Greta e Susette
Aveva ventidue anni ma ne dimostrava molti di meno. Era un tipetto tutto pepe, capelli corti biondo cenere. Una bocca larga sempre aperta in sorrisi. Indossava spesso jeans e camicette semiaperte che lasciavano intravedere le sue forme ancora da adolescente. Due seni candidi e piccoli come arance.
Amava la vita spensierata, sportiva, stava bene quando era in compagnia, era lei l’animatrice di ogni gruppo in cui capitava. Fare scherzi era uno dei suoi passatempi preferiti. Erano rimasti in pochi nella sua cerchia di amici che non avessero subito qualche tiro da lei. Nessuna delle sue vittime, tuttavia, aveva mai reclamato, né gli serbava rancore, lei sapeva farsi perdonare, il suo sorriso era contagioso e il malcapitato difficilmente riusciva a non ridere dello scherzo subito. Anche gli insegnanti universitari per quanto severi erano più indulgenti nei suoi confronti.
Di tanto in tanto, tuttavia sentiva forte il bisogno di isolarsi e restare un po’ da sola. Si allontanava da tutti per starsene in disparte. Come un monello, andava in giro per la città con le mani in tasca, bighellonando per le strade, oppure si rifugiava su qualche panchina nel parco e si metteva ad osservare la gente che le passava davanti. In quei momenti i suoi pensieri non erano mai sereni o allegri come quando combinava guai. Erano attimi di pura malinconia che attraversavano fugaci i suoi occhi chiari. Stavano diventando momenti sempre più frequenti e sempre più lunghi.
Quando era nel suo gruppo era la più burlona, la scapigliata che tutti conoscevano, ma quando era da sola il discorso era diverso, per quanti sforzi facesse, non riusciva a togliersi di dosso quel senso di vuoto che l’assaliva in modo violento e che la faceva precipitare in un malessere che la riduceva in uno stato pietoso.
Quella era una di quelle mattine, era in giro per le strade di Parigi fin dalla mattina. Il tempo era buono ed era piacevole passeggiare e osservare le vetrine. Dopo tanto vagabondare, però, era stanca e decise di offrirsi un momento di riposo e prendere un’aranciata. Andò a sedersi a uno dei tavolini all’aperto di un bar del boulevard de Saint Germain.
Era seduta già da un po’ di tempo e stava per finire la sua bibita, aveva male ai piedi e si stava intrattenendo più del solito. La sosta l’aveva risollevata, ma restava in lei un senso di solitudine. Si chiese come mai non era stata capace di affezionarsi a un ragazzo. Di flirt ne aveva avuti diversi, ma erano durati poco, la sua indole spensierata poco piaceva agli uomini che dopo poco la lasciavano per rivolgersi altrove.
Ad ogni rifiuto lei incassava e tornava a fare scherzi ma alla lunga la cosa la stava distruggendo. Possibile che alla sua età, per quanto giovane non avesse trovato nessuno? Cosa c’era che non andava in lei? Sapeva che era colpa sua, non poteva dare la colpa sempre ai maschi che la frequentavano, la ritenevano poco affidabile, inadatta per una relazione seria.
Era intenta in queste sue meditazioni che al momento non si accorse che al tavolo vicino al suo si era seduta una gran bella donna. Quando girò la testa per guardare una ragazza poco più grande di lei che spingeva un carrozzino con un bambino all’interno, lo sguardo finì su quella donna al suo fianco. Nel vederla ebbe come un tremito, sussultò in modo vistoso e subito cercò di assumere un atteggiamento disinvolto, non voleva in nessun modo fra trapelare quel suo disagio improvviso.
