I Thompson
I Thompson sono la rappresentazione classica di come si presenta la tipica famiglia americana. Padre, madre e due figli, possibilmente maschio e femmina. Una famiglia che vive in una di quelle allineate e anonime scatolette, con annesso piccolo giardino per il barbecue e il canestro di basket per tenersi in forma.
Una doppia fila di case su un viale che porta ad innestarsi su una strada che a sua volta si va a congiungere con la principale che porta verso la città, lontana chilometri. La vita regolare prevedibile a ogni ora del giorno. Il padre al lavoro, la madre in giro per shopping o in casa da massaia pulita e assillante. I due ragazzi intontiti da televisione e sport che magari non amano.
Un tenore di vita medio alto e tutto deve procedere come stabilito, ogni cambiamento o evento che cambi o modifichi questo iter è visto come una tragedia. La famiglia si sfalda e entra in scena lo strizza cervelli.
La mente americana non è abituata e reggere il peso dell’imprevisto, del caso, tutto deve andare come ci si aspetta. Capita che un figlio chieda ai genitori di poter avere un animale in casa, un cagnolino in genere, i gatti non sono ben visti perché poco gestibili, quindi fonte di preoccupazioni.
Prima di approvare l’entrata in scena ci saranno ripetute riunioni familiari, si devono stabilire turni, disponibilità di ogni componente la famiglia in modo da non modificare lo status quo. Una volta entrato in casa il cane, tutti si devono sentire in obbligo di accudire la bestiolina che, non sa a chi deve affezionarsi, preferisce il maschietto di casa, quello più sensibile, ma che comunque, non impiegherà molto tempo per inserirsi nella routine della casa.
Gli orari saranno ferrei e obbligatori, il sabato, tempo permettendo è prevista l’uscita in gruppo verso un prato dove fare il picnic altrimenti è d’obbligo il barbecue in giardino con l’intervento di una o due famiglie limitrofe. Può capitare che il cane in questione sia uno di carattere ribelle e poco disposto a vivere secondo un orologio che batte sempre le stesse ore. Tenta più volte la fuga serale per girare nei giardini adiacenti.
I vicini cominciano a lamentarsi, chi si permette di invadere e alterare il normale andamento di quella casa, al prossimo barbecue i Thompson, non saranno invitati. La cosa impensierisce il capo famiglia, poi la moglie, ha perso l’amica di passeggio, di chiacchiera, ora è solo una delle amiche, ma se quel cane andrà ancora in giro, fra non molto si troverà da sola e additata da tutti gli abitanti del viale alberato, come una incapace di gestire un cane.
Questo tipo di considerazione può causare danni considerevoli nella mente di gente abitudinaria che sa vivere solo in un modo e, se lo si modifica, è la fine. Il figlio maschio in genere è lui che si occupa dell’animale, ovvio, concede tutto l’affetto a quel cane non ricevendone dai genitori che, oltre alle frasi di circostanza come “I love you” non vanno.
Il giovane rampollo entra in uno stato confusionario e si chiude in sé stesso sempre attaccato alla coda del suo cane, ogni rimprovero dato al suo cane si ripercuote contro di lui, esaspera i già difficili rapporti genitori figlio. Fino a quando un giorno stufo di sentire lamentele secondo lui, inutili e offensive, decide di scappare di casa con il cane.
Non si sa come, ma i boys americani sanno fare tutto, sono intelligentissimi e saccenti oltre ogni limite, rispetto ai loro coetanei di tutto il mondo, ma sono poi fragili mentalmente, non sopportano di non essere al centro dell’attenzione. Bastano pochi “i love you” non detti per sentirsi esclusi, inadeguati e incompresi.
Meglio andare via, scappare verso un mondo che hanno sempre visto sui libri o al cinema, ma che, a loro, è proibito vivere. Loro devono seguire le regole, quelle che ogni coppia di sposi traccia prima ancora del matrimonio. Poca fantasia, nessuna eccezione, niente deve intralciare la vita stabilita a tavolino e ancor prima di loro, vissuta dai nonni e dai loro genitori, uno standard collaudato in milioni di famiglia statunitensi, perché cercare altrove cose che solo la famiglia può dare.
Allora il piccolo genio, seguito dal cane, si allontana da casa. Percorre il lungo viale che passa davanti al solito e unico centro commerciale, al distributore di benzina. Si nasconde, quando passa davanti alla casa ad angolo, quella dove di solito abita la pettegola insonne che conosce i segreti di tutti. Lei non dorme mai, dalla sua postazione centrale e ad angolo, è favorita nella visuale.
La polizia, quando accadono certi eventi e accadono più spesso di quanto ci s’immagini, va direttamente da lei. Riesce a fare dei resoconti molto dettagliati, meglio degli agenti delle tasse. Il nostro piccolo fuggitivo è uscito dal centro del nucleo abitativo.
