Il ponte del Diavolo

Il maniero del potente signore delle terre del nord, il temuto Armoral distruttore di città, sorgeva al di là del fiume che attraversava l’unica strada che conduceva al castello con una maestosa cascata rumorosa e invalicabile.

Lo aveva fatto costruire oltre il fiume proprio per avere un lato sicuro da assedi e tentativi di conquista. Era una costruzione massiccia, non tanto alta, senza torri, non servivano perché era seminascosta dalla parete della montagna da dove scorreva la cascata d’acqua impetuosa. Le mura robuste e le scarse possibilità di poterla assediare ne facevano una fortezza inespugnabile.

Per maggior sicurezza il vecchio re aveva fatto costruire il ponte di collegamento con l’altra sponda in un modo piuttosto insolito per una costruzione del genere. Aveva due arcate a volta unica e a sella d’asino alternate. La larghezza era appena sufficiente per far transitare un cavallo alla volta. In questo modo i nemici non sarebbero stati mai in grado di dilagare, essendo costretti a passare in fila e, per i difensori, sarebbe stato facile respingerli. 

Alla morte del padre, il principe ereditario Erminius, era diventato il signore di tutte le terre a nord della grande pianura, terre già assoggettate da suo padre, Non doveva fare altro che amministrarle. Per il bellicoso e spavaldo giovane principe, quel compito fu molto arduo; era un valoroso guerriero, ma incapace di pensare e agire come un re. Lui sapeva solo combattere.

Durante i primi tempi del suo regno non ci furono guerre, la vita procedeva tranquilla, e al principe, ormai sovrano delle genti, quella pace non andava a genio, smaniava per combattere, uccidere nemici e far valere il suo coraggio in battaglia.

Non avendo dimestichezza con il buon governo se ne restava nel suo castello a oziare e a spendere cifre esorbitanti per il suo divertimento. La popolazione cominciava a rendersi conto che lui era inadatto a regnare. Per alimentare il lusso e i divertimenti, aveva fatto aumentare in maniera esosa le gabelle che gravavano sulla popolazione.   

Il popolo non tardò a spazientirsi. I primi movimenti di ribellione si sparsero nel regno a macchia d’olio e, a un certo punto, la fiamma della rivolta esplose in tutta la sua virulenza, ci furono scontri violenti in tutte le zone del regno. Erminius intervenne e, facendo valere la sua forza bruta e la ferocia che gli era naturale, riuscì a sedare la rivolta, però, in seguito dovette ritirarsi nel suo castello, non voleva correre rischi di agguati a sorpresa.

Negli scontri frontali non temeva nessuno, ma negli agguati la sua brutalità e l’abilità nel combattere non sarebbero serviti a nulla. Una freccia scagliata da lontano poteva fare danni più di una spada. Nel suo castello era al sicuro, nessuno poteva assaltare quella fortezza.

I rivoltosi si organizzarono per decidere, sapevano bene che era inutile tentare delle sortite, dovevano solo escogitare qualche tranello per indurre il giovane e focoso re a uscire allo scoperto per poterlo sconfiggere. Le cose andavano per le lunghe, nessuna delle due parti cedeva, e il regno andava in rovina. I campi non erano più coltivati, le riserve alimentari cominciavano a scarseggiare, quelli del castello resistevano con delle sortite dalla parte opposta del fiume, dove i rivoltosi non avevano il controllo.

 Stava per arrivare l’inverno e le acque del fiume si sarebbero ingrossate ancora di più, occorreva mettere da parte le provviste per la sopravvivenza della popolazione. Bisognava far presto, se si voleva sconfiggere quell’indegno regnante buono solo a gonfiare i muscoli.

I capi dei ribelli mandarono a chiamare il saggio che viveva da eremita sulla montagna per avere dei consigli. Il vecchio pur riluttante a muoversi dovette scendere in città e parlare con i capi della rivolta.