Con la coda dell’occhio si mise a studiare la persona che le aveva procurato quella reazione. Era una donna notevole, non proprio bella, ma dotata di un particolare fascino che emanava dalla sua persona come un alone di profumo inebriante. Era fasciata da un tailleur evidentemente cucito su misura. Si vedevano chiari i segni della buona fattura, doveva essere una benestante. I capelli chiari ma non proprio biondi erano raccolti sulla nuca da uno chignon. Era robusta ma non grassa, il seno imponente era tenuto a freno dalla giacca ma s’intuiva grosso e sodo. Era seduta in maniera composta e aveva una postura elegante e austera. Una donna di classe, emanava un richiamo sessuale da ogni poro della sua pelle che a vederla sembrava candida come l’avorio.
Susette si guardò e vide netta la differenza. Stretta nei suoi jeans scoloriti e la maglietta sbrindellata era esattamente l’opposto di quella signora. Aveva visto spesso donne come quella seduta ai tavoli dei bar ma quella di oggi la attraeva come una calamita. Sentiva uno strano fermento in corpo, più la guardava e più sentiva dentro di lei uno scombussolamento. La cosa la incuriosiva e le faceva paura nello stesso tempo. Non riusciva a spiegare quella insolita attrazione verso una donna, anche se di classe come quella.
La signora aveva ordinato una birra chiara e adesso la stava sorbendo con gesti lenti, misurati. Notava in lei il sottile brivido di piacere che le procurava ogni sorso che faceva, i suoi occhi brillavano quasi di cupidigia dopo aver sorseggiato lentamente quel liquido ambrato e fresco.
Susette la seguiva ormai sfacciatamente senza curarsi di fare attenzione. Era affascinata da quella donna, dai suoi gesti dalla sua postura, quando stava per finire il suo boccale si era spostata leggermente sulla sedia verso l’esterno del tavolino per poter accavallare le gambe. La corta gonna del tailleur salì fin sopra il ginocchio lasciando scoperte due gambe solide tornite e avvolte da delle calze di seta color carne. Non aveva reggicalze, né giarrettiere.
A quel punto Susette non resse più, decise di fare la sfrontata, voleva saperne di più su quella strana figura femminile. Era una donna intrigante e quei suoi atteggiamenti troppo misurati la insospettivano, non poteva essere così perfetta, cosa nascondeva quella signora elegante e charmant che beveva birra con una facilità da bevitore incallito. Infatti, aveva ordinato un’altra birra e stava ripetendo gli stessi gesti e provava le stesse sensazioni di prima.
Ora era decisamente decisa a farsi avanti e affrontare la situazione come sua abitudine; quando voleva lei sapeva essere spregiudicata e senza vergogna. Prese il suo bicchiere con quanto restava della sua bibita e si avvicinò alla donna.
“Scusi, – disse sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi – permette che mi sieda vicino a lei, sono in piena crisi di malinconia e con una bella giornata come questa non mi va di stare da sola. Magari possiamo scambiare quattro chiacchiere, così per far passare un po’ di tempo.”
La donna girò il capo come se fosse infastidita dall’esuberanza di quella ragazzina, certo aveva una bella faccia tosta a rivolgersi a una sconosciuta in quei termini. La fissò a lungo prima di rispondere, stava decidendo quale risposta dare a quella maleducata, nel pensare si mordicchiava le labbra come presa da un improvviso pensiero. Attese che finisse quel tremore che le stava attraversando il corpo, poi allargando appena la piega della bocca, come in uno stentato sorriso le rivolse la parola.
“Certo che hai una bella faccia tosta, ragazza, sono una sconosciuta e vuoi fare amicizia con me solo per passare il tempo.”
“Sì, l’idea è questa, ho visto che anche lei è da sola, due donne sole al bar credo attirino sguardi indiscreti, due amiche a chiacchierare invece penso possono tenere lontano eventuali disturbatori.”
“Non trovi sia strano tutto questo?”
“No! Anzi credo sia un modo per sconfiggere la solitudine o almeno qualche momento no della nostra giornata”
“Sai che quasi mi stai convincendo, anche se noi due messe insieme non direi che potremmo essere amiche, ti rendi conto delle differenze.”
“Perché lei è una che tiene alle apparenze, certo è molto appariscente rispetto a me, ma credo che non sia importante il fuori ma il dentro non trova?”
