Il dardo di Artemide
Giugno. Anno del Signore 1529
Koldinghus era un castello vecchio di tre secoli, testimone di un’era di gloria passata, baluardo alla difesa del Regno di Danimarca.
Ancora una volta Artemide si trovava in quel paese. Ancora una volta travestita. L’elegante abito che indossava le conferiva classe nascondendo al mondo sia la semplice valligiana che era l’agente segreta.
Era ospite del re e le era stata assegnata una camera sontuosa, dalla cui finestra lei poteva osservare ogni movimento sospetto. Purtroppo, un traditore italiano si aggirava per le corti europee allo scopo di vendere al miglior offerente i segreti delle macchine create da Leonardo da Vinci.
Al controspionaggio danese era pervenuta la notizia che una badessa si fosse messa in combutta con la spia. Madre Roderikdatter era ospite al ricevimento organizzato da Sua Maestà. All’apparenza insospettabile, con molta probabilità si sarebbe tradita non appena un uomo l’avesse contattata, anche se con la massima discrezione.
Dalla finestra, Artemide osservò il corteo della badessa fare la sua entrata nel cortile. Dodici suore. Lei stessa aveva agito vestita da monaca, paravento di una sorellanza tanto pagana da far impallidire il più fanatico inquisitore. Madre Roderikdatter era stata una suora vera, ma correva voce che, sotto quel paravento, avesse fondato una congrega che adorava gli antichi dei norreni.
Artemide, anch’essa votata agli dei greco romani, figlia di un druido di quelli celti, non aveva niente contro una che adorasse quelli norreni. Purtroppo, però, spesso, ogni fede veniva deviata sfociando nel fanatismo. Se l’Asatro di Madre Roderikdatter, ovverossia il credo negli antichi dei vichinghi, era una versione fanatica, allora il possesso di armi e macchine avrebbe costituito un pericolo per il mondo. Anni prima, proprio in Danimarca, il conte Hel si era impossessato dei piani di costruzione dei circumtroniti, i cannoni a ripetizione inventati da Leonardo.
Con occhio attento, Artemide seguì ogni movimento nel cortile. Uomini e donne vestiti sontuosamente tenevano la distanza con le religiose. Osservò i caratteri somatici nordici. Nessuno dall’aria italiana. Era tra l’altro improbabile che un uomo osasse avvicinarsi troppo o tanto meno avesse contatti fisici con una suora. Il suo non era un compito facile.
Se qualcuno avesse soltanto consegnato qualcosa alla badessa, bisognava prenderlo vivo per farlo confessare. Un suo segnale e le guardie del re l’avrebbero arrestato, ma probabilmente la spia avrebbe resistito e il rischio che venisse ucciso era grande. Per questo lei era lì, assieme all’inseparabile Atena, anche se all’apparenza disarmate. Nessun civile doveva portare armi in presenza del re. Allora bisognava inventarsele.
Artemide aveva con sé un libro di cui aveva strappato due pagine. Aveva arrotolato la prima ricavandone una cerbottana, che aveva sigillato con la cera della candela. Poi aveva strappato l’altra in piccoli rettangoli, aveva arrotolato questi ultimi a forma di coni appuntiti, sigillando sempre con la cera e sempre con questa applicando uno spillo alla cima di ciascuno dei quattro dardi ricavati.
Aveva versato una polvere nascosta nel ciondolo a doppio fondo che si portava al collo, l’aveva mischiata con acqua e versata in un calice. Una mistura orientale narcotica. Non appena avesse individuato la spia, avrebbe soffiato nella cerbottana lanciando il piccolo dardo, e il traditore, colpito, si sarebbe addormentato all’istante. Tutti avrebbero creduto a un malore e il losco figuro sarebbe stato arrestato con discrezione. La madre badessa non si sarebbe accorta di nulla. Gli agenti danesi si sarebbero occupati di lei. La spia italiana, invece, era di competenza della Repubblica.
Atena si aggirava tra gli ospiti pronta a collaborare con le guardie del re non appena Artemide avesse lanciato il dardo. Per tutti lei e Atena erano mercanti di tessili di Firenze in Danimarca. Gli abiti che sfoggiavano erano all’ultima moda. Atena aveva detto che la collega, ossia Artemide, era stata colta da un malore ed era rimasta nella sua camera.
Nonostante due piani sopra, Artemide vedeva che Atena era nervosa. La sua amica, senza armi, si sentiva nuda, nonostante il bellissimo vestito.