<Vieni avanti vecchio, siediti, – i capi si dimostrarono gentili e ossequiosi nei suoi confronti, – se hai fame sarai rifocillato, se hai sete avrai da bere. Ti abbiamo mandato a chiamare perché ci troviamo in una situazione di stallo. Non ci riesce di venire a capo di questa storia. Il re si è trincerato nel suo castello e sappiamo che è impossibile assalirlo. Dacci un tuo parere e un consiglio, siamo alle soglie dell’inverno e non abbiamo scorte di cibo sufficienti per noi e i nostri figli, dobbiamo finirla subito per tornare a occuparci delle nostre famiglie. Parla vecchio saggio, ti ascoltiamo>

Il vecchio dopo anni di isolamento si guardò intorno e non riusciva a capire cosa volesse quella gente da lui. Volevano fare una guerra, bene, lui che c’entrava? Dopo essersi guardato intorno e aver ascoltato le ultime parole di chi stava parlando, capì che doveva dire qualcosa.

< Voi sapete che mi sono ritirato sulla montagna proprio per sfuggire a queste situazioni che non m’interessano, sono affari vostri, voi volete fare le guerre poi venite a chiedere a me, io che odio ogni genere di contrasti. Allora! Vi siete messi contro il vostro re, dico bene? Avete innescato una guerra che non sapete più come gestire e volete il mio aiuto. Secondo voi cosa dovrei fare o dire per accontentarvi, sentiamo! Cosa vi aspettate da me, un piano di guerra? Vi rendete conto che io non so nulla. Lo sapevate anche prima che il castello era inespugnabile, possibile che non ci avete pensato? Penso, e di questo sono sicuro, che siete degli stupidi, quello che posso dirvi è di rivolgervi a qualcun altro per risolvere il vostro problema, al Diavolo per esempio, lui una soluzione la trova sempre. >

Gli astanti lo guardarono con occhi fuori dalle orbite, lui l’eremita, il santone, quello che si era ritirato per pregare, per cercare un contatto più stretto con il Signore, stava dicendo di chiamare il Diavolo in persona. Si guardarono tutti in faccia pensando che stesse scherzando, ma dalla faccia seria e compunta del vecchio, capirono che diceva sul serio. Dopo aver mormorato qualcosa, il saggio si alzò e, recuperato il suo bastone, si avviò fuori per tornare al suo eremo montano.

Rimasti da soli, i capi si sentirono abbandonati, frustrati, forse, – pensarono- aveva ragione il vecchio; ribellarsi contro chi deteneva il potere ed era il padrone di un castello così inattaccabile era stata una mossa insulsa, dovevano immaginare che poteva finire così.

A quel punto cosa potevano fare, ritornare al lavoro di sempre e aspettarsi una pesante ritorsione da parte del giovane sovrano, irascibile e feroce o andare avanti e decidere di attuare il consiglio dell’eremita. Chiamare in aiuto il diavolo! Come si poteva fare? Il sacerdote che era presente alla discussione s’intromise: 

< Fate attenzione fratelli, non si deve chiamare il diavolo, lui verrà da solo se soltanto penserete a lui, se unite le vostre menti e pensate a Satana come il vostro liberatore, lui verrà e dopo reclamerà le vostre anime.>

Per alcuni istanti nella sala non si udì volare una mosca, tutti erano in silenzio, erano titubanti sul fatto di appellarsi al diavolo in persona, sapevano che lui non faceva mai niente per niente.  Al punto dov’erano arrivati, perdere anche l’anima poteva essere il minore dei mali, se si fossero arresi avrebbero perso anche la vita.

Mentre erano assorti nei loro pensieri un ragazzo, che era di guardia al ponte per un’eventuale sortita degli assediati, venne correndo e urlando.