“Sai che ti dico, forse è proprio questa incongruità che mi spinge ad accettare la tua compagnia.”
“Oh, grazie, a questo punto credo che posso darti anche del tu, non mi va di parlare a una amica come a una estranea.”
“D’accordo, allora vediamo cosa proponi come argomento delle nostre chiacchiere, avrai voglia di parlare suppongo. Dici che sei sola e malinconica, allora cosa c’è di così tragico alla tua età? Così per rompere il ghiaccio posso dirti che io mi chiamo Greta e sono in visita nella vostra città già da alcuni giorni. Io sono tedesca e sono in vacanza.”
“Grazie Greta, io mi chiamo Susette e ho ventidue anni, frequento l’università con alterni profitti, sono un tipo esuberante e schietto.”
“Si vede non ti preoccupare, l’ho notato”
“Sì è evidente la differenza fra me e te, ma non mi preoccupo affatto di questo, piuttosto ho molto spesso dei momenti di stanchezza e divento subito ombrosa e triste.”
“Strano, – accennò con un sorriso Greta buttando giù un altro lungo sorso di birra, – a vederti non si direbbe.”
“Eppure, ti assicuro che è così, anche adesso, hai visto, ero seduta da sola a quel tavolino, ero in un momento di solitudine ed è una situazione che non mi piace. Quando ti ho vista, sicura e padrona assoluta di te stessa, sembravi l’immagine della vera signora alla quale non manca niente.
Una bella donna, elegante, economicamente tranquilla, lo si vede dagli abiti, piena di fascino e con uno stile impeccabile. Così mi sono chiesta, allora esistono davvero donne come te, non hai niente fuori posto, sei assolutamente perfetta.”
“Dai non esagerare adesso, non è tutto oro quello che luccica”
“Questo contrasta con il mio modo di essere, – la interruppe Susette – io sono esattamente il contrario, finora mi piacevo com’ero, ma dopo averti visto non sono più sicura.
“Non devi assolutamente buttarti giù, anche tu sei un tipo particolare e in più hai una dote che io non ho”
“E cosa sarebbe di grazia?”
“La gioventù ragazza mia, hai ancora tutto il tempo di trovare quello ce cerchi. Io ormai ho perso le speranze e ti dirò. Non me ne importa più di tanto. Sto bene così.”
Susette rimase interdetta a quelle parole
“Sarà questo il motivo che non riesco a trovare uno straccio di uomo per me, appena mi conoscono fuggono a gambe levate. Dovrei imparare da te come si diventa impeccabili.”
“Cara ragazza grazie per i complimenti, fanno sempre piacere, ma anche se tu ritieni che io sia perfetta è proprio questa perfezione che a me dà fastidio.”
“Dai, questo non può essere! Come si fa a non essere soddisfatte quando non ci manca niente?”
“Vedi, è proprio questa cosa che non sopporto. Quello che per te è perfezione per me è come una forma di prigionia. Costretta a essere sempre al meglio, sobria, elegante, sono atteggiamenti che si raggiungono solo con una educazione ferrea, a volte massacrante.”
“Credo però che ne valga la pena, io sono sempre stata libera di fare come mi pare e non ho ottenuto nessun risultato utile. Penso che con un solo schiocco di dita tu avresti il mondo ai tuoi piedi.”
“Non credere che sia così facile, Susette, anzi è il contrario, gli uomini hanno timore di donne come me, le vedono fredde, distanti e incapaci di amare come loro vorrebbero.”
“Non ci posso credere, fossi uomo già sarei qui a chiedere di amarti, hai tutto quello che uno può desiderare, sei una bella donna, signorile, agiata, intelligente e colta.”
“Io invece, vorrei ogni tanto allentare i freni ed essere come te, lasciar perdere tutta questa serietà e comportarmi come una ragazza qualsiasi. Indossare un jeans e una maglietta aderente, capisci cosa voglio dire? Come hai detto tu sono una donna in carne e ho i miei desideri, ma non posso esternarli, questione di abitudine.
