Iliade – Libro VII
ILIADE
Libro Settimo
Duello di Ettore e Aiace
Seppellimento dei morti
Così parlava lo splendido Ettore ed uscì dalle porte: 1
insieme a lui andava il fratello Alessandro. Nel loro animo
entrambi erano impazienti di dare battaglia e scontrarsi.
Come un Dio manda un vento favorevole ai naviganti in attesa,
quando con i remi ben levigati sono ormai stanchi 5
di battere il mare (i muscoli cedono per la fatica);
così fu per i Troiani che aspettavano, al comparire dei due.
I due fecero un massascro. Uno uccise il figlio di Areitoo sovrano,
Menestio: abitava in Arne, fu generato da Areitoo,
armato di clava, e da Filomedusa dafli occhi bovini. 10
Con la lancia di faggio, Ettore colpì Eioneo
al collo, sotto l’elmo bronzeo; gli ruppe le membra.
Glauco, figlio di Ippoloco, condottiero dei Lici,
nella dura battaglia percosse con l’asta Ifinoo
il Dexiade, appena balzato sui cavalli: lo prese alla spalla; 15
e lui cadde a terra dal cocchio, gli vennero meno le forze.
Non appena Atena, la Dea glaucopide, li vide
distruggere gli Argivi nella mischia violenta,
venne giù d’un volo dalle cime dell’Olimpo
verso la sacra Ilio. Le corse incontro Apollo: 20
l’aveva vista dall’alto di Pergamo; voleva la vittoria dei Troiani.
I due Dei s’incontraronovicino a una quercia;
a lei parlò per primo il sovrano Apollo, figlio di Zeus:
“Come mai con tanta furia, figlia del grande Zeus,
vieni qui dall’Olimpo? Avevi molta fretta. 25
Tu vuoi dare ai Danai la vittoria definitiva:
non hai pietà per i Troiani che muoiono;
ma se tu mi ascolti, sarebbe il meglio.
Facciamo cessare ora le ostilità e la guerra,
per oggi. Poi combatteranno di nuovo, sino 30
alla rovina totale di Ilio. Questo è il volere
di voi Dee immortali: distruggere questa città”.
A a lui rispose di rimando Atena glaucopide:
“Va bene, saettatore. Con questa intenzione anche io
ero scesa dall’Olimpo in mezzo ai Troiani e agli Achei. 35
Ma dimmi: come pensi di fermare la guerra tra gli uomini?”.
Le rispose allora Apollo sovrano, figlio di Zeus:
“Provovochiamo lo slancio gagliardo di Ettore domatore di cavalli!
Così sfiderà, da solo, qualcuno dei Danai
a battersi con lui, in un duello mortale. 40
Gli Achei dagli schinieri di bronzo resteranno sorpresi
e spingeranno qualcuno a combattere contro il divino Ettore”.
Così diceva: e Atena, la Dea glaucopide, non si oppose.
Eleno, amato figlio di Priamo, intuì dentro di sé
il disegno che era piaciuto agli Dei previdenti. 45
Giunse al fianco di Ettore e gli disse:
“Ettore, figlio di Priamo, pari a Zeus in saggezza:
mi daresti ascolto? Ti sono fratello, lo sai.
Fai fermare gli altri, i Troiani e tutti gli Achei:
poi sfida tu stesso il più valoroso degli Achei 50
a battersi con te, corpo a corpo, in un duello feroce.
Non è destino che tu muoia, che incontri la tua fine:
ho sentito la voce degli Dei immortali”.
Così parlava; ed Ettore si rallegrò a sentire quelle parole.
Si mise in mezzo agli eserciti, tratteneva le schiere troiane, 55
impugnando la lancia a metà asta: tutti si fermarono.
Agamennone fece seder giù gli Achei dai solidi schinieri.
