IL FIUME E IL DESERTO – Parte dodicesima: Attacco alla Serenissima
Maggio Anno del Signore 1530.
Il vento di guerra era ritornato a soffiare e il condottiero dei lanzichenecchi Heino Rilke si sentiva nuovamente a suo agio, dopo anni di nauseante pace e disoccupazione.
Rivide le contrade che anni prima aveva visitato, a quei tempi disperato e pronto a saccheggiare, assieme a un pugno di disertori. Ricordò l’umiliante sconfitta da parte di una donna e un vecchio e la ritirata. Ma ora si ritrovava a scendere nuovamente per la Valtellina e alla testa di un’ingente armata e nuovamente considerato un alleato da quelle genti.
La lunga fila dei suoi soldati passava per villaggi, dove la popolazione li salutava festeggiando. La stessa gente che lui, anni addietro, avrebbe depredato. Come era caduto in basso! Combattere bifolchi per fame.
Ma la missione che lo attendeva era troppo grande per sporcarsi le mani a contatto con gente che puzzava di stalla. Entro un paio di giorni sarebbero arrivati a Venezia.
Chiuse gli occhi immaginando belle dame ingioiellate a salutare l’ingresso alla testa dei suoi prodi per le calli bagnate dalla laguna. Al pensiero dell’acqua venne assalito da un timore ancestrale. Lui era nato miglia lontano dalle coste, tra i monti della Baviera. Era un uomo di terra, confermato dal nome del corpo a cui apperteneva, lanzichenecchi. Landsknechte. Land, terra.
Dietro di lui, la soldataglia che guidava indossava le uniformi sbagliate. Discendenti dei vichinghi, quelli sembravano odorare di salsedine anche a miglia dal mare. Agli occhi degli italiani non si sarebbe notata la differenza tra danesi e tedeschi.
Le variopinte uniformi, le barbe e i capelli biondi uscenti dai cappelli piumati o gli elmi scintillanti avrebbero incantato le dame veneziane come avevano fatto con le contadine alpigiane fino a ora. Sirene dall’aspetto di aitanti e baldi soldati, venuti in soccorso contro i turchi che avevano voltato la faccia.
Heino disprezzava i seguaci di Freja venuti dal Nord. Non condivideva la loro fede pagana. Se aveva accettato di guidare la missione era soltanto per danaro e per sete di vendetta contro la Repubblica. E allorché i danesi, in nome dei loro dei, avrebbero di sorpresa attaccato e conquistato Venezia, lui e i pochi tedeschi, veri lanzichenecchi, si sarebbero dati al saccheggio. Pagani del nord o egiziani o musumani. Non gli importava. Sperava soltanto in una lunga e logorante guerra.
***
Di giorno, Ferruccio era stato un viandante che avanzava lemme lemme appoggiandosi a un bastone per la lunga via del ritorno a Venezia. Di notte, non visto, aveva assunto l’identità segreta di Gambadiferro e a grandi falcate alternate con voletti grazie ai getti di vapore aveva divorato miglia fino a ritornare nella capitale della Serenissima Repubblica, raggiungere un passaggio segreto e rientrare al Palazzo Ducale, ritornando ad assumere le proprie responsabilità da Capo di Stato.
Si tolse gli abiti da viandante e indossò quelli dogali. Tolse la pezza che copriva la punta acuminata e il bastone da viaggio si mostrò come la lancia celta. L’antica arma aveva rinforzato il suo spirito, come il moderno esoscheletro a vapore aveva fatto col corpo. Da ora aveva un compagno, inseparabile anche se lontano e prigioniero, ma ora, grazie al talismano, libero e vicino con l’anima.
***
Il condottiero Johannes Werner guidava i mercenari svizzeri per le strade di Parigi. La guerra imminente tra la Sublime Porta e l’Italia, avrebbe inevitabilmente coinvolto Francia e Sacro Romano Impero, uniti nella persona di Francesco I, alleato della Serenissima e tutte le forze disponibili si erano concentrate alla difesa della Capitale, nel caso che i turchi avessero sconfinato da sud.
Johannes pensò che i lupi erano ora a guardia del gregge di pecore, travestiti da cani. Lui era svizzero, e da giovane aveva militato in battaglie al servizio del Re di Francia. Ma la pace l’aveva costetto a disertare e darsi al saccheggio. E anche lì aveva fallito, a causa di un vecchiaccio armato di pistola e sua figlia.
Ma la misteriosa suora danese gli aveva fornito l’opportunità di comandare i suoi connazionali del Nord in una sortita, travestiti da elvetici. Cosa lo allettava di più? Saccheggiare la città oppure la gloria di passare alla Storia come colui che aveva guidato i discendenti dei vichinghi a una nuova conquista di Parigi?
