi guardo bene dal derubarlo: 435
non vorrei che mi capitasse un domani qualche guaio.
Ma son pronto a farti da guida, anche fino alla famosa Argo,
accompagnandoti con ogni premura a piedi o su una nave.
Nessuno oserà offenderti o disprezzare il tuo compagno”.
Così disse e con un balzo veloce sui cavalli e sul cocchio 440
il Dio soccorritore prendeva in mano la frusta e le briglie,
ispirò grande vigore ai cavalli e ai muli.
Giungevano così alla fossa e al muro del campo acheo:
le guardie si stavano affaccendando a preparare la cena.
Su di loro il messaggero Argicida diffuse il sonno; 445
sopra tutti. Poi aprì la porta, spingendo indietro le sbarre,
fece entrare Priamo e gli splendidi doni sul carro.
Arrivarono così all’alloggio del Pelide, nella tenda
che avevano costruito i Mirmidoni per il loro signore,
tagliando tronchi di pino. Di sopra l’avevano ricoperto 450
con canne piumate, raccolte in un prato.
Tutt’intorno gli avevano fatto un grande cortile
con una fitta palizzata; una sola stanga di pino
teneva ferma la porta: ci volevano tre Achei per metterla a posto
e tre per rimuovere quella grande sbarra della porta 455
(tre Achei comuni: Achille la spostava anche da solo).
Allora Hermes il soccorritore la aprì per il vecchio
e fece entrare i magnifici doni destinati al Pelide;
saltò giù dal cocchio a terra e disse queste parole:
“Vecchio, sappilo: io sono un nume venuto qui per te. 460
Sono Hermes: mi ha mandato mio padre a farti da guida.
Ora io tornerò indietro; non verrò dentro,
al cospetto di Achille. Sarebbe sconveniente
che un immortale aiutasse apertamente gli uomini mortali.
Ma tu entra pure e tocca le ginocchia del Pelide: 465
pregalo in nome del padre e della madre dalle belle chiome
e anche del figlio! Vedrai che lo commuovi”.
Così diceva Hermes e se ne andò verso l’alto Olimpo.
Allora Priamo saltò giù dal cocchio a terra
e lasciò Ideo da solo: questi rimaneva a tenere 470
i cavalli e i muli. Il vecchio andava dritto alla tenda
dove era solito stare Achille caro a Zeus; lo trovò dentro,
mentre i compagni stavano altrove. Ce n’erano due soli,
l’eroe Automedonte e Alcimo, bellicoso rampollo di Ares:
erano entrambi affaccendati. Lui aveva finito da poco 475
di mangiare e di bere: la mensa era ancora imbandita.
Non visto, entrò il grande Priamo; ed ecco che venne vicino
ad Achille, gli prese le ginocchia e gli baciò le mani:
le terribili mani sterminatrici che gli avevano ucciso tanti figli.
E come quando un grave accecamento coglie un uomo 480
che ne uccide un altro in patria e se ne va in terra straniera,
a casa di un ricco signore, e al suo comparire suscita stupore:
così Achille attonito mirava Priamo, simile a un Dio.
Erano sorpresi anche gli altri e si guardavano in faccia.
Priamo, supplichevole, rivolse la parola ad Achille: 485
“Pensa a tuo padre, o Achille simile agli Dei!
Ha gli stessi miei anni ed è sulla soglia della vecchiaia funesta.
E anche lui forse viene insidiato dai suoi confinanti
e non c’è nessuno ad allontanargli il danno e la rovina.
Ma egli almeno ha la gioia di sentir dire 490
che tu sei vivo e spera sempre, tutti i giorni,
di vedere suo figlio di ritorno da Troia.
Io invece sono infelice e senza scampo. Ho generato dei figli
valorosi a Troia e nessuno di loro mi è rimasto in vita.
Cinquanta ne avevo, quando arrivarono qui gli Achei: 495
diciannove mi venivano da uno stesso grembo,
gli altri me li mettevano al mondo le mie concubine nella reggia.
Alla maggior parte di loro l’impetuoso Ares sciolse le ginocchia.