E anche Atena e Apollo dall’arco d’argento
andavano a posarsi, come uccelli,
sopra alla quercia sacra a Zeus Egioco. 60
Si godevano lo spettacolo degli uomini: le schiere fitte,
tutte irte di scudi, di elmi di lance.
Come si increspano le onde del mare, quando Zefiro
ha inizato a spirare (si fa nera la distesa delle acque):
così erano le file degli Achei e dei Troiani, nella pianura. 65
Ettore parlò in mezzo ai due eserciti avversari:
“Ascoltatemi, Troiani e Achei dai solidi schinieri!
Vi voglio dire quanto mi impone il cuore nel petto.
L’eccelso Cronide non ha fatto osservare i patti:
medita sventure per entrambi i popoli; 70
per quando distruggerete Troia cinta di torri
oppure sarete vinti presso le navi che solcano il mare.
Ecco, tra voi ci sono i più valorosi di tutti gli Achei;
chi ha voglia di combattere con me,
venga qui avanti: sarà, fra tutti, l’avversario di Ettore. 75
Questa è la mia proposta, e Zeus ci sia testimone:
se lui mi ucciderà con il bronzo affilato,
mi spogli delle armi e se le porti alle navi ricurve,
ma renda indietro il mio corpo ai miei. Così i Troiani
e le loro donne mi onoreranno, dopo morto, con il fuoco del rogo. 80
Se invece io uccido lui e Apollo mi concede la vittoria,
lo svestirò dell’armatura e me la porterò dentro la sacra Ilio:
le consacrerò nel tempio di Apollo saettatore.
Ma il cadavere voglio restituirlo, perché lo portino alle navi.
Così gli Achei gli renderanno gli onori funebri 85
e gli erigeranno un tumulo in riva al largo Ellesponto.
E così un giorno qualcuno tra i posteri dirà,
navigando con la nave sul mare spumoso:
“Ecco qui la tomba di un eroe morto nel tempo antico.
Era un valoroso: e lo splendido Ettore l’uccise”. 90
Così qualcuno dirà: e la mia fama non morirà mai».
Queste furono le sue parole: e tutti restarono in silenzio profondo.
Avevano vergogna a rifiutare e paura di accettare.
Poi, alla fine, si levò Menelao e parlò là in mezzo;
inveiva con ingiurie e molto soffriva in cuor suo: 95
“Ahimè, che fanfaroni! Siete donnicciole, non guerrieri achei.
Sarà un disonore ed un’infamia,
se nessuno dei Danai ora sfiderà Ettore.
Vorrei che diventaste tutti acqua e terra,
voi che ve ne state qui seduti come vigliacchi, senza onore. 100
Io stesso prenderò le armi contro di lui! Del resto, le sorti
della vittoria stanno in alto, nelle mani degli Dei immortali”.
Così parlava e cominciò a indossare la bella armatura.
E allora, Menelao, sarebbe stata per te la fine della tua vita,
per mano di Ettore — lui era senz’altro molto più forte —, 105
se i principi degli Achei non fossero balzati a trattenerti.
Lo stesso Atride, Agamennone dall’ampio potere,
ti afferrò la destra e si rivolse a te in questo modo:
“Sei pazzo, Menelao, allevato da Zeus! Non è il momento
per una tale follia. Anche se ti costa, sii paziente; 110
non affrontare per rabbia un guerriero più valoroso di te:
Ettore, figlio di Priamo, che anche gli altri temono.
Persino Achille ha paura di scontrarsi con lui qui,
nella battaglia gloriosa: ed è molto più forte di te.
Vai a sederti in mezzo alla schiera dei tuoi compagni. 115
Contro di lui, gli Achei metteranno in campo un altro.
E, per quanto Ettore sia impavido e mai sazio di lotta,
ben volentieri metterà a riposo le ginocchia, caso mai
riesca a scampare alla furia dello scontro e al duello feroce”.
Così parlava e dissuase la mente del fratello 120
parlando secondo prudenza: e lui si lasciava convincere.