***
Per anni e anni la scomunicata Repubblica aveva cercato di indurlo in tentazione. Una prigionia che sembrava una vacanza in un’isola, pranzi lauti e trattamento umano. Il Demonio tentava e allettava, come aveva fatto con Gesù nel Deserto.
Molti dei Frati Flagellanti si erano lasciati sedurre, ma lui e pochi altri avevano resistito. Alcuni rifiutando i cibi e richiedendo solo pane e acqua. Lui no. Al diavolo tentatore aveva risposto con le stesse armi. Finzione e menzogna. Perché prima o poi Dio gli avrebbe dato una nuova possibilità e lui avrebbe colpito, di sorpresa.
Quando due suore sbarcarono sull’isola per benedire i prigionieri, lui rivisse l’inganno di diciassette anni addietro quando due finte monache erano riuscite a sopraffare lui e i suoi Frati Militanti.
Ma quando le due spose di Dio si presentarono lui vide che esse non erano le meretrici di quella volta. Una parlava italiano con cadenza straniera. Disse di essere danese e gli raccontò cose che nessuno gli diceva in quell’esilio, tagliato fuori da ogni contatto col mondo.
Gli disse che il Signore gli aveva nuovamente affidato una missione e che aveva scelto proprio lui e i suoi pochi seguaci, unici tra i Flagellanti che avevano intenzione di usare le armi moderne per la Guerra Santa. Le altre cellule le consideravano artifizi del Diavolo, ed erano state tutte debellate. Ma lui aveva visto giusto e che non erano al servizio del Demonio, bensì dell’Angelo Sterminatore. Lui sarebbe stato la sua spada.
Un appuntamento, di notte, lui e i pochi fedeli, una decina. Il finto pentimento diede i suoi frutti. A lui e gli altri era ora concesso girare per l’isola senza controllo. Si trovarono in riva al mare quando una delle monache fece un segnale con una lampada. Poi vi fu un gorgoglio e un moderno leviatano emerse dalle acque. La suora gli disse di aver fede nelle macchine moderne.
Senza alcun dubbio lui e una decina di Flagellanti salirono a bordo. E nell’abitacolo, la vista di moderni rivoltoni a ripetizione gli donò spirito combattivo. Senza dire una parola e col cenno della mano la suora invitò a prenderne possesso. Prima o poi avrebbero colpito di nuovo.
***
La Duchessa si svegliò di soprassalto non appena udì il rumore dei rotori. Da anni associava le macchine volanti al fallimento della sua missione e alla sua fine come spia. E quand’anche non fosse stata umiliata, appesa e cosparsa di pece, la nuova pace con la Repubblica aveva ridotto le attività spionistiche. Quello che non capiva era cosa voleva ora la Serenissima da lei, tanto da contravvenire al patto di non far volare alcuna macchina nel cielo di Spagna.
Il messaggero era scortato da una decina di automini. Nonostante l’età e l’aspetto femmineo, era molto bello, e lo sguardo era furbo. Parlò in italiano, che lei conosceva.
«Nobile Duchessa, sono italiano, ma fervido nemico della Repubblica. E ora mi appello al desiderio di rivincita nei confronti dell’umiliazione a voi inferta dai miei concittadini. E di riflesso dai vostri. Vi offro una seconda possibilità. Ma non al servizio di un re che si è addomesticato alla Serenissima, bensì per un ordine nuovo che subentrerà al decrepito sistema.»
«In cosa potrei contribuire?» chiese la nobildonna.
«Fornitemi tutti i vecchi piani dello spionaggio ai tempi in cui Spagna e Italia erano nemici.»
La Duchessa assaporò la voglia di vendetta rimuginata per più di un decennio, ma non sapeva se fidarsi di quello strano uomo. Fu allora che un’altra persona fece ingresso nella camera. Costui si tolse il cappuccio. Non ci fu bisogno di presentazioni, ma l’efebico italiano declamò assumendo l’espressione di un diavolo tentatore.
«Anche il Duca qui presente venne umiliato da agenti della Repubblica e cadde in disgrazia presso Enrico VIII, domato anche lui da quel vecchio tirannico Doge. E già la lista dei piani inglesi contro la Francia è in mano al Triumvirato, che quando avrà costruito l’Impero Mondiale sarà riconoscente al vostro contributo. Il Duca ha già accettato di divenire Vicerè d’Inghilterra, Francia e Germania.
Vorreste voi rifiutare l’opportunità di trasferirvi da questo modesto castello all’Escurial di Madrid come Viceregina di Spagna, Portogallo e Colonie? E non appena anche i regni indios cadranno nelle nostre mani, vi regaleremo il Regno Mexica, come era intenzione del conquistador Cortes.»
«Accetto» disse, prima ancora di pensare, mentre sognava l’Eldorado.
CONTINUA…
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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