Il gigante fronzuto
La nave era appena arrivata a terra, l’equipaggio si affrettò a scendere per trarre l’imbarcazione a riva evitando di farla oscillare sulla risacca che al momento era abbastanza tranquilla, ma che di lì a poco sarebbe aumentata.
Il capitano navigando verso terra aveva visto ingrossarsi le onde, motivo per cui aveva anche scelto di fermarsi. Non aveva nessuna intenzione di affrontare un’altra tempesta. Il tempo era buono e la terra dove erano sbarcati si presentava rocciosa e arsa dal sole, doveva essere un’isola.
Eurialo, da esperto marinaio, sapeva riconoscere i luoghi dove era sicuro sbarcare, quella riva era sabbiosa, ma piena di sassi, in cuor suo sperava di incontrare qualche ruscello o fiume nelle vicinanze; avevano un disperato bisogno di acqua potabile e anche di provviste fresche. Le riserve erano state intaccate e lui non voleva proseguire il suo viaggio senza essersi rifornito a dovere.
La prudenza che lo aveva sempre contraddistinto fece in modo di far ordinare dei turni di guardia per la nave, mentre una pattuglia di uomini si sarebbe addentrata verso l’interno in cerca di cibo e acqua.
“Uomini! La maggior parte di voi resterà qui di guardia alla nave; anche se questa spiaggia sembra deserta non voglio correre rischi, non sappiamo se è abitata e se gli eventuali abitanti sono ostili. Un gruppo di voi verrà con me in cerca di cibo, dobbiamo fare rifornimenti. Il tratto di mare che dobbiamo percorrere è ancora lungo e le rive della nostra patria sono lontane.
Allora, tu Teutis sarai responsabile della incolumità della nave insieme agli uomini rimasti, se dovessi trovarti in difficoltà suona il corno e noi cercheremo di arrivare in tempo, non voglio allontanarmi troppo. Se non troviamo nulla sbarcheremo alla prossima isola.”
“Bene Eurialo, come tu comandi, vai tranquillo, nessuno si avvicinerà al nostro legno.”
“Bene! Allora ragazzi voi venite con me, portate dei sacchi e degli otri, ci serviranno.”
La pattuglia si avviò verso l’interno. Subito dopo la spiaggia c’era come una barriera verde; delle canne e altre piante che non conoscevano facevano da scudo a ciò che c’era dietro. S’addentrarono passando fra quella fitta rete vegetale e a volte dovettero farsi largo con le spade per procurarsi un varco.
Usciti da quel groviglio si trovarono di fronte una distesa pianeggiante e all’orizzonte videro la sagoma di un monte. Non era molto alto, lo si poteva scalare con facilità ma era troppo lontana per loro.
Si limitarono a percorrere un tratto di quella pianura. Era terra dura e di colore rossastro, c’erano a vista molti sassi bianchi come il latte che facevano capolino in mezzo a rosso della terra. L’erba in alcuni punti era rada e in altri alta, questo suggerì a Eurialo la presenza di animali portati al pascolo.
Era usato lo stesso sistema che si usava da loro in Grecia, le pecore erano portate a pascolare a sezioni, appena finiva l’erba nel pascolo scelto si lasciava per andare in un altro settore lasciando così il tempo all’erba di ricrescere. A rotazione i campi venivano usati per cibare gli armenti.
Quella vista lo convinse a dividere il gruppo in due, uno sarebbe andato a destra e l’altro a sinistra, così potevano coprire più territorio senza allontanarsi troppo. Lui portò con sé quelli con gli otri aveva un’idea di dove poteva trovare l’acqua, aveva vista una macchia particolarmente rigogliosa di piante e erba poco distante ai piedi una collinetta. Gli altri con i sacchi si allontanarono verso il versante opposto.
L’intuizione di Eurialo si dimostrò esatta, arrivati ai piedi della collina trovarono un ruscello che alimentava un piccolo laghetto circondato da piante di papiro e canne.
