IL FIUME E IL DESERTO – Parte trentaseiesima: L’alleanza della Luce
Agosto. Anno del Signore 1530.
Non appena il Doge si trovò alla porte del palazzo antico restaurato reggia di antichi faraoni, provò la stessa sensazione di anni prima, alla vista di Tenochtiltan, la capitale dei Regni Uniti d’America.
Un mondo alieno, e al contempo prodotto da esseri umani. Le civiltà e le culture si manifestavano in tanti modi. Il paradosso era che quella meraviglia era stata riportata alla bellezza originale da macchine e sarebbe stato soltanto uno specchio per le allodole, per ingannare gli egiziani illudendoli che la nuova regina avrebbe scelto quella meraviglia architettonica come residenza.
Ma ora che le forze dell’Ombra avevano abbandonato l’Egitto, le legittime sovrane avrebbero diretto la sorte del paese da lì. Basma e Fatima avrebbero regnato assieme, ora che il demone era stato esorcizzato dal corpo di quest’ultima. Ferruccio diede uno sguardo al Nilo che scorreva poco lontano e, a grandi falcate, sulle gambe meccaniche, alla testa del corteo e delle guardie del corpo che a malapena riuscivano a stargli dietro, fece la sua entrata.
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Una enorme tavola rotonda era stata allestita e attorno a essa i Capi di Stato dell’Alleanza sedevano. Il Principe di Russia, i Re di Polonia, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Danimarca e Norvegia, unite sotto un’unica corona, di Svezia, il Sultano dell’Impero Ottomano, il Gran Mogol dell’India, il Celeste Imperatore Cinese, i sovrani dell’Impero Kmer, lo Shah di Persia. L’Huei Tlatoani dei Regni Uniti d’America e l’Inca. Il risorto Egitto era una monarchia, ma sarebbe stato erroneo definirla tale, perché le due regine gemelle regnavano a pari diritti.
Il Papa, anch’egli presente, aveva dichiarato di non rappresentare alcuna potenza terrena, bensì il Regno di Dio. Unica testa senza corone. Persino il rappresentante di una repubblica, il Doge, portava in quell’occasione la Corona Ferrea appartenuta a Teodolinda, Prima Regina d’Italia. Monarchie, teocrazie, repubbliche e ben quattro continenti erano rappresentati. Mancava solo il Giapangu, ma trapelava nell’aria che quel paese sarebbe stato l’argomento principale della riunione.
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«Si sentono tanto maledettamente sicuri di vincere la guerra che stanno facendo propaganda sui loro piani» commentò Lucrezia Borgia. «Le classiche promesse di vittoria per eccitare le folle. Il nemico è Giapangu, che verrà ben presto invaso dalle forze del Bene. Un’invincibile armata di giunche cinesi, aeronavi italiane, caravelle spagnole e portoghesi e i fior fiore delle armate del mondo. Migliaia di guerrieri che stabiliranno l’ordine.»
«Ma hanno fatto i conti senza le mie macchine» ribattè Salai. «Prima che quella marmaglia si imbarchi nei porti cinesi almeno sei nuove portaornitotteri e migliaia di antimissili magnetici saranno pronti. Faremo montare rampe su tutta la costa occidentale.»
«E spargeremo in giro la voce del mito del Vento Divino, il kamikaze.»
Salai la guardò con la solita espressione di ogni volta che parlava di scemenze quali magia e mitologia.
«Uomo servo della materia, ascolta. Tre secoli fa, Kubilai Kahn, a quei tempi padrone della Cina allestì una enorme flotta di giunche per invadere il Giapangu. L’enorme armata venne distrutta da un tifone, che i giapanghesi considerarono inviato dagli dei per proteggere il loro paese. Grazie alle tue mirabolanti macchine la storia si ripeterà.
Pochi in questa terra sanno dei nostri segreti e quando ancora una volta chiunque osi invadere il Paese del Sol Levante verrà distrutto, in ogni angolo di questa terra saremo considerati alla stregua di semidei. E quel giorno, Shimada, il protetto dagli dei diverrà imperatore del Giapangu unito. E inizierà la conquista del mondo.»
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Le potenze dell’Alleanza stavano mobilitando, assieme, contro il nemico comune. Il Doge esultava: mai prima d’ora cristiani e musulmani, occidente e oriente si erano sentiti parte di qualcosa comune. Se il nemico non esisteva si sarebbe dovuto inventarlo. Il risultato era stato che per tutta la durata di agosto, al passo con le truppe che a piedi marciavano per le strade e i sentieri montani dell’Asia, o navigavano dai porti dell’Arabia verso la Cina o sorvolavano le impervie montagne dell’Himalaia, ogni europeo, africano o asiatico sentiva una fratellanza con altri uomini di differente colore, cultura e fede.