Allora i suoi scudieri, tutti contenti, gli tolsero d’addosso l’armatura.
Nestore si alzò tra gli Argivi e si mise a parlare:
“Ah, una grossa sventura si abbatte sulla terra achea!
Dovrebbe piangere anche il vecchio Peleo, condottiero di carri, 125
valente consigliere dei Mirmidoni e buon oratore.
Un giorno mi faceva tante domande, tutto contento, nel suo palazzo:
voleva sapere la parentela e la stirpe di tutti gli Argivi.
Se ora se venisse a sapere che sono qui a tremare davanti ad Ettore,
pregherebbe di cuore gli Dei immortali, 130
di farlo morire e sprofondare giù nella casa di Ade.
Zeus padre, Atena e Apollo, magari fossi ancora
giovane, come quando in riva al Celadonte dalle rapide correnti
combatterono tra di loro i Pili e gli Arcadi bellicosi,
presso le mura di Feia, vicino al fiume Iardano. 135
Tra i nemici stava in prima fila Ereutalione, guerriero pari a un Dio:
aveva indosso l’armatura di Areitoo sovrano:
sì, del divino Areitoo, che chiamavano ‘quello della clava’
di soprannome, sia gli uomini che le donne dalla bella cintura;
perché non combatteva con l’arco né con la lunga lancia, 140
ma sbaragliava i nemici con una mazza di ferro.
Lo uccise Licurgo, con l’inganno e non con la forza,
in uno stretto sentiero; la mazza di ferro
non lo salvò dalla morte. Licurgo lo colpì di sorpresa,
lo infilzò con la lancia in pieno corpo: e lui stramazzò al suolo. 145
Così lo spogliò delle armi che gli aveva dato il bronzeo Ares:
da allora fu lui a portarle nel tumulto di Ares.
Ma quando Licurgo poi invecchiò nella sua casa,
le diede da portare a Ereutalione, suo compagno in guerra.
E con quelle armi egli sfidava a duello tutti i più valorosi: 150
e loro tremavano, erano spaventati, nessuno osava farsi avanti.
Ma il mio animo forte, grazie al suo ardimento,
trovò il coraggio per combattere: ero il più giovane di tutti!
Mi battei con lui e Atena mi concesse la vittoria:
uccisi quel guerriero alto e fortissimo; 155
e quel gigante giacque disteso al suolo.
Oh, fossi ancora giovane così e avessi salde le mie forze!
Ettore dell’elmo ondeggiante avrebbe il suo avversario.
E voi che siete qui, tra tutti gli Achei, i più valorosi,
ecco non ve la sentite di scontrarvi a viso aperto con Ettore!”. 160
Così li rimproverava il vecchio: si alzarono in tutto nove guerrieri.
Per primo si levò Agamennone signore di popoli;
dopo di lui si alzava il Tidide, il forte Diomede,
dopo di loro gli Aiaci armati di furia battagliera,
poi ancora Idomeneo e il suo compagno d’armi 165
Merione, simile a Enialio che fa strage di eroi;
dietro a loro Euripilo, lo splendido figlio di Evemone,
infine Toante figlio di Andremone e il divino Odisseo:
tutti là erano risoluti a battersi contro Ettore divino.
A loro parlò Nestore il Gerenio, condottiero di carri: 170
“Tirate adesso a sorte: vediamo a chi tocca.
E l’eroe prescelto, ne sono certo, salverà l’onore degli Achei
dai solidi schinieri e ne sarà soddisfatto anche lui,
se riesce a scampare alla furia dello scontro e al duello feroce”.
Così diceva. Ed essi fecero un segno, uno per uno, sulla propria sorte 175
e le gettarono poi dentro l’elmo dell’Atride Agamennone.