Gli uomini si riposarono dopo aver fatto delle enormi bevute, l’acqua era fresca ottima, riempirono gli otri e si riposarono un attimo all’ombra del canneto. Ne raccolsero anche una discreta quantità, quelle lunghe rigide aste potevano tornare utili in caso di scontri con indigeni ostili. Rimasero a riposare fino a quando il sole non oltrepassò lo zenit nel cielo. Poi ritornarono verso il punto di incontro con gli altri e li attesero a lungo, il sole stava quasi terminando la sua discesa verso l’orizzonte e dei compagni non c’era traccia sembravano scomparsi nel nulla.
Eurialo era preoccupato e con l’avvicinarsi del buio decise di tornare alle navi, era inutile restare allo scoperto in terra straniera, gli uomini li avrebbe cercati al mattino successivo.
All’arrivo sulla spiaggia Eurialo vide una strana confusione nei pressi della nave. Era stato acceso un grande fuoco e gli uomini era in agitazione, si vedevano le ombre muoversi freneticamente.
“Che succede Teutis, hai avuto problemi? Perché non hai suonato il corno come ti avevo detto?”
“Scusa Eurialo, a noi non è successo niente, ai nostri compagni invece è andata male.”
“Lo so, vengo adesso dall’appuntamento e non c’erano; devono aver incontrato difficoltà.”
“Esatto! Da noi quando sei arrivato tu era appena arrivato George trafelato e con gli occhi di fuori, era l’immagine della paura, stavamo ascoltando il suo racconto quando sei apparso. Se vuoi lo porto da te e così potrai ascoltare direttamente cosa è successo, credo una cosa spaventosa, per come lo conosco quel ragazzo non ha paura di niente ma adesso è veramente spaventato.”
“Se si sta riprendendo lascialo stare dov’è, veniamo tutti noi a sentire la sua storia.”
Trovarono il giovane guerriero sdraiato su un letto di foglie che stava ancora ansimando. Il viso bianco di un pallore cadaverico, non riusciva nemmeno a bere la coppa di vino che gli porgevano. Quando vide il suo capitano però si fece forza e tentò di alzarsi in piedi, ma Eurialo lo fermò.
“Resta fermo ragazzo, riprenditi e cerca di raccontare cosa è successo ai tuoi compagni.”
“Si comandante, credo che siano tutti morti, io mi sono salvato perché ero rallentato dal peso del sacco, c’erano due pecore dentro che avevamo preso da un enorme gregge al pascolo. Non abbiamo fatto danni o ucciso più di quello che ci serviva, solo due animali.
Io lo avevo detto a Aristotes, inutile fare una strage di pecore, non ci servono tante, la carne con il caldo sulla nave non dura molto, due bastavano, ma loro hanno cercato altre prede, volevano trovare una pecora femmina con il latte, dicevano che era utile avere chi poteva darci del latte.”
“Mi sembra una buona idea- disse Eurialo interrompendo il soldato.
“Forse al momento, ma non sapevamo cosa sarebbe successo.”
“Cosa esattamente?”
“Non lo so ancora con certezza, come ho detto ero indietro con il sacco con le pecore. Stavo per raggiungere gli altri quando nel silenzio della campagna si è udita una voce possente, forte e imperiosa: <<Ladri – tuonava – empi e sacrileghi, chi vi ha autorizzato a uccidere le pecore sacre al Dio Apollo?>>
Io mi sono fermato atterrito, mi sono sdraiato per terra e ascoltavo. Vedevo i compagni che si erano riuniti davanti a un albero di ulivo: un albero enorme, grande quasi quanto la nostra nave. Li ho visti tutti vicini all’albero perché sembrava che la voce uscisse proprio dal ventre di quell’albero.”
“Ho capito -fece Eurialo- immagino lo spavento che vi siete presi, ma non vedo come un albero poi abbia ucciso i miei uomini. Sicuro che non c’erano altri nelle vicinanze?”
“Nessuno, mio comandante, eravamo solo noi in quello spazio. Noi e il grande albero. Poco distante da quello enorme ce n’erano molti altri di dimensioni normali. Non erano fitti come in una foresta, erano disseminati lungo tutta la campagna, ma erano tanti, nessuno però aveva frutti, nemmeno un’oliva, solo tronchi contorti e secchi. Sembrava che fossero tutti agli ordini di quel grande ulivo.
