La guerra di Troia: il conflitto – 9di9
13.
L’Iliou Persis
Alla fine, non con la forza ma con l’inganno venne conquistata la città di Troia[1]; l’astuzia di Odisseo fu, ancora una volta, decisiva.
Il re di Itaca escogitò uno stratagemma destinato a divenire proverbiale: il famoso “cavallo di Troia”.
Su consiglio del prudente figlio di Laerte, venne costruito da Epeo (ispirato dalla dea Atena) un gigantesco cavallo di legno (animale sacro ai Troiani), con un’enorme cavità all’interno e una scritta votiva: «I Greci dedicano questa offerta di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno».
All’interno della cavità si nascosero alcuni tra i migliori uomini tra gli Achei; il resto dell’esercito abbandonò invece il campo e si diresse con tutta la flotta nella vicina isola di Tenedo.
All’alba del nuovo giorno, quando i Troiani videro che il nemico aveva levato le tende vi furono scene di giubilo: la guerra sembrava ormai finita e la città appariva salva, dopo anni di assedio.
La vista del cavallo di legno turbò non poche persone: secondo i più, si trattava di una offerta votiva agli dei; altri, invece, ritenevano che la statua costituisse una minaccia e pertanto andava distrutta o bruciata.
Un prigioniero acheo, Sinone, venne catturato sulla costa ed interrogato: egli disse che era fuggito dall’esercito dei Greci perché questi volevano sacrificarlo per ingraziarsi gli dei in vista del viaggio di ritorno (in realtà, era una spia abilmente addestrata da Odisseo).
Quando i Troiani gli chiesero a che scopo fosse stato costruito il cavallo di legno, egli rispose che si trattava di una offerta dedicata alla dea Atena e che sarebbe stato blasfemo distruggere un oggetto così sacro.
A quel punto, la folla si stava ormai persuadendo a trascinare il cavallo nella città, malgrado alcuni tra i Troiani fossero di diverso avviso.
Tra i più accaniti sostenitori della pericolosità del cavallo di legno vi erano la profetessa Cassandra e il sacerdote Laocoonte, figlio di Antenore (famoso il suo Timeo Danaos et dona ferentes, che può essere così tradotto: “Temo gli Achei anche se portano doni”); egli arrivò addirittura a scagliare una lancia contro il ventre cavo della statua, per dimostrare che poteva nascondere un’insidia.
Cassandra non venne però creduta, a causa della maledizione di Apollo; Laocoonte venne invece punito dal dio Poseidon (che, come noto, parteggiava per i Greci), il quale fece emergere dalle acque due enormi serpenti marini che divorarono il sacerdote e i suoi due figli.
I Troiani decisero allora di portare in città il cavallo[2], abbattendo una parte delle mura per farlo entrare, e passarono tutta la notte festeggiando la fine della guerra.
Sinone, che era stato accolto dai Teucri come un fratello, diede il segnale alla flotta, ferma a Tenedo, e fece uscire dal cavallo i soldati che erano nascosti all’interno. Questi uccisero le sentinelle e aprirono le porte della città, consentendo al resto dell’esercito acheo di entrare in città.
Gli Elleni iniziarono quindi a saccheggiare la città e a massacrarne gli abitanti, in gran parte ancora addormentati.
I Troiani si riebbero ben presto e, alimentati dalla disperazione, organizzarono un contrattacco, lottando strenuamente o lanciando oggetti sulle teste dei nemici che passavano.
Ne seguì una lotta senza quartiere in ogni vicolo, in cui i Teucri resistettero sino alla fine. Ma il destino della città era ormai segnato dal momento in cui i Greci erano riusciti a penetrare all’interno delle mura.
Gli Achei diedero alle fiamme Troia e si dimostrarono spietati nella strage dei nemici. A mettersi particolarmente in luce fu Neottolemo, il figlio di Achille; del giovane leale e coraggioso che non aveva osato rubare le armi di Eracle a Filottete era rimasto ben poco: ormai esisteva solo un guerriero crudele e assetato di sangue; egli uccise senza pietà Polite, il più giovane dei figli di Priamo, e lo stesso re di Troia, che aveva trovato rifugio nell’altare di Zeus del proprio palazzo.
Menelao uccise Deifobo, marito di Elena dopo la morte di Paride, mentre questi dormiva e avrebbe anche ucciso Elena se non fosse rimasto abbagliato dalla sua bellezza; gettò così la spada e la riportò sulla sua nave.
Aiace Oileo stuprò Cassandra sull’altare di Atena mentre la sventurata si aggrappava alla statua della dea, provocando il disgusto dei suoi stessi compagni e l’ira dei numi.
Il giorno dopo, della fiorente città di Troia rimaneva solo un cumulo di ceneri e macerie[3]; gli Achei si divisero il bottino: l’infelice Cassandra venne fatta schiava dal re Agamennone, mentre la regina Ecuba fu destinata a far parte della servitù di Odisseo; la vedova di Ettore, Andromaca, venne invece assegnata a Neottolemo.
Alle donne troiane non venne risparmiato neppure l’ultimo strazio; la giovane Polissena, una delle ultime figlie di Priamo, venne sacrificata sulla tomba di Achille, mentre il piccolo Astianatte, figlio di Ettore, venne ucciso nel modo più barbaro e crudele che si potesse concepire nei confronti di un infante: Neottolemo lo gettò infatti dalle mura di Troia provocandone così la morte[4].
Gli Achei si prepararono quindi a raggiungere la patria lontana; ma gli dei non avrebbero dimenticato tanto presto l’orrore dei saccheggi e le crudeltà gratuite…
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.