Quello poi che per me era unico e difendeva la città anche da solo,
tu me l’hai ucciso giorni fa mentre combatteva per la patria: 500
Ettore. Ed è per lui che ora sono venuto tra le navi degli Achei,
con l’idea di riscattarlo da te. Ho con me molti oggetti preziosi.
Rispetta gli Dei, Achille, abbi compassione di me,
pensando a tuo padre. Io sono ancora più infelice.
Ho avuto cuore di fare quello che non nessun altro mortale fece mai: 505
ho portato alla mia bocca la mano dell’uomo che uccise mio figlio”.
Così parlava. E suscitò in Achille una gran voglia di piangere per suo padre.
Achille allora prendeva la mano del vecchio e lo scostava dolcemente.
I due erano assaliti dai ricordi: uno pensava a Ettore sterminatore
e piangeva a dirotto, rannicchiato ai piedi di Achille; 510
Achille a sua volta veniva piangendo ora suo padre,
ora Patroclo. Il loro lamento si levava alto nella stanza.
Ma quando il divino Achille si fu consolato da quel suo singhiozzare
e gliene andò via ogni voglia, subito balzò su
dal suo seggio e sollevava con le proprie mani il vecchio, 515
commiserando quel capo canuto e il mento bianco.
Articolando la voce, gli rivolgeva parole alate:
“Ah, pover’uomo! Sì, è vero, hai sofferto molti guai.
Come hai osato venire da solo tra le navi degli Achei,
al cospetto dell’uomo che ti ha ucciso tanti valorosi 520
figli? Hai proprio un cuore di ferro.
Accomodati qui sul seggio: e le nostre pene
lasciamole dormire in fondo all’anima, anche se ci pesa!
Nessun vantaggio, credimi, viene dal pianto: mette solo freddo.
Questo gli Dei hanno destinato ai miseri mortali: 525
vivere in mezzo alle tristezze. Solamente loro sono senza crucci.
Lo sai, nella sala di Zeus ci sono i due vasi dei doni che egli dà
ai mortali: uno è pieno di mali, l’altro di beni.
La persona a cui Zeus fulminatore li offre mischiati
ora incontra sventura, ora la felicità. 530
Ma se a uno porge solo guai, lo rende un miserabile:
la fame malvagia lo insegue per il mondo
e se ne va errando tra il disprezzo degli uomini e degli Dei.
Ecco, anche a Peleo gli Dei offrirono splendidi doni,
fin dalla nascita; ed egli si distingueva tra tutti gli uomini 535
per agi e ricchezze: era il re dei Mirmidoni.
Poi gli diedero in moglie una Dea, benché fosse mortale.
Ma pure a lui la divinità addossò una sventura: non gli nacque,
là nel palazzo, una discendenza di sovrani,
ma generò un figlio solo, destinato a precocissima morte. 540
Ora che è vecchio, io non mi prendo cura di lui, ma sto qui lontano
dalla patria, nella terra di Troia, a contristare te e i tuoi figli.
E anche tu, vecchio (lo abbiamo sentito dire), eri felice un giorno:
per tutte le terre che dal lato del mare racchiude Lesbo,
terra di Macare, e più lontano la Frigia e l’Ellesponto sconfinato, 545
qui tra queste genti tu eri famoso per le tue ricchezze e i tuoi figli.
Ma dopo che gli Dei del cielo ti portarono questo malanno,
continuamente intorno alla tua città ci sono state battaglie e carneficine.
Su, rassegnati quindi, e non angustiarti all’infinito!
Non guadagnerai nulla, credimi, ad affliggerti per il prode tuo figlio. 550
Tanto non lo resusciterai! Ti può ben capitare un’altra sventura”.
A lui rispondeva allora il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“Non farmi sedere, discendente di Zeus, su di un seggio, quando
Ettore giace ancora nel tuo alloggio e nessuno se ne prende cura.
Via, rilascialo subito! Così lo potrò vedere. Accetta 555
i tanti doni del riscatto che ti portiamo. L’augurio che ti faccio
è di goderli e di far ritorno alla terra dei tuoi padri,
per avermi lasciato vivere e vedere la luce del sole”.