A un certo punto un paio dei nostri si sono recati presso uno di quegli alberi vicini e hanno spezzato dei rami fronzuti, volevano fare delle torce per dare fuoco a quello grande. Non mi è sembrata una grande idea, ma ero lontano e non potevo dir niente.
Al primo taglio di ramo si è sentito agghiacciante un grido di dolore. Poi un altro grido per un altro ramo spezzato; a quel punto si sono fermati atterriti. Perché succedeva quella cosa? Che c’entravano gli alberi con quelle grida di dolore?”
Il grande albero allora con una voce gutturale e greve ha parlato ancora:
<<Folli! Non sapete che state massacrando uomini come voi? Ogni albero qui intorno è un uomo tramutato in albero e se tagliate i rami è come se gli tagliaste un braccio o una gamba. Anche voi fra poco sarete tramutati in alberi, nessun umano può uccidere gli animali sacri al Dio Apollo.>>
“Sei sicuro di aver sentito bene, soldato? O era la paura a farti sentire queste parole? Come poteva un albero compiere atti di magia?”
“No capitano, no, li ho visti uno alla volta scomparire in una nuvoletta di fumo e poco dopo al loro posto c’era un albero di ulivo. A quel punto non ho resistito e sono scappato, non potevo fare niente e dovevo venire per avvisarvi del pericolo, ho dovuto lasciare le pecore morte per correre veloce. Questo è tutto, non so come ho fatto a scamparla. Abbiamo perso sei valorosi compagni.”
“Per il momento credo alle tue parole, rifocillati e resta qui di guardia con gli altri. Io devo decidere cosa fare.”
Eurialo si allontanò pensieroso, il racconto del suo soldato era stato preciso e dettagliato anche se poco credibile. Lui conosceva bene l’indole dei suoi uomini, coraggiosi fino all’estremo in battaglia, ma fragili mentalmente, credevano nella magia, nelle storie basate sulla superstizione.
Doveva valutare bene il da farsi; perdere sei uomini non era uno scherzo, se partiva senza aver fatto nulla per recuperarli sapeva che prima o poi il rimorso lo avrebbe preso nelle sue morse. Se si attardava correva il rischio di perderne degli altri, ma a conti fatti per quanto potevano essere magici gli alberi non credeva che potessero anche camminare, forse nel loro raggio d’azione si poteva anche pensare magari aiutati da un Dio pieno di rancore.
Dopo aver vagato per la spiaggia da un punto all’altro decise di andare da solo a verificare la storia degli alberi–uomini. Convocò tutto l’equipaggio e parlò loro.
“Uomini, avete ascoltato le parole del vostro compagno in merito alla scomparsa di sei vostri amici. Le circostanze della loro sparizione sono dubbie, anche dando credito al racconto testè ascoltato rimangono dei punti oscuri che intendo chiarire, andrò da solo a verificare l’accaduto.
In mia assenza il comando passa a Eridione, lui si preoccuperà di portarvi in salvo seguendo la rotta che avevamo già tracciato. Mi prendo un giorno di tempo; al mattino presto di domani partirò per l’interno, se per la sera non sarò tornato è inutile che aspettiate ancora, levate le ancore e partite alla svelta.
Prima di partire prendete nota e segnalate a chiunque incontriate il pericolo che presenta questa terra, io spero che il nostro amico si sia sbagliato ma ora non posso dire niente.
Ora cercate di riposare e non pensate a eventi funesti, la Dea Diana ci è sempre stata favorevole e non permetterà questa ingiustizia. Confido nel suo aiuto.”
L’assemblea degli uomini si sciolse e a capo chino tutti si ritirarono nelle loro tende, altri andarono sulla nave e altri rimasero di sentinella.
Eurialo seguendo le tracce del giorno prima arrivò al punto dove si erano divisi e prese la strada che lo avrebbe dovuto portare davanti al vecchio albero. Aveva portato con sé un otre di acqua. In quella terra arsa di sole pensava che per un albero un dono simile poteva essere gradito. Infatti non dovette camminare molto per vedere la piana piena di ulivi e sulla sinistra su un poggio un maestoso albero rugoso e strano, a vederlo di profilo aveva delle sembianze umane. Un vecchio imbronciato e stizzoso.