Ho qualche anno più di te ma non tanti. Ne ho trentasette e dalla nascita che sono stata cresciuta con questa rigidità, con una cura particolare nei dettagli. I miei genitori sono agiati e non mi hanno lesinato nulla affinché diventassi un modello di donna ammirato e desiderato.
Si sono riusciti solo in parte, hanno ottenuto quello che loro credevano indispensabile per una ragazza di buona famiglia, ma come rovescio della medaglia ho il tuo stesso problema, quando un uomo si avvicina a me poco dopo scappa anche lui come fanno con te. Loro non vogliono una donna perfetta, vogliono solo una donna che li ami senza tanti fronzoli.”
“Forse su questo posso darti ragione, siamo due sfigate, i due opposti che anche se in modo diverso allontanano gli uomini da noi. Dovremmo fare qualcosa, non so cosa ma se vogliamo arrivare ad avere una compagnia dobbiamo darci da fare. Chissà se ci mettiamo insieme non riusciamo a trovare un sistema.”
Greta guardò la ragazza al suo fianco e la vide piena di vita, una ragazzetta esuberante, sveglia e senza tante fisime. Si lamentava della mancanza di uomini al suo fianco, ma lei credeva che il motivo fosse un altro. Quella sua aria sbarazzina e la mania di fare scherzi la rendevano poco credibile nel ruolo di mangiauomini. Chissà come si comportava in campo sessuale.
Greta da tempo ormai aveva accantonato l’idea di mettersi in caccia di un uomo, alla sua età considerava l’argomento chiuso. Aveva raggiunto uno status vivendi che l’appagava. Ora si era presentata questa ragazza che le aveva sbandierato sotto il naso una specie di fotografia di sé stessa e dove non ne usciva bene. In tutti questi anni lei aveva tentato di accalappiare un uomo, ma alla fine non era riuscita a tenersene uno. Ora più il tempo passava più il pensiero di restare vicino a un uomo la faceva star male.
“Accidenti a te Susette, stavo così bene fino a poco fa, prima che arrivassi tu come un ciclone, tu hai rimesso tutto in discussione. È vero, a quanto pare siamo due donne alle quali fanno difetto gli uomini, sembri dispiaciuta di questa situazione, mentre, io ti dico che sto bene così. Dei maschietti ne posso fare volentieri a meno.”
“Se è solo per questo, – la interruppe Susette, – non credere che faccio follie per gli uomini, espongo solo una verità che è parte della mia vita, ma non ne sento affatto la mancanza e poi, diciamolo pure, non ho molte speranze dico, ma mi hai vista, sembro più piccola di quello che sono, un corpo da maschietto, senza seno gambe dure, mentre tu sei un richiamo sessuale a un chilometro di distanza, emani fascino da ogni poro.”
“Dai non esagerare, non mi sembra proprio. Allora come mai gli uomini fuggono invece che essere attratti?”
“Dipende anche dal tuo aspetto austero, per esempio quel tailleur ti mortifica, nasconde delizie che loro vorrebbero vedere, perché non vesti in modo più libero spigliato, roba da esporre ne hai, adesso perché non sbottoni qualche bottone, vedi che ti sentirai più libera, fresca e…”
“Non posso, col seno che ho, sarebbe sconveniente mostrarlo”
“Ma che dici, sconveniente! È quanto di più bello c’è, i maschi sbavano per vedere qualcosa come il tuo. Intuisco che è grosso, sodo e… appetitoso.”
“Susette adesso stai superando il limite, in fin dei conti sono io che mi devo esporre non tu, e non l’ho mai fatto.”
“Ecco perché gli uomini fuggono da te, sembri un sergente dei marines, troppo seria, sorridi poco, le doti naturali le nascondi, sei una bella persona ma fai di tutto per nasconderti. Io anche se mi metto nuda non mi guardano nemmeno, forse chiamano la polizia per una ragazza smarrita. Vieni ti aiuto io, sbottona questi due bottoni iniziali, vedrai respirerai meglio.”