Intanto i combattenti rivolgevano preghiere agli Dei,
levando le braccia. E così ognuno diceva, guardando l’ampio cielo:
“Zeus padre, fa’ che tocchi ad Aiace, oppure al figlio di Tideo,
o anche al re di Micene — la città dell’oro!”. 180
Così dicevano. E Nestore il Gerenio andava scuotendo l’elmo:
ed ecco ne saltò fuori proprio la sorte che loro si auguravano,
quella di Aiace! L’araldo, muovendosi da sinistra verso destra,
la portava da ogni parte e la mostrò via via a tutti quei prodi.
Non la riconoscevano come propria e facevano segno di no. 185
Ma quando, portandola attraverso la folla, giunse
nel giro all’eroe che l’aveva incisa e messa
dentro l’elmo — lo splendido Aiace —
questi tese la mano; l’araldo si accostò e gliela porse.
E subito il guerriero riconobbe il segno della sorte ed esultò di gioia.
La buttò a terra ai suoi piedi e così diceva: 190
“Amici, è proprio mia la sorte. E ne sono contento
nel mio cuore, perché vincerò Ettore divino.
Ma via, intanto che io indosso l’armatura,
voi pregate Zeus sovrano, figlio di Crono,
in silenzio, tra voi, che non ascoltino i Troiani: 195
o anche ad alta voce. Non abbiamo paura di nessuno!
Nessuno mi metterà in fuga contro la mia volontà,
né con la forza né con l’astuzia, poiché a Salamina
sono nato e cresciuto e non sono così inesperto di armi!».
Così parlava. E gli altri pregavano Zeus sovrano, figlio di Crono; 200
ognuno diceva con uno sguardo all’ampio cielo:
“Zeus padre che regni dall’alto dell’Ida, tu glorioso e grande,
dai la vittoria ad Aiace, che egli abbia questo glorioso successo.
Ma se hai caro anche Ettore e ti curi di lui,
concedi a entrambi vigore e gloria in eguale misura”. 205
Così dicevano e Aiace si armava di bronzo splendente.
E dopo che ebbe indossato l’intera armatura
si mosse allora, così come avanza Ares possente
nell’andare alla guerra in mezzo agli uomini, quando il Cronide
li spinge insieme a combattere nel furore di uno scontro. 210
Così balzò avanti il poderoso Aiace, baluardo degli Achei,
con un sorriso sul volto sicuro; camminava a gran passi,
in basso con i piedi e misurando la lancia dalla lunga ombra.
Allora gli Argivi lo guardavano e gioivano,
mentre i Troiani vennero invasi tutti da un forte tremore. 215
Anche ad Ettore batteva il cuore in petto:
ma ormai non poteva più avere paura né tornare
indietro in mezzo ai suoi: era stato lui a sfidare a duello.
Aiace gli andò vicino, portando uno scudo simile a una torre:
uno scudo bronzeo, con sette strati di pelle di bue, fatto da Tichio, 220
il migliore dei tagliatori di cuoio, che aveva la sua casa in Ile;
aveva fabbricato questo scudo prezioso con sette pelli
di robusti tori: vi stese sopra del bronzo ed era l’ottavo strato.
Davanti al petto lo portava Aiace Telamonio;
si fermò vicino a Ettore e parlò minaccioso: 225
“Ettore, ora vedrai da te stesso
che guerrieri valorosi ci sono tra i Danai,
oltre ad Achille massacratore, cuor di leone.
Ora lui se ne sta presso le navi concave,
in collera con Agamennone pastore di popoli. 230
Ma siamo in molti qui, capaci di misurarci con te.
Su, cominciamo la lotta e la battaglia!”.
E a lui allora rispose il robusto Ettore dall’elmo ondeggiante:
“Aiace Telamonio, discendente di Zeus, signore di popoli,
non cercare di intimidirmi come un ragazzetto debole 235
o una donnicciola, che non s’intende di imprese di guerra.
Io, credimi, conosco bene le battaglie e le stragi.