Ogni religione aveva i propri demoni. E ogni fante svizzero, o lanzichenecco imperiale o gendarme di Francia, o giannizzero o mamelucco turco, guerriero cinese o cosacco delle steppe sentiva di stare alla vigilia di una guerra non contro esseri umani, bensì demoni e macchine. L’odio non era più incalanato contro gente in carne e ossa, bensì contro servi del Diavolo o altro oppure assieme di ingranaggi con anime a vapore.
L’odio era una componente umana. Bastava deviarlo verso altro che non fossero altri umani. Era quindi necessario non identificare ogni asiatico come nemico o demone. Un europeo, un levantino o anche un africano non avrebbe notato troppa differenza tra un cinese o un giapanghese. Per questo le ambasciate del Celeste Imperatore erano state invitate e giravano per le contrade d’Europa, America e Africa.
Le genti del mondo dovevano abituarsi alla vista di uomini dalla pelle giallastra e gli occhi a spina senza considerarli alieni, pericolosi, o troppo incomprensibili. E mentre, specialmente in Europa, si stava abituando all’idea di asiatici sorridenti e amichevoli, la classica immagine del nemico identificato nel levantino in generale e considarato una specie di ”feroce Saladino” scemava.
Ora che si era a tu per tu con asiatici, la differenza tra orientali e occidentali non si notava più. E anche certi aspetti comune tra gli americani e i cinesi vennero sottolineati. I caratteri somatici erano simili anche se il color terracotta e il giallognolo cinese facevano la differenza.
L’Umanità era qualcosa che andava al di sopra del colore e del linguaggio.
E mentre la guerra si avvicinava, la Torre di Babele veniva ricostruita, simbolicamente.
Le forze dell’Ombra stavano spianando la strada alla Luce. La guerra non era ancora iniziata ma una grande battaglia era già stata vinta.
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Un santone sedeva in meditazione. Al suo collo pendeva un mezzo sole a sette raggi, capovolto. Il talismano era antichissimo. Per anni il suo spitito l’aveva messo in comunicazione con i Messaggeri della Luce. Il saggio sapeva che ormai la via della sapienza era aperta e lo spirito del Sole Capovolto era ormai in lui e l’oggetto era ora un ornamento e niente altro.
Il Messaggero gli parlò, vaticinando che le grandi strade delle infinite possibilità erano aperte e entro breve l’altra metà si sarebbe unita all’altra e un sole intero sarebbe stato saldato assieme, come per simboleggiare l’unione tra Occidente e Oriente, dove l’alba era anche il tramonto. Un giorno non lontano, sapeva.
Putroppo, i Messaggeri vaticinavano i grandi avvenimenti ma non erano padroni dei piccoli dettagli. Giapangu sarebbe stato l’ultimo anello di una catena che avrebbe unito il Mondo. Quello che ancora non era stato rivelato era se sarebbe stata una catena armonica e luminosa o tetra e tenebrosa. Tutto sarebbe dipeso dalle scelte umane, dai piccoli, insignificanti particolari capaci però di cambiare le possibilità del destino.
La voce del Messaggero gli sussurrava una parola, ripetuta e scandita. A volte argentina come una buona notizia e un attimo dopo, cupa come quella di un araldo che annunciasse morte e distruzione.
”Kamikaze” ”Kamikaze” ”Vento divino, ”Vento divino”
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La parola era incomprensibile, ma il concetto era chiaro: ”vento divino”.
Il Doge si svegliò di soprassalto ricordandoil sogno appena trascorso. La visione di un uomo dai caratteri somatici asiatici con al collo un sole uguale a quello di Loretta, ma capovolto.
Vento divino. Poteva significare tutto. L’uomo sognato era di certo un giapanghese. Capì il vaticinio. Un giorno avrebbe incontrato quell’uomo. Alleato nella vittoria o solidale nella disfatta a seconda di come avrebbe tirato questo vento divino.
Un figlio della Luce che avrebbe illuminato il mondo con lui o con lui sarebbe stato inghiottito dalle Tenebre. Qualsiasi cosa fosse accaduta, non serebbe stato solo.
FINE
Così termina questa parte della saga.
A breve ne inizierà una nuova.
Torna alla trentacinquesima parte
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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