Il portone si aprì nuovamente e un gruppo di nuovi arrivati fece la sua entrata. Sembravano frati in tonache bianchissime, ma i volti erano coperti da cappucci a punta con solo due buchi per gli occhi.
Niente di esotico: quelli erano i Fratelli della Cultura, un nuovo ordine monastico come il suo, fondato in Spagna da simpatizzanti della civiltà rinascimentale, malvisti dall’Inquisizione e quindi costretti a mascherarsi, ma accettati nei paesi alleati della Repubblica. Quelli dovevano essere i novizi danesi.
Se la spia italiana era tra loro, aveva scelto il travestimento adatto. Erano solo in dieci. Artemide mise a fuoco il viatico che si avvicinò al gruppo delle suore. Udì un dominus vobiscum in coro con spiccato accento danese. I frati si inginocchiarono davanti a Madre Roderikdatter. Uno di loro le consegnò una Bibbia.
La sfacciataggine del traditore stupì Artemide. Niente sotterfugi, bensì la consegna di segreti di Stato davanti a tutti.
Artemide intinse la punta del dardo nella mistura narcotica, lo infilò nella cerbottana e si tenne pronta a lanciare. Il viatico dei Fratelli della Cultura si allontanò dalle monache, ma Artemide non perse di vista quello che aveva consegnato la Bibbia alla badessa. Non aveva mai mancato il bersaglio. Puntò la cerbottana e, alla fine, soffiò.
Vide l’uomo portarsi la mano al collo. Doveva aver colpito, perché un attimo dopo il frate si accasciò al suolo. Atena fu la prima a fingere di soccorrere il finto monaco. Fece dei segni, e dopo un paio di minuti, tre valletti sollevarono il frate guidati dalla sua complice.
Bussarono alla porta e a gesti Atena fece capire ai tre servi di far giacere l’uomo svenuto sul letto e di uscire.
Rimaste sole, la prima cosa che Atena fece fu togliere il cappuccio al frate, mentre Artemide preparava un’altra mistura commentando.
«Non appena si sveglia gli iniettiamo questa roba e finalmente spiattellerà tutto, sporco traditor…»
Rimase di sasso nel vedere il volto dell’uomo. Non era italiano. Asiatico, cinese o da quelle parti.
Passarono minuti lunghissimi. Artemide iniettò il siero della verità e alla fine l’asiatico parlò. In un italiano stentato.
«Me portare saluti di mio Signore a Roderikdatter San. Su Bibbia scritto luogo di incontro con Sua Altezza a Nippon. Loki Demone già là, presso Montagna di Fuoco.»
Seguì il silenzio e una valanga di dubbi. Atena concluse.
«Nippon è Giapangu. Loki Demone deve essere il nostro paesano traditore che ora è in combutta con qualche Signore della Guerra di quelle parti. E ci scommetto questo bel vestito che quella Montagna di Fuoco è un vulcano dove stanno fabbricando armi e macchine. Aspettano soltanto la nostra badessa. È troppo tardi per fermare la produzione. Questo Loki Demone deve avere già consegnato i piani sia alla finta monaca che ai giapanghesi. Come avrà fatto non si sa.»
«Ascolta, Atena. Mio padre ha compiuto un viaggio astrale in Giapangu. Mi ha confessato che qualcosa è già in atto da quelle parti. Evidentemente le visioni si riferivano al presente.»
Atena fece un sorriso sornione e concluse.
«A quanto pare la badessa capisce l’italiano e ha già contattato il traditore. Loki Demone, roba da matti! Niente problemi, ora. Seguiremo ogni suo movimento e quando si farà un viaggetto nel paese del Sol Levante noi sapremo l’ubicazione della loro base segreta. Ci sarà da fare a botte, come ai vecchi tempi.»
«E se questa Roderikdatter non fosse danese, ma qualche agente, che ne so, spagnola o inglese?»
«Forse, in ogni caso si è messa in proprio, come il nostro Loki demonietto e il condottiero giapanghese. Un brutto terzetto. Ma sarà lei a portarci nella loro tana. Cominciamo a dare l’oblio a questo qua.»
Iniettarono un terzo intruglio e gli rimisero il cappuccio. L’uomo si alzò di colpo e da dietro la maschera parlò.
«Cosa essere accaduto? Me non ricordare.»
«Un piccolo malore, Fratello.»
Lo scortarono fuori. Gli ospiti sembrarono contenti di vedere che sia il frate che lei stessa fossero nuovamente sani. Il ricevimento continuava. La lotta contro i complotti anche.
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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