So muovere (ora a destra, ora a sinistra) la pelle
di bue, che mi consente di combattere con lo scudo;
so irrompere con il carro in mezzo alla furia dei cavalli veloci; 240
so anche, nella lotta a piede fermo, fare la danza di Ares feroce.
Ma non intendo colpirti a tradimento,
valoroso come sei, ma a viso aperto, se ci riesco”.
Così disse e, palleggiando l’asta dalla lunga ombra, la scagliò:
colpì Aiace nel tremendo scudo dalle sette pelli di bue, 245
sulla copertura di bronzo (che era l’ottavo strato).
La punta della lancia penetrò il bronzo tagliente e sei strati
di cuoio, ma al settimo si arrestò. Subito dopo
fu il divino Aiace a scagliare la sua arma dalla lunga ombra
e colpì il figlio di Priamo sullo scudo rotondo, ben bilanciato. 250
La lancia pesante trapassò lo scudo luccicante
e si conficcò nella corazza ben cesellata;
trapassando il fianco, la lancia lacerò la tunica.
Ma Ettore si scansava, e riuscì a schivare il nero destino.
Allora tutti e due, ad un tempo, strappavano le lunghe aste 255
e si scontrarono con violenza. Parevano leoni carnivori
o cinghiali selvaggi (la cui forza non è da poco).
Il figlio di Priamo con l’asta urtò in pieno lo scudo dell’avversario,
ma l’arma non l’infranse, si piegò la punta.
Aiace, dal canto suo, con un balzo gli trafisse lo scudo: 260
la lancia lo attraversò e respinse indietro la furia del nemico.
Giunse al collo di striscio e ne sgorgava il sangue nero.
Neppure allora Ettore dall’elmo ondeggiante abbandonò la lotta:
retrocedeva e afferrava con la robusta mano
una pietra scura lì a terra, tutta a punte, enorme. 265
Con quella percosse Aiace nel tremendo scudo dai sette strati di cuoio,
nel pieno centro: la superficie di bronzo risuonò.
Subito dopo, Aiace sollevava un macigno molto più grosso
e ruotandolo in aria lo scagliò: v’impresse una forza smisurata;
frantumò così lo scudo, colpendolo con il sasso simile ad una macina, 270
e gli fiaccò le ginocchia. Ettore cadde lungo disteso a terra,
con tutto lo scudo addosso. Ma subito lo drizzò in piedi Apollo.
Con le spade in pugno, si sarebbero feriti in un corpo a corpo,
se non fossero intervenuti gli araldi, messaggeri di Zeus
e degli uomini, uno a nome dei Troiani, l’altro per gli Achei bellicosi: 275
erano Taltibio e Ideo, entrambi assennati;
in mezzo ai due eroi posero gli scettri. E parlava
l’araldo Ideo, da saggio e prudente qual era:
“Figli cari, non state più qui in campo a lottare.
Siete entrambi amati da Zeus adunatore di nembi, 280
entrambi prodi guerrieri. E questo lo sappiamo tutti.
Ormai viene buio: ed è bene arrendersi alla notte”.
Gli rispondeva Aiace Telamonio:
“Ideo, invitate Ettore a fare questa proposta!
È stato lui a sfidare tutti i più valorosi a battaglia. 285
Ed egli sia ora il primo! Cederò anch’io volentieri, se lo fa lui”.
Rispose allora il grande Ettore dall’elmo ondeggiante:
“Aiace, vedo che un nume ti ha dato corporatura robusta, vigore
ed anche giudizio; sei il migliore degli Achei nel tirare di lancia.
Cessiamo adesso la lotta e lo scontro, per oggi! 290
Domani poi combatteremo ancora, sino al giorno in cui la sorte
non decida per noi e conceda la vittoria agli uni o agli altri.
Ormai viene buio: ed è bene arrendersi alla notte.
Tu farai lieti tutti gli Achei presso le navi,
ed in particolare i tuoi amici e i tuoi compagni d’armi. 295
E anche io là, nella grande città di Priamo sovrano,
renderò contenti i Troiani e le Troiane dai lunghi pepli:
ed esse entreranno nel sacro tempio a levare preghiere per me.