Lo guardava scuro Achille dal piede veloce e diceva:
“Non irritarmi ora, vecchio! Ci penso da me a renderti Ettore. 560
È venuta, sappilo, da parte di Zeus, mia madre
a dirmelo, la figlia del vecchio del mare.
E quanto a te, o Priamo, ora capisco – e non mi inganno –
che è stato un Dio a condurti fin qui alle navi degli Achei.
Non poteva un mortale, neppure se molto giovane e forte, 565
avere il coraggio di penetrare nel campo: non riuscirebbe a sfuggire
alle guardie né a smuovere facilmente la sbarra della nostra porta.
Perciò ora non farmi arrabbiare! Sono già in mezzo ai miei guai.
Potrei non risparmiare neppure te nella mia dimora,
anche se sei un supplice, e trasgredire agli ordini di Zeus”. 570
Così parlava. Tremò di paura il vecchio e obbedì al comando.
Il Pelide intanto come un leone balzò fuori dalla stanza.
Non andava da solo: insieme con lui si muovevano due scudieri,
l’eroe Automedonte e Alcimo, che Achille onorava
più di tutti gli altri compagni, dopo la morte di Patroclo. 575
Essi allora staccavano di sotto il giogo i cavalli e i muli:
conducevano dentro l’araldo banditore del vecchio
e lo fecero sedere su di uno scranno. Poi tiravano giù dal lucido carro
i molti doni, destinati al riscatto della salma di Ettore.
Vi lasciarono sopra due manti e una tunica di fine tessuto: 580
intendeva, Achille, vestire il cadavere e poi restituirlo.
Chiamava le ancelle e ordinava loro di lavare il corpo e di ungerlo:
lo faceva trasportare altrove, non voleva che Priamo vedesse il figlio.
Forse il vecchio, nell’angoscia, non avrebbe saputo dominare
la sua rabbia alla vista del figliolo e lui, Achille, poteva infuriarsi 585
e ucciderlo, violando gli ordini di Zeus.
Dopo che le ancelle lo ebbero lavato e unto con olio in abbondanza,
gli misero addosso il bel manto e la tunica;
Achille lo sollevava con le proprie mani e lo depose sul letto di morte.
E insieme con lui, i compagni lo portarono sopra il lucido carro; 590
Achille proruppe allora in lamenti e chiamò il compagno per nome:
“Non prendertela con me, Patroclo, se vieni a sapere,
stando lì nell’Ade, che ho reso Ettore a suo padre.
Ecco, mi ha offerto doni considerevoli.
Ma te ne darò una parte, come è giusto”. 595
Così disse; e il divino Achille rientrava nella tenda:
si sedeva sul seggio finemente lavorato da dove si era alzato,
vicino alla parete di fondo, e parlava a Priamo:
“Eccoti restituito il figlio, vecchio, come tu volevi.
È disteso sul letto funebre. Allo spuntare del giorno 600
lo vedrai, nel portartelo via. Ora pensiamo alla cena!
Pensò a mangiare anche Niobe dalla bella chioma;
eppure ben dodici figli le erano morti in casa:
sei figliole e sei maschi nel fiore degli anni.
Gli uni fu Apollo a ucciderli con l’arco d’argento, 605
nella sua collera contro Niobe: le altre le colpì Artemide saettatrice
perché lei osava paragonarsi a Leto dalle belle guance.
Leto, diceva, aveva avuto solo due figli: lei invece
ne aveva generati tanti; e così quei due li uccisero tutti.
Essi per nove giorni giacevano a terra dentro il loro sangue, non c’era più 610
nessuno per seppellirli: il Cronide aveva pietrificato la popolazione.
Al decimo giorno infine li seppellirono gli Dei del cielo.
Ebbene, persino lei pensò al cibo, quando fu stanca di piangere.
E ora sta là da qualche parte tra le rocce, in mezzo ai monti solitari;
sul Sipilo, dove dicono che abbiano dimora le ninfe 615
che danzano in volo sopra le rive dell’Acheloo:
è ormai una pietra e patisce il dolore per volontà degli Dei.