< Uomini, correte, venite a vedere, mentre ero di guardia al ponte, all’improvviso dal nulla è apparso un cavaliere tutto vestito di nero, sta andando verso il castello. Non sono riuscito a vedere il suo viso, sembra che non l’abbia per niente. Dio abbia pietà di noi, è la morte che è arrivata.>

< Taci ragazzo, quale morte, non mettere in giro false voci, andiamo a vedere piuttosto, penso di sapere chi è e se ho indovinato abbiamo più problemi di prima. Andiamo, presto, prima che scompaia.>

Si diressero tutti verso l’estremità del ponte che dava sulla cascata. In lontananza si vedeva il castello e gli uomini armati sui merli in attesa, forse avevano visto anche loro il cavaliere nero avanzare tranquillo verso di loro. Cominciarono a piovere frecce contro quella figura misteriosa che lentamente con passo cadenzato si avvicinava sempre di più. I ribelli dalla riva lo vedevano avanzare come se fosse avvolto in nube d’aria grigia che lo proteggeva dai dardi scagliati contro di lui, il capo dei rivoltosi si rivolse ai suoi uomini indicando il cavaliere.

< Allora uomini, avete capito chi è quel cavaliere? I vostri pensieri evidentemente sono stati forti e pieni di paure, tanto da invocarlo e, lui è arrivato come previsto. Ora andrà da loro per esigere la sua parte di anime, poi verrà da noi che lo abbiamo chiamato e farà altrettanto, siete pronti a pagare il tributo che vi chiederà? Badate che non potete tirarvi indietro, ormai lui è qui e sta facendo il lavoro al posto nostro. Porre fine a questa storia, entro il tramonto sarà tutto finito>.

< Davvero dici che quello è il diavolo?  – gli uomini cominciavano già a pentirsi dei loro pensieri, – Non pensavamo che sarebbe venuto. Dio ci liberi dalla sua presenza, io sono sempre stato uno pacifico, non volevo nessuna guerra e ora devo perdere l’anima per cosa, per eliminare un re e averne un altro? Siamo stati stolti nel credere che avremmo risolto tutti i problemi con una ribellione armata.>

< Hai ragione, prima di questo inetto c’era il padre e anche lui non era poi così buono, questo, non solo è stupido, ma anche cattivo e feroce: un fantoccio pieno di muscoli, di stupidità e d’ignoranza ci sta rendendo la vita più difficile di prima>

< Gli ignoranti siamo stati noi – intervenne ancora una volta il sacerdote che aveva visto il diavolo, sul ponte, arrivare davanti al castello e fare un segno con la mano.

Subito dopo, il ponte levatoio si era abbassato senza difficoltà e lui era entrato tranquillo, sempre a cavallo, lentamente – è colpa nostra se poi ci siamo trovati così presi tra due fuochi, da una parte il castello, e lo sapevamo che il re si sarebbe rifugiato là dentro, e da quest’altra parte noi con le nostre paure.  Siamo un popolo di contadini, gente semplice, che non ha istruzione, nessuno di noi sa leggere o scrivere, viviamo alla giornata seguendo la natura, non sappiamo altro.

La paura è la nostra compagna di sempre, paura per la nostra vita, per i nostri figli, per i raccolti che a volte non sono buoni, paure tramandate di padre in figlio, per delle leggende che non sappiamo se sono vere o meno. Abbiamo terrore del fruscio del vento fra gli alberi, della luna che ci guarda di notte, dell’ululato dei lupi nella foresta, una paura fottuta del diavolo, da sempre nostro nemico e dei suoi disegni occulti, messi in atto per privarci dell’anima.

Ora, per altre paure, lo abbiamo scelto come amico e compagno. In un modo o nell’altro lo abbiamo chiamato e ci toccherà pagare il suo prezzo. Lui prenderà la nostra anima, e nel caso che anche il nuovo re non fosse all’altezza, cosa potremmo venderci dopo?

Che almeno questo nostro sacrificio serva di lezione a chi resterà dopo di noi, i nostri figli dovranno evolversi, capire e agire di conseguenza, soprattutto abbandonare la via dell’ignoranza e delle paure. Venite andiamo a pregare per le nostre anime. Il cavaliere nero ha portato a termine il suo compito, guardate, lo vedete con i vostri occhi, il castello è in fiamme. Almeno non sentiremo più parlare del principe Erminius. Ora tocca a noi>.

di Lorenzo Barbieri

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