IL FIUME E IL DESERTO – Parte undicesima: L’ultimo talismano

Maggio. Anno del Signore 1530.

Ferruccio Alberti saliva il sentiero montano senza fatica. I supporti metallici, azionati dal vapore che sostenevano le gambe, gli permettevano di avanzare a grandi falcate.

Guardò il Monte Redondo, il finto vulcano in cui erano state fabbricate le prime macchine che avevano dato progresso alla Serenissima Repubblica, ma anche quelle che erano state armi segrete che l’avevano portata alla vittoria. Ormai, sempre più sofisticati artifizi venivano prodotti in diverse parti d’Italia. Fino ad allora.

Purtroppo qualcun altro stava producendo i modelli delle invenzioni di Leonardo da Vinci. Era come se il defunto genio fosse risorto e si fosse messo al servizio delle forze dell’Ombra. Non v’era dubbio che le gigantesche navi prodotte in Giapangu fossero scaturite da un’idea iniziale del vinciano. Solo lui e pochi altri sapevano che tre prototipi di aeronavi rispondenti alle descrizioni di quelle al servizio del Triumvirato erano state allestite per la spedizione da tempo organizzata verso il Sol Levante.

L’armata era già pronta, uomini e automini, ma ora che era palese che il nemico disponeva di macchinari simili, lui era stato costretto a rimandare la spedizione. A volte Ferruccio faticava a identificarsi e mentre saliva, travestito da viandante solitario lo scosceso monte, si era scrollato momentaneamente la gravosa responsabilità di Capo di Stato per assumere quella di Gambadiferro, uomo d’azione, agente segreto.

E mentre elaborava l’unica teoria possibile sull’identità di Gabriele Agnelli, carcava di unire l’intuizione e il ragionamento con l’occulto, mentre proseguiva verso l’ultimo talismano capace di ridargli il potere di vedere con gli occhi della mente, che da troppo tempo gli era stato tolto.

Forze più grandi di lui avevano accecato la sua vista sensitiva. Le due complici di Gabriele erano protette da demoni molto forti. Ricordò la storia della sua antenata, Madre Alba che era stata sul punto di soccombere all’infido prete bizantino Basilio, che voleva impossessarsi del Sole all’Orizzonte, nel convento di Santa Maria Veggente.

Ricordò l’attentato di pochi mesi addietro da parte della pretessa danese. Grazie a Luna d’Argento era stato salvato all’ultimo istante, ma l’influenza tenebrosa della presenza di quella Freja aveva contaminato il sacrario. Inutile sarebbe stato recarsi in quel di Padova per un vaticinio.

Ferruccio si trovava ormai dentro una caverna oscura, dove l’unico spiraglio di luce era proprio a pochi passi e lui era solo, solo, anche se a capo di una grande potenza che stava rischiando di cadere, sconfitta, anche se rappresentante del devaraja dell’Occidente.

Un uomo al buio è solo. E tale si sentiva, nonostante le armate ai suoi ordini o Minerva al suo fianco, esistente, ma al momento eclissata come se uno schermo l’avesse oscurata.  Avanzò al tramonto, alla ricerca dell’unico lume capace di ridargli la vista.

Non ne sentì la presenza, ma ricordò a memoria l’ubicazione, svelata tanti anni addietro da una bimba, sua pronipote Fulvia, che si era fatta beffa della sua inseparabile amica Anna, figlia della sensitiva Silvana, che sosteneva di aver avuto allucinazioni.

Ringraziò quella ragazzata da undicenni mentre sollevava la pietra che celava una lancia antichissima. L’afferrò, mentre gli ultimi raggi del sole lasciavano spazio alle tenebre. E mentre la stringeva in mano come l’antico guerriero celta, avvolto dalla notte, ricominciò a vedere con la mente.

                                                                         ***

Fioravante si svegliò, come sempre, da giorni. Un’entità sconosciuta molto vicina vinceva il giogo ipnotico di Iside, anche se lui non sapeva identificarla. Anch’essa in uno stato di catalessi, come le sue compagne, da qualche parte.

Guardingo come sempre, camminò tra le donne addormentate dentro a sarcofaghi scoperti alla luce delle lampade che pendevano dal soffitto al di là delle sbarre. La cella era decorata con temi dell’Egitto antico. Se non fosse stato per le sbarre avrebbe ricordato un sacrario; un sarcofago coperto presso la parete sembrava dimostrarlo.

Fu allora che sentì una nuova presenza e la sua forza si raddoppiò. Laddove fino ad allora, per tante notti era stato destato a forza e la sua intuizione era vaga come la vista limitata di un miope, sembrava ora di aver indossato un paio di occhiali e di essere in grado di vedere chiaramente.

Grazie al nuovo arrivato, per la prima volta intuiva che la prima entità era in quel sarcofago. Forse lo spirito di chi vi giaceva dentro, forse, qualcosa d’altro. Si avvicinò.  Fu allora che ebbe la sensazione di trovarsi in due luoghi contemporaneamente. Il profumo di un bosco avvolto nella notte lo riportò dalle sue parti, nelle Alpi. Sentì il proprio corpo identificarsi con quello di Ferruccio in una unione spirituale. Al contatto con la lancia celta, stretta dal Doge non si sentì più solo.