Ma via, pensiamo anche noi due a nutrirci, vecchio
divino: più tardi potrai piangere tuo figlio, quando
l’avrai riportato in Ilio. Allora riceverà da te lacrime senza fine”. 620
Così disse: il veloce Achille si levò di scatto e sgozzò una pecora
candida. I compagni la scuoiavano e la prepararono ad arte;
la tagliavano a pezzi con cura e li infilarono negli spiedi:
li arrostirono per bene e li tolsero via dal fuoco.
Poi Automedonte prese il pane e lo distribuì sulla mensa, 625
in leggiadri canestri di vimini: le carni invece le spartì Achille.
Quelli stendevano le mani sulle vivande pronte in tavola;
quando si furono tolti la voglia di mangiare e di bere,
allora il Dardanide Priamo guardò Achille con ammirazione:
quanto era grande e bello! Assomigliava veramente agli Dei! 630
A sua volta Achille contemplava stupito Priamo il Dardanide:
ne osservava il nobile aspetto e ne ascoltava le parole.
Quando si furono rallegrati nel guardarsi a vicenda
a lui per primo parlò il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“Fammi andare a letto al più presto, discendente di Zeus! 635
Ormai dobbiamo riposare e goderci la dolcezza del sonno.
Non ho chiuso ancora occhio da quando
mio figlio ha perso la vita sotto i tuoi colpi:
non faccio altro che piangere di continuo e patire molte pene,
rotolandomi in mezzo al fango nel recinto della corte. 640
Solo oggi ho toccato cibo e ho mandato giù
del vino rosso: prima non avevo preso niente”.
Così disse. E subito Achille ordinava ai compagni e alle ancelle
di collocare le lettiere sotto il portico e di metterci coperte belle,
color porpora, di stenderci sopra dei tappeti, 645
di mettere coltri e mantelli di lana per coprirsi.
Loro uscivano fuori dalla stanza tenendo una fiaccola in mano:
prepararono con sollecitudine i due letti, eseguendo l’ordine.
A lui diceva, in tono scherzoso, Achille dal piede veloce:
“È meglio che tu vada a dormire fuori, vecchio! 650
Ho paura che capiti qui all’improvviso qualche capo degli Achei:
di quelli che vengono qui a chiedere consiglio, come è abitudine.
Se uno di loro ti vedesse nel buio della notte,
subito lo riferirebbe ad Agamennone pastore di popoli
e allora il riscatto della salma subirebbe un ritardo. 655
Ma dimmi una cosa e parla con franchezza: per quanti
giorni hai in mente di rendere gli onori funebri al divino Ettore?
Così io non mi muoverò dal campo e tratterrò anche l’esercito”.
A lui rispondeva allora il vecchio Priamo, simile a un Dio:
“Se sei disposto a farmi celebrare le esequie del divino Ettore 660
mi faresti un grande piacere, Achille. Regolati così:
sai che siamo chiusi nella città; è lontana la legna
da trasportare dal monte e i Troiani hanno molta paura.
Per nove giorni vorremmo piangerlo in casa;
il decimo giorno lo seppelliremmo e faremmo il banchetto funebre; 665
l’undicesimo giorno innalzeremmo il tumulo.
Poi al dodicesimo riprenderemo le ostilità, se proprio è necessario”.
A lui rispondeva allora il divino Achille dal piede veloce:
“Sarà fatto come vuoi tu, vecchio Priamo.
Sospenderò le azioni di guerra per il tempo che richiedi”. 670
Così parlava; prese la mano destra del vecchio afferrandogli
il polso: non voleva che nutrisse qualche timore.
Si addormentarono lì nel vestibolo dell’alloggio,
l’araldo e Priamo, con i loro gravi pensieri. Achille
invece riposava nella parte interna della solida tenda: 675
accanto a lui si stese Briseide dalle belle guance.
Così allora tutti gli altri Dei e i guerrieri dall’elmo chiomato
dormivano la notte intera, vinti da un sonno profondo.