Eurialo stando a quanto aveva udito si mantenne a una certa distanza dal tronco. Si accovacciò per terra, ma prima fece un inchino di rispetto verso quel gigante vegetale. Non ci fu nessun segno, rimase in silenzio a osservare la bellezza terrificante di quello che riempiva l’orizzonte con la sua chioma di foglie.
Dopo un’ora di tempo che non succedeva niente Eurialo pensò di far vedere l’acqua, prese l’orcio e prima di bere fece il gesto di offrire una bevuta anche all’albero. Stava per avvicinare l’orcio alle labbra quando l’albero parlò:
“Fermati umano! Non contaminare con la tua impurità quell’acqua, se proprio vuoi offrirmela, non la devi sporcare. Vieni avvicinati e versala dove ti dirò io.”
“Oh! Grande ulivo, sarà un onore per me offrire questo piccolo dono per alleviare la tua possente sete, se lo gradisci posso tornare e portartene dell’altra. So dove andare a prenderla, non per me, ma solo per le tue esigenze.”
“Non la fare tanto lunga umano, questa basta e avanza, vieni e versala dove ti sembra di vedere delle labbra, ti sarai accorto che ho delle sembianze come le vostre, vero?”
“In verità, sì mi sono accorto di questo particolare e in onestà non capisco come possa essere successo. Del resto non voglio entrare nelle tue faccende private, io sono solo un uomo che è venuto a chiedere in tutta umiltà dove sono andati i miei compagni di viaggio.”
“Ecco che ci risiamo, i soliti umani che non vogliono capire con chi hanno a che fare e credono di poter disporre di tutto e di tutto ciò che trovano sul loro cammino. Vi è stato detto di non toccare gli animali sacri di Apollo ma voi niente ottusi avete ucciso due esemplari. Dovevate essere puniti per questo affronto. Io sono il guardiano e anche se non posso muovermi sono in grado di badare a tutto, lui, il Dio mi ha fornito gli strumenti per punire i trasgressori.”
“Perdona il mio ardire, protetto dagli Dei, come ho appena detto io sono un marinaio in viaggio verso casa, ci siamo fermati in questa terra, per rifornirci di viveri e di acqua. Non sapevamo di questo divieto sulle bestie, se solo fossimo stati informati della cosa ti pare che non avremmo obbedito come si conviene? Siamo sbarcati ieri mattina, questa terra è sconosciuta per noi, non sappiamo niente delle leggi che la governano.”
“Illuso, pensi che io ci creda! Questa è l’isola di Delo, di proprietà del Dio Apollo, tutto il mondo conosciuto conosce il divieto di cacciare e uccidere. Da dove venite voi per non conoscere questo posto?”
“Ti sembrerà strano, figlio degli Dei, ma nella nostra terra nessuno conosce quest’isola, mai sentito nulla in merito. La nostra divinità, la fulgida Artemide, ha anche lei delle leggi alle quali noi volentieri ci assoggettiamo.”
“Buona quella – rispose ancora più imbronciato l’albero, è buona solo a lanciare quelle sue dannate frecce dappertutto. Ogni tanto viene qui a esercitarsi e io sono il suo bersaglio preferito.
Allora ti decidi a versare quell’acqua? Stolto di un umano, stai lì come un sasso a parlare senza far niente, muoviti!”
“Certo, immenso, ma non mi hai risposto sui miei compagni, dove sono o meglio quali sono fra quelli che vedo tutto intorno? So che li hai tramutati in alberi e perciò ti chiedo puoi farli tornare indietro?”
“Ah! Vedi che ti sei tradito, come fai a spere della trasformazione se non hai mai sentito parlare di questo posto. Tu lo sai e anche bene, allora te li puoi scordare i tuoi amici, sono là in mezzo ai campi e serviranno con i loro rami al Dio per fare le corone di foglie, da donare alle fanciulle, ai vincitori dei giochi, insomma capisci che ne serviranno parecchi, peccato che ogni volta che strapperanno i rami e le foglie soffriranno, servirà per ricordare loro il misfatto compiuto. E ora non perdere altro tempo versa l’acqua che a furia di parlare con te mi è venuta sete.”