Ora erano in due, no, in tre. Si avvicinò e toccò la tomba di pietra. Ferruccio, dentro di lui aumentò le sue facoltà intuitive e un attimo dopo comprese che dentro c’era una persona viva, anche se in uno stato di catalessi, come le sue compagne. Si fermò ascoltando i rumori vaghi amplificati dal silenzio della notte.

Dialoghi in arabo, nelle stanze vicine: i soldati della regina montavano di guardia, ma nessun passo svelò che stessero entrando nell’atrio al di là delle sbarre, a scoprire che lui era ben sveglio. Assicuratosi di non essere visto, cominciò a tastare il sarcofago. Due cervelli lavorarono all’unisono e poco dopo con ambo gli indici premette gli occhi del bassorilievo, attivando un meccanismo che fece aprire a cerniera il coperchio.

L’immagine scolpita dell’antica sovrana si fece da parte mostrando ora una figura fasciata da capo a piedi, immobile, ma da cui sembrava pulsare vita e una preghiera, una supplica. Esitò qualche attimo, preso da  riverenziale timore, ma da dietro le bende emanava tanto potere che gli fece intuire che la persona dietro ai bendaggi non era mai morta, ma soltanto paralizzata dal potere ipnotico di Iside. La mente era viva.

Fu come se Ferruccio gli stesse dando un consiglio e Fioravante cominciò a rimuovere le bende che coprivano il volto della mummia vivente. Scoperti, gli occhi mobili della donna lo fissarono, emanando una forza interna senza pari, e una voglia di libertà e rivalsa. Due perle nere. Bastò per la presentazione di un’anima dai poteri vaticinanti inusitati, ma quando Fioravante scoprì il resto del volto, lui e Ferruccio rimasero di sasso.

Le fattezze di Iside, in una maschera senza espressione sembravano comunicare solo emanando un fluido dagli occhi. Fioravante ebbe un attimo di paura, ma Ferruccio distante e vicino lo calmò. Il triplice potere gli mandò un’immagine veloce. Da troppo tempo sia lui che il Doge erano rimasti come miopi mentalmente.

Fu solo un’effimera, ma la visione in tempo reale di Iside, addormentata su un letto lussuoso confermò che la donna mummia era soltanto la sua sosia fisica. La regina dormiente svanì mentre dagli occhi della donna nel sarcofago si scaturì la vera personalità, diametralmente opposta alla copia vivente.

Dentro il corpo prigioniero e paralizzato viveva un Messaggero della Luce, un intruso in quel covo delle Tenebre. E dopo la presentazione, la mente sveglia della donna rivelò qualcosa di incredibile.

                                                                            ***

Il buio della notte era tutt’intorno, le luci delle enormi navi erano spente, ma Noritomo Shimada sapeva che stavano sorvolando il grande mare a sud della leggendaria Arabia. Nessuno da sotto doveva vedere il loro arrivo, anche se lo shogun da tempo sognava un’entrata trionfale nel grande Occidente, la terra del Sole Morente.

Non aveva mai lasciato Nippon ma ora, grazie alla donna che ammirava e amava, avrebbe per lei conquistato quelle terre, come ricompensa per avergli dato il potere. Decenni prima era un signore della guerra disperato. Ora, ammiraglio della flotta di navi volanti dalle dimensioni mai viste prima. Più imponenti di qualsiasi vascello dell’Armata dell’Aria italiana. Paradossalmente copiata da un’idea di un figlio di quella terra, morto da anni, ma il cui genio sopravviveva nella forma di quelle meravigliose navi.

Le risorse di Nippon avevavo permesso la realizzazione di quel colossale progetto. Gli industriosi operai del suo paese uniti agli schiavi raccolti da ogni luogo della regione intorno al Fushijama avevano costruito le macchine fabbricanti seguendo i progetti dell’italiano portati da loro dallo strano uomo che se ne era impadronito, un altro italiano. E la macchine avevano montato altre macchine. Armi, e infine le portaornitotteri, prodotte negli ultimi mesi.

Metallo di Nippon, e magma del vulcano sacro, la Montagna di Fuoco, capace di scaldare l’aria all’interno delle enormi ogive sulla fiancate sollevando l’imponente struttura e rendendola più leggera  e al contempo in grado di far bollire l’acqua il cui vapore azionava le eliche ascensionali e direzionali.

Era come se le navi fossero state viventi, con il frutto del vulcano a dare vita ed energia. E in cima era piazzata la piattaforma di partenza degli ornitotteri, che lui aveva battezzato kamikaze, ”vento divino”. La sua flotta consistente in ben dieci di quei giganti avrebbe spazzato via, come un taifun, l’aviazione italiana. E sottocoperta, un esercito di fedeli samurai avrebbero invaso la Terra del Sole Tramontante, assieme agli scorpioni meccanici e altre macchine.

Le luci nella notte delinearono la terra d’ Africa, sotto di loro. Il mitico Egitto era vicino.

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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