Hermes soccorritore non era preso dal sonno:
pensava a come condurre fuori dal campo il re Priamo, 680
di nascosto dai forti guardiani delle porte.
Si fermò in alto, sopra la sua testa, e disse:
“Vecchio, non pensi proprio al pericolo! Tu dormi ancora
in mezzo a nemici, solo perché Achille ti ha lasciato stare.
Hai riscattato ora tuo figlio, hai offerto molti doni. 685
Ma tre volte tanti, ti dico, dovranno darne i figli
tuoi rimasti in casa per riavere te vivo, se l’Atride
Agamennone e tutti gli altri Achei ti sapessero qui”.
Così parlava. Il vecchio ebbe paura e fece alzare l’araldo.
Allora Hermes aggiogò per loro i cavalli e i muli, 690
li conduceva in fretta attraverso il campo (nessuno li vide).
Ma quando arrivarono al guado del fiume dalla bella corrente,
allo Xanto vorticoso di cui è padre Zeus immortale,
Hermes se ne andò nell’alto Olimpo.
Aurora dal peplo color arancione si diffondeva su tutta la terra: 695
e loro guidavano i cavalli verso la città, piangendo
e singhiozzando; il cadavere lo trasportavano i muli. Nessun uomo
li vide (neppure le donne dalla bella cintura),
prima di Cassandra. Simile all’aurea Afrodite, lei era salita
sulla rocca di Pergamo e subito riconobbe suo padre 700
in piedi sul cocchio e l’araldo banditore della città;
vide lui sul carro dei muli, steso sopra il suo letto di morte.
Proruppe allora in un urlo di lamento e gridava per tutta la città:
“Venite a vedere Ettore, Troiani e Troiane! Tante volte,
quando era vivo, gli facevate festa al suo ritorno dalla battaglia: 705
era una grande gioia per la città e l’intero paese”.
Così diceva. E nessuno restava lì in città: non un uomo,
non una donna. Tutti furono invasi da un dolore irrefrenabile:
nei pressi della porta incontravano colui che portava la salma.
Per prime si strappavano i capelli la sua sposa e l’augusta madre: 710
si erano precipitate sul carro dalle solide ruote
e gli toccavano la testa. Intorno stava, in lacrime, la folla.
E certo per l’intero giorno, fino al tramonto del sole,
avrebbero pianto per Ettore, singhiozzando davanti alla porta,
se il vecchio sul cocchio non avesse detto alla gente: 715
“Largo! Fatemi passare con i muli! Avrete tempo e modo
di piangere fino a sazietà, quando l’avrò portato a casa”.
Così parlava: la folla si scostò e lasciò passare il carro.
Portarono Ettore dentro la splendida reggia, lo deposero
sopra un letto traforato; poi fecero venire i cantori 720
per intonare il lamento funebre: questi levarono un triste canto
e le donne rispondevano con gemiti e sospiri.
Tra loro Andromaca dalle bianche braccia piangeva,
tenendo fra le mani la testa di Ettore sterminatore:
“Sposo mio, così giovane hai perso la vita e mi lasci vedova 725
nel palazzo. Ed è tanto piccolo ancora il bambino
che abbiamo dato alla luce tu ed io, disgraziati: non credo
che lui arriverà alla giovinezza. Prima la città verrà distrutta
completamente: sei morto tu, il suo difensore;
tu che la proteggevi, difendevi le spose fedeli e i teneri figli. 730
Loro saranno presto portati via sulle navi
e ci sarò anche io con loro. E tu, figlio mio, verrai con me
a fare lavori da schiavi e a tribolare per un padrone
inflessibile; oppure qualcuno degli Achei ti prenderà
per un braccio scaraventandoti dall’alto di una torre (una fine orribile!) 735
per rancore verso Ettore, che gli avrà ucciso forse un fratello,
oppure il padre o anche un figlio. Sono tanti gli Achei
che morsero la terra con i denti, sotto le braccia di Ettore!