Eurialo si fermò; se avesse versato l’acqua era sicuro che subito dopo l’albero avrebbe trasformato anche lui, ma se non gliela avesse data avrebbe perso per sempre i suoi compagni. Cosa fare?
Era indeciso se sguainare la spada e tagliare a fette quanti più rami poteva di quel borioso e crudele albero, ma era cosciente con la sua misera lama non avrebbe ottenuto nessuno beneficio, pensò anche di dargli fuoco, ma anche questa idea non era valida, se era protetto dalle divinità non avrebbe ottenuto nulla.
Stava per avvicinarsi a lui per dargli l’acqua quando dal nulla apparve luminosa l’eburnea Artemide.
“Allora vecchio brontolone, hai finito di terrorizzare questo povero umano? Ti diverti sempre a fare il burbero eh! Ti ho sentito sai, quando hai detto che sono capace solo di tirare le frecce, dimmi è così?”
L’albero contrito abbasso i suoi rami quasi fino a farli toccare terra, la sua espressione imbronciata di trasformò in una sorta di sorriso, ma il risultato fu peggiore di prima.
“Quando mai si è visto – riprese la Dea – che un albero possa trasformare gli uomini in alberi, confessa che ti piace spaventare i poveri viaggiatori che hanno la sfortuna di capitarti a tiro. Allora sai dove sono andati gli uomini, i compagni del capitano qui presente?”
“Accidenti a te donna, perché devi sempre rompere il divertimento, sai è noioso restare anni e anni da solo, in questa terra bruciata e deserta. Quando capita un po’ di gente per fare quattro chiacchiere arrivi tu a disturbare, cosa credi che non glielo avrei detto dopo?
Si stava conversando così bene, e stava anche per darmi un po’ d’acqua che ne ho bisogno, ho le radici secche e mi brucia la linfa nelle pieghe, poi ti lamenti che ho la faccia seria e truce, per forza, ho sempre sete. Qui non piove mai!”
Eurialo esterrefatto ascoltava i due che parlavano come se la sua presenza fosse cosa di nessuna importanza, lo ignoravano come si può fare con una mosca su un escremento di cavallo. A lui premeva sapere dov’erano finiti gli uomini e di partire al più presto, non voleva perdere altro tempo su quell’isola che, ormai aveva capito, era solo una trappola.
“Sia lode a te incantevole Artemide, sono grato del tuo intervento divino, questo vetusto pezzo di legno forse ha pensato di poter giocare con le nostre paure di uomini, per suo sollazzo ha creato nell’animo dei miei uomini lo sgomento e il terrore. Posso capire le sue ragioni, ma non giustificarle.
Se tu immensa e lui siete esseri sovrannaturali abbiate la benevolenza di non infierire sulle nostre pecche, sui nostri difetti di umani, sappiamo bene che temiamo per la nostra vita per la vita di chi aspetta il nostro ritorno a casa. Del resto se non ci fossimo noi umani a venerarvi e tessere le vostre lodi, cosa ve ne fareste di un mondo vuoto e dove voi eterni non morite mai.
La convivenza fra umani e Dei è complementare noi abbiamo di voi, per la necessità di affidare le nostre ansie i nostri pensieri negativi, le nostre aspettative di vita migliore alla vostra magnificenza e indulgenza, e voi avete bisogno di noi per soddisfare il desiderio di far emergere i vostri poteri, dimostrare la vostra potenza assoluta sulle cose del mondo.
Ora il nostro amico gigante arboreo ha voluto divertirsi un po’ per rompere la monotonia di un’esistenza solitaria. A vederlo immagino che sia lì dov’è da migliaia di anni, ha anche la facoltà di potersi esprimere e di dialogare con voi Divinità.
Anche il divino Apollo, immagino, è un frequentatore di questi lidi, davvero una bella compagnia, dove noi uomini non siamo a nostro agio, cosa potremmo dire o fare in un contesto di Dei immortali?