Ma su, scambiamoci a vicenda doni preziosi;
mi piacerebbe che gli Achei e i Troiani dicessero: 300
– Si batterono in uno scontro mortale,
ma, ormai riappacificati, si separarono da amici -”.
Così parlava e gli donò una spada dalle borchie d’argento:
gliela porgeva insieme con il fodero e la cinghia ben lavorata.
Aiace da parte sua gli dava una cintura splendente di porpora. 305
I due campioni si separarono: uno andava in mezzo all’esercito acheo,
l’altro si muoveva tra la turba dei Troiani. Questi esultavano
di gioia, a vederlo venire vivo ed incolume,
scampato alla furia e alle mani irresistibili di Aiace.
E lo condussero in città, non speravano più che si salvasse. 310
Gli Achei dai solidi schinieri, dall’altra parte, accompagnavano Aiace,
felice della propria vittoria, all’alloggio del divino Agamennone.
Appena furono dentro la tenda dell’Atride,
ecco che Agamennone, signore di popoli, sacrificò un bue
maschio di cinque anni, in onore del potente Cronide. 315
Lo scuoiarono e lo prepararono: lo squartarono tutto.
Poi lo tagliarono a pezzi, con cura: li infilarono negli spiedi
e li arrostirono con arte. Alla fine li tolsero dal fuoco.
E quando terminarono il lavoro ed ebbero preparato il pranzo,
allora banchettarono: a nessuno mancò la sua parte di cibo. 320
L’intero filetto fu riservato ad Aiace: glielo porgeva
l’eroe figlio di Atreo, Agamennone dal grande potere.
Quando si furono tolti la voglia di mangiare e di bere,
il vecchio Nestore cominciò per primo ad esporre il suo pensiero
(anche in passato il suo consiglio si era rivelato il migliore). 325
Così, da persona saggia, prese la parola e disse:
“Atride e voi altri principi degli Achei!
Sono già tanti i caduti tra gli Achei dalle chiome fluenti,
il cui sangue nero è stato disperso da Ares crudele
lungo il limpido Scamandro: le loro anime sono scese nell’Ade. 330
Per questo all’alba devi fermare la guerra degli Achei:
e noi tutti potremo trasportare i morti
sui carri tirati da buoi e muli e poi bruciarli,
poco lontano dalle navi. Così potremo restituire ai figli
le ossa; a casa, quando faremo ritorno in patria. 335
Dobbiamo erigere un tumulo sulla pira, ammassando terra
in un solo mucchio, sulla pianura; costruire vicino
alti torrioni, a protezione della flotta e di noi stessi,
e porte ben costruite al suo interno,
per permettere il passaggio dei carri. 340
All’esterno dobbiamo scavare una fossa profonda,
tutto intorno, per tenere lontani i guerrieri ed i cavalli
e per impedire di essere sopraffatti dall’assalto dei fieri Troiani”
Così parlava. Ed i principi approvavano tutti.
Intanto, sull’acropoli di Ilio, vi era l’assemblea dei Troiani, 345
vicino alla porta del palazzo di Priamo: era turbolenta e agitata.
Antenore il saggio diceva per primo:
“Troiani, Dardani ed alleati: ascoltatemi.
Vi voglio dire una cosa, me lo comanda il cuore.
Consegniamo Elena argiva e le sue ricchezze 350
agli Atridi! Che se le portino via! Oggi siamo in guerra
e abbiamo violato patti solenni. Perciò credo davvero
che non ci capiterà nulla di buono, se non facciamo così”.
Dopo queste parole si mise a sedere. E tra loro si alzò
il divino Alessandro, lo sposo di Elena dalla bella chioma; 355
Così rispondeva, dicendo parole alate:
“Antenore, non mi piace la proposta che fai:
sai fare discorsi anche migliori di questo.