Non era mite tuo padre, nella furia della battaglia:
anche per questo lo piangono i combattenti per la città. 740
Ettore, hai dato ai tuoi genitori singhiozzi e dolore
orribili: ma a me, più che a ogni altro, resteranno pene e angosce.
Non mi hai teso le braccia dal letto, morendo;
non mi hai detto una parola di conforto, che potessi ricordare
tra le lacrime, giorno e notte, bagnando gli occhi di pianto”. 745
Così diceva piangendo. E subito dietro di lei gemevano le altre donne.
Tra loro poi Ecuba intonava il suo lamento:
“Ettore, a me più caro più di tutti gli altri miei figli!
Da vivo eri caro anche agli Dei: e così loro
si sono presi cura di te, anche nel destino di morte. 750
Gli altri miei figlioli, Achille li vendeva come schiavi
se ne catturava qualcuno al di là del mare irrequieto:
a Samo, a Imbro e a Lemno caliginosa.
A te, invece, tolse la vita con l’arma di bronzo affilato;
ti trascinò a lungo attorno al sepolcro del suo compagno: 755
di Patroclo, che gli avevi ucciso (ma neppure così gli ha ridato la vita!).
E ora giaci qui in casa, fresco come la rugiada:
ti manca solo la parola; sei proprio uguale a un uomo
che Apollo raggiunge e colpisce con le sue frecce benigne”.
Così diceva in lacrime e suscitava un pianto senza fine. 760
E tra di loro Elena fu la terza a intonare il suo lamento:
“Ettore, tu eri caro al mio cuore più di tutti i cognati.
È vero, mio marito è Alessandro simile a un Dio,
che mi portò qui a Troia: e magari fossi morta prima!
Ormai sono passati venti anni che da venni via 765
da laggiù e abbandonai la mia patria.
Mai ho sentito da te una parola di sgarbo o villana:
se qui in casa qualcun altro alzava la voce
(i cognati, le loro mogli oppure mia suocera:
non mio suocero, lui era sempre buono come un padre) 770
tu allora li calmavi e li trattenevi
con la tua gentilezza e le tue gentili parole.
Per questo ora ti piango e piango pure me, infelice che sono.
Non ho più nessuno, qui a Troia, che sia affettuoso con me
e che mi voglia bene: tutti mi detestano”. 775
Così diceva piangendo: e con lei gemeva la folla immensa.
Allora il vecchio Priamo rivolse al popolo queste parole:
“Adesso, Troiani, portate della legna in città e non abbiate paura
di un agguato insidioso degli Argivi! Achille stesso,
nel congedarmi dalle navi, mi ha assicurato che non darà 780
battaglia prima dell’aurora del dodicesimo giorno”.
Così diceva. Quelli aggiogavano ai carri
i buoi e i muli e si radunavano davanti alla città.
Per nove giorni trasportarono una enorme quantità di legna.
Ma quando al decimo giorno apparve l’aurora luminosa, 785
ecco che celebrarono in lacrime le esequie del prode Ettore:
misero il cadavere in cima al rogo e appiccarono il fuoco.
E come al mattino apparve Aurora dalle dita di rosa
si riunì il popolo intorno alla pira del grande Ettore.
Quando si furono riuniti ed accalcati, i Troiani 790
cominciarono a spegnere il rogo con il vino rosso:
dappertutto, fin dove era giunta la violenza del fuoco.
Poi i fratelli e gli amici raccolsero le bianche ossa,
tra i sospiri: grosse lacrime colavano dalle guance;
raccolte le ossa, andarono a riporle in un’urna d’oro 795
avvolgendole dentro morbide stoffe color porpora.
Poi deposero l’urna in fondo a una fossa scavata
e la coprirono con un letto di grosse pietre, ben lastricate.
In fretta innalzarono un tumulo: intorno le sentinelle vigilavano,
per paura che gli Achei attaccassero prima del tempo. 800
Dopo avere innalzato il tumulo, tornarono indietro;
quindi, si riunirono per fare un solenne banchetto
nel palazzo di Priamo, il re discendente di Zeus.
Così celebrarono il funerale di Ettore domatore di cavalli.
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