Fuori dal viale, dove sono allineate le case, c’è il nulla! Solo una lunga strada a volte sterrata che dopo diversi chilometri s’innesta su una strada statale per raggiungere la City. Lui cammina spavaldo, ha rotto il suo porcellino pieno di monetine e ha in tasca una manciata di dollari. Nell’immancabile zaino, quasi sempre più grande di lui, ha il suo irrinunciabile guanto da base ball, un barattolo di burro d’arachidi e il manuale delle giovani marmotte.
Cammina con spavalderia, è determinato e dietro di lui trotterella il povero cane tolto innanzi tempo al caldo della sua cuccia confortevole. Vanno i due, ma ancora non sono fuori dal raggio d’azione della comunità dalla quale vuole fuggire, c’è un ultimo ostacolo da superare, un ponte!
Il ponte rappresenta, nell’ideologia, la rottura con il passato per avventurarsi nel buio dell’ignoto. Anche se ancora piccolo, il ragazzo si rende conto del passo che sta facendo, si ferma, ci pensa, già è stressato da quello che ha dovuto fare per togliersi qualche catenella di dosso, ha paura di cosa ci sia al di là di quel ponte.
Il futuro fa paura a chi vive una vita predisposta e lineare, se vengono meno i punti di riferimento è finita, si va dritti dagli strizzacervelli che, mai come in America, trovano abbondanza di clienti. A quel punto il cane si stufa, passa avanti sul ponte si gira verso di lui e nella sua lingua canina gli abbaia contro: < dove credi di andare stupido di un ragazzo viziato, se non sei capace di affrontare tuo padre e tua madre, come pensi di sopravvivere in quella giungla che si trova dall’altra parte.
Ascolta, già stamattina non ho fatto colazione, non sono andato nemmeno in bagno per correrti dietro, ora fermati e ascolta uno che se intende di guai, torniamo a casa, non devi preoccuparti per me, io sono abituato a quel tipo di vita, voi la chiamate vita da cani, ma per me e i miei simili è il massimo. Voi non vi rendete conto che la vostra non è dissimile dalla mia, voi pensate di vivere, ma siete solo dei burattini automatizzati. Io non ho preoccupazioni, il cibo è sempre assicurato, la salute anche, gli amici prima o poi me li faccio, come te li puoi fare anche tu, allora che problemi hai? Perché sgridano me?
Sei gentile e affezionato a me, ma è normale, cresci ancora un paio di anni e vedrai che anche tu entrerai nel circolo di quelli che sgridano i cani. Voi siete così prevedibili e ordinari come umani che non c’è nemmeno sfizio a crearvi qualche inconveniente. Prometto che non andrò più a rovinare le aiuole dei vostri vicini, ho saputo che è arrivata dagli Scott una cagnolina niente male, sarò tranquillo! Promesso, ora vogliamo andare?>
Il ragazzo, dopo tutto quell’abbaiare, si convince che il cane gli avrà voluto dire qualcosa, si avvicina a lui e lo accarezza, il cane ne approfitta e si mette a correre verso la strada già percorsa, verso casa. Il fuggitivo intuisce le intenzioni e, con salti di gioia, correndo, lo segue, nonostante quello zaino smisurato sulle sue esili spalle, corre quasi più del cane e non ansima nemmeno.
La visione conclusiva li vede correre felici verso quella strada sterrata e, poi, appare la confortante vista del centro commerciale, passano correndo, ma non tanto da non salutare con un gesto della mano la vecchia zitella dietro la finestra a sbirciare.
Ancora corrono senza nemmeno un rivolo di sudore, verso il vecchio Sam al distributore che li guarda ridendo con quella sua bocca senza denti e, finalmente, la vista rassicurante del loro viale, del loro mondo dorato, di quella umanità prigioniera di pregiudizi, di noia, di regole stantie e che sembra una di quelle palle di vetro che se le scuoti scende la neve. Chiusi sia fuori che dentro.
La mamma, chissà come fa a saperlo che arrivava, è fuori che aspetta a braccia aperte il figlio che sembra tornato dalla guerra in Vietnam. Le braccia si stringo intorno al ragazzetto, fresco e dal capello biondo svolazzante. < i love you> la solita frase rassicurante che dovrebbe tranquillizzare il giovane, lui si stacca dalla madre e si guarda intorno, il padre da lontano ammicca compiaciuto, la sorellina si avvicina e lo accarezza, ma lui si china e prende in braccio il cane.
Lui e soltanto lui è stato capace di farlo tornare indietro, lo stringe con slancio e tutti si stringono attorno. Il sole tramonta sul viale e la famiglia si può ritirare in casa. E’ ora della cena e non si può derogare, domani si lavora e tutto deve tornare entro i limiti stabiliti.
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