Ma se davvero parli sul serio e proponi questo,
allora gli Dei in persona ti hanno tolto il senno. 360
Anche io parlerò fra i Troiani domatori di cavalli.
Lo dico apertamente: non restituirò la donna!
Quanto ai tesori che ho portato da Argo nella mia casa,
sono disposto a renderli e ad aggiungerne di miei”.
Così parlava e si mise a sedere. E tra loro si alzò 365
Priamo il Dardanide, saggio e simile agli Dei;
pensando al bene di tutti, prese la parola e disse:
“Troiani, Dardani ed alleati: ascoltatemi.
Vi voglio dire una cosa, me lo comanda il cuore.
Consumate il pasto della sera, come sempre, 370
e pensate a far buona guardia: siate tutti vigili.
Domattina poi Ideo si recherà alle navi ricurve,
a riferire agli Atridi Agamennone e Menelao
la proposta di Alessandro: è per causa sua che è sorta la guerra.
Aggiunga anche questa saggia proposta: veda se sono disposti 375
a sospendere la guerra crudele sino a quando i morti
verranno bruciati; poi combatteremo ancora, sino al giorno
in cui un nume deciderà per noi, concedendo la vittoria agli uni o agli altri”.
Così parlava: tutti ascoltarono attenti ed obbedirono;
presero allora il pasto della sera, divisi per gruppi. 380
All’alba Ideo si recava alle navi ricurve:
li trovò in assemblea, i Danai seguaci di Ares,
vicino alla poppa della nave di Agamennone. I mezzo a loro
parlava in piedi l’araldo dalla forte voce:
“Atride e voi altri principi degli Achei, 385
Priamo e i nobili Troiani tutti mi comandano
di riferire, se mai vi è gradita e vi fa piacere,
la proposta che Alessandro: è per causa sua che è sorta la guerra.
I tesori che Alessandro, sulle navi concave,
ha portato a Troia — magari fosse morto prima! — 390
è pronto a renderli tutti e ad aggiungerne altri di suo.
Ma la sposa legittima del glorioso Menelao
si rifiuta di restituirla. Eppure i Troiani lo esortano a farlo!
Anche questa proposta mi dicevano di farvi: siete disposti
a sospendere la guerra crudele sino a quando i morti 395
verranno bruciati? Poi combatteremo ancora, sino al giorno
in cui un nume deciderà per noi, concedendo la vittoria agli uni o agli altri”.
Così parlava. E tutti là restarono muti, in silenzio.
Alla fine parlò Diomede, possente nel grido di guerra:
“Nessuno qui deve accettare i tesori di Alessandro; 400
e neppure Elena! È chiaro anche a un bambino
che per i Troiani è vicino il momento della disfatta”.
Così parlava. E tutti acclamavano, i figli degli Achei,
approvando il discorso di Diomede domatore di cavalli.
E allora il potente Agamennone disse a Ideo: 405
“Ideo, senti tu stesso la parola degli Achei,
come ti rispondono. E anche a me va bene così.
Quanto poi ai morti, non ho nulla in contrario che si brucino.
Non si rifiuta, ai corpi dei defunti,
quando lasciano la vita, la consolazione del fuoco. 410
E sia testimone dei patti Zeus, lo sposo tonante di Hera!”.
Così diceva e protese lo scettro verso tutti gli Dei.
Ideo tornò così indietro, verso la sacra Ilio.
Là sedevano in assemblea, tutti quanti riuniti,
Troiani e Dardani: erano in attesa del ritorno 415
di Ideo. Questi infine arrivò e riferì la risposta,
stando in piedi in mezzo a loro. Allora in fretta si prepararono,
gli uni per trasportare i morti, gli altri a far legna.