Allora se il nostro amico legnoso vuole degnarsi di dire dove sono i miei uomini, io con loro me andrei subito da quest’isola, abbiamo una patria da raggiungere e ognuno di noi ha una donna in attesa, chi una madre chi una moglie e anche figli che aspettano il nostro ritorno.
Non credo che vogliate fare del male a chi vi venera offre sacrifici in vostro nome, siete Dei e non persone cattive che godono nelle sofferenze altrui.”
Il gigante fronzuto aveva ascoltato il lungo discorso dell’uomo che era ai suoi piedi e ne rimase colpito. Come poteva quel piccolo insignificante essere capace di tale dialettica, aveva esposto le sue ragioni in modo chiaro e sia lui che la dea Diana non avevano fatto una bella figura nelle sue parole.
Era il momento di smetterla con il gioco che ormai non lo divertiva più, decise di essere accomodante e si rivolse a lui cambiando tono di voce, usando termini più gentili e comprensibili per quell’umano che tanto lo aveva impressionato.
“D’accordo Eurialo. È così che ti chiami vero? Hai ragione nel giudicare questo vecchio tronco rugoso come un pezzo di semplice legno. tale sono e, anche se sono un privilegiato, per le concessioni che mi sono state fatte dagli Dei, mi rendo solo adesso conto che il mio comportamento non è stato corretto.
Allora come prima cosa tu vuoi sapere dei tuoi uomini, tranquillo non è successo niente di terribile, si sono semplicemente addormentati, certo io ci ho messo del mio, ho fatto in modo che mangiassero un’erba molto buona al palato, ma che procura un sonno profondo.
Se li vuoi recuperare basta che vai più avanti là dove l’erba è molto alta, li troverai addormentati, prendi pure un ramo dei miei, solletica loro il viso con le foglie e vedrai che si alzeranno vispi e pronti a muoversi.
Ti prego di perdonare il mio scherzo innocente, non ho fatto male a nessuno e tanto meno potevo farne, sono un albero parlante ma non ho molte altre facoltà. Se hai bisogno di carne poco distante c’è ancora il sacco con le bestie che i tuoi uomini avevano catturato e ucciso.
Volendo fare un gesto riconciliatore potresti chiedere l’aiuto della nostra Dea qui presente, lei con il suo arco fatato potrebbe procurarti dell’altra selvaggina, uccelli, lepri, daini, quello che vuoi qui si trova di tutto.
Ascolta – disse abbassando la voce fino a farla diventare un sussurro come una brezza mattutina – lei è molto vanitosa e chiederle di cacciare è una richiesta alla quale non si sottrae mai.
Vai adesso, il tempo passa e il sole ha raggiunto il punto più alto nel cielo, non far scendere la notte mentre sei ancora qui, la notte arrivano altri Dei e non tutti sono gentili, sai di chi parlo vero?”
“Certo mio vegliardo amico, ti lascio immantinente per prelevare gli uomini e poi partirò subito. Ringrazio te per aver preservato la vita dei miei compagni e Artemide l’infallibile, per il suo intervento decisivo.
Volgiate avere sempre un occhio di riguardo per noi umani, per le nostre debolezze e le paure, ma sappiamo anche dimostrare coraggio là dove serve, ero pronto a sacrificare la mia vita pur di non partire senza sapere la sorte dei compagni, ti avrei anche dato fuoco, il dovere del comando e l’amicizia fra gli uomini non temono nulla.
Addio gigante, continua pure a giocare ma fai in modo che il gioco duri poco, puoi sempre incontrare qualche scriteriato più di me che magari non ci pensa su due volte prima di farti diventare legna da ardere.”
Dette queste parole Eurialo si allontanò di corsa verso il punto indicato per trovare gli uomini, ma si fermò quasi subito, tornò indietro e senza dire una parola svuotò l’intero orcio d’acqua in quelle che sembravano le labbra del vecchio albero. Al contatto con l’acqua la corteccia avvizzita ebbe come un sussulto, vibrò di piacere e l’umido che coprì l’intero tronco alla base fece rabbrividire le foglie, quando l’uomo si allontanò, l’albero agitò i suoi rami in segno di saluto.
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