Anche gli Argivi, dall’altra parte, lasciavano le loro navi
dai solidi banchi, chi a trasportare i morti, chi a far legna. 420
Allora, il sole si spandeva di nuovo sui campi,
sorgendo dalle quiete e profonde correnti dell’Oceano
e salendo in cielo. E gli uni si incontravano con gli altri.
Era ben difficile riconoscere ognuno dei guerrieri caduti.
Ma con l’acqua lavavano via il sangue dalle ferite; 425
poi versando calde lacrime li deponevano sui carri.
Il grande Priamo non consentiva il pianto: ed essi in silenzio
ammucchiavano i corpi sulla pira funebre, con la tristezza nel cuore:
dopo la cremazione tornarono alla sacra Ilio.
Lo stesso facevano gli Achei dai solidi schinieri: 430
accumulavano i morti sulla pira, profondamente tristi;
dopo la cremazione tornarono alle navi ricurve.
Non era ancora l’alba, ma c’era il crepuscolo notturno:
intorno al rogo si riunì un drappello scelto di Achei.
Erigevano un tumulo sulla pira, ammassando terra 435
in un solo mucchio, sulla pianura; costruirono vicino un muro
e alte torri, a difesa delle navi e di se stessi.
E vi facevano porte ben costruite al suo interno,
per permettere il passaggio dei carri.
Di fuori, accanto al muro, scavarono una fossa profonda, 440
larga e grande, e vi piantarono dei pali.
Così lavoravano gli Achei dalle chiome fluenti;
intanto gli Dei sedevano accanto a Zeus fulminatore
e contemplavano la grande opera degli Achei vestiti di bronzo.
Tra loro prendeva a parlare Poseidone che scuote la terra: 445
“Zeus padre, vi è ancora qualcuno sulla terra sconfinata
che vorrà ancora aprire il cuore agli immortali?
Non vedi che gli Achei dalle chiome fluenti
hanno fabbricato un muro presso le navi, hanno scavato
intorno un fossato, seza offrire solenni ecatombi agli Dei? 450
La fama di questo correrà fin dove si diffonde l’Aurora.
E così dimenticheranno quello che io e Febo Apollo
edificammo con tanta fatica per l’eroe Laomedonte”.
Molto turbato, così rispose Zeus adunatore dei nembi:
“Ahi, che cosa hai detto mai, potente Ennosigeo! 455
Questo timore può averlo qualunque altro degli Dei,
che sia molto più debole di te per vigore di braccia.
Ma la tua fama, di certo, correrà fin dove si diffonde l’Aurora.
Orbene: non appena gli Achei dalle chiome fluenti
torneranno alla terra dei loro padri con le navi, 460
abbatti qull muro e rovescialo in mare;
ricoprì di nuovo l’ampio lido con la sabbia.
Scomparirà in questo modo il grande muro degli Achei”.
Così facevano questi discorsi tra di loro.
Tramontò il sole ed era compiuta l’opera degli Achei; 465
allora uccidevano i buoi nelle tende e prendevano il pasto della sera.
Erano là a riva molte navi, venivano da Lemno
cariche di vino. Le inviava Euneo figlio di Giasone,
generato da Ipsipile a Giasone pastore di popoli.
A parte, per gli Atridi Agamennone e Menelao 470
il Giasonide aveva mandato mille misure di vino.
Di qui si rifornivano gli Achei dalle chiome fluenti,
barattando gli uni bronzo e gli altri lucido ferro;
altri barattavano pelli di bue, altri i buoi
e altri ancora gli schiavi. Preparavano così un pasto abbondante. 475
Per tutta la notte gli Achei dalle chiome fluenti banchettavano;
altrettanto facevano in città i Troiani e gli alleati.
Ma il sapiente Zeus per l’intera notte meditava per loro dei guai,
tuonando minacciosamente: la pallida paura li afferrava.
Versavano il vino a terra dalle coppe; e nessuno osò 480
bere prima di libare al potente figlio di Crono.
Alla fine si sdraiarono sui giacigli e colsero il dono del sonno.
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