Così dicendo si avvicinò al busto di Greta e sbottonò i primi due bottoni della giacca, immediatamente la forza contenuta del seno, vinta la resistenza esplose in tutta la sua consistenza. la giacca si aprì lasciando la camicetta di seta bianca gonfia all’inverosimile. Greta non poté impedire che un grosso sospiro di liberazione uscisse dalle sue labbra.
Sentì sulla pelle il soffio d’aria che la invase in tutto il corpo. Susette aveva ragione dovette ammettere, ora si sentiva più libera, respirava aria come non mai. Quella giacca la sacrificava non poco, ma lei abituata a contenersi non aveva mai osato fare tanto. Il leggero tessuto si gonfiò ulteriormente quando i capezzoli s’indurirono per la sensazione di freddo, erano grossi e duri, e tesero la seta formando due punte che fecero arrossire Greta. Due punte nere che tentavano di bucare la stoffa bianca della camicetta, non portava reggiseno, sapendo che la giacca l’avrebbe protetta da questo inconveniente.
Susette si fermò un attimo a guardarla e sorrise apertamente, contenta del risultato che aveva ottenuto. Lo spettacolo che aveva davanti era insolito e molto intrigante, avrebbe messo molto volentieri le mani su quelle rotondità. Era attratta da quelle sfere, le ricordavano quelle della balia, quando la mamma portava per allattarlo il suo fratello minore.
“Allora come ti senti adesso? – Susette stava ancora guardando il petto di Greta che se ne stava a capo chino, respirando con avidità l’aria che le entrava libera nei polmoni. A ogni respiro il petto si sollevava e abbassava con regolarità.
“Credo che tu abbia ragione, tolta quella tortura della giacca ora respiro con facilità e devo dire che è una sensazione fantastica. Solo ho imbarazzo per questo mio petto esagerato, ho vergogna, mi sento come nuda, un po’ lo sono, solo la camicetta mi protegge, ma da quello che vedo neanche tanto. Sono esposta agli sguardi della gente e questo non è educato, sarà meglio che me ne vada, non ce la faccio a restare così mezza nuda in strada, dovrò abituarmi un poco alla volta, ora, per fare tutto in una volta non sono pronta.”
“Come credi, questo però, ricorda è solo il primo passo, la prossima volta lascia questi abiti da donna anziana, scegli vestiti più adatti, anche seri se vuoi ma che mettano in risalto le tue doti peculiari e sai di cosa parlo.”
Sorrise mentre lo diceva e Greta non poté fare a meno di ridere anche lei.
“Ascolta, – fece improvvisamente Greta, – visto che ho portato con me solo tailleur, ti andrebbe di accompagnarmi a fare un po’ shopping, vorrei comprare almeno per il mio soggiorno qui a Parigi qualche abito come dici tu, se non lo faccio adesso che sono fuori casa e in vacanza non lo farò mai più. Così mi dai qualche consiglio.”
“Molto volentieri, ho la mattinata libera e poi lo faccio con piacere, voglio vederti sorridere ed essere felice. Esci da quella corazza, fai vedere chi sei”
Si alzarono insieme e come due vecchie amiche s’incamminarono verso il centro. Susette faceva da cicerone e attraverso alcune stradine intermedie giunsero ben presto sul lungo viale dei Champs Eliseè. Iniziarono con calma ridendo e scherzando a fermarsi davanti alle vetrine, commentavano, discutevano fino quasi alla lite ma ridevano come due pazze. Arrivarono alla galleria la Fayette e lì si fermarono.
Entrati in negozio Greta cominciò a provarsi diversi vestiti, per farlo dovette togliere anche la camicetta e nel farlo il suo seno nudo esplose in tutta la sua bellezza, un candore di carne eburnea, due grosse ciliege rosso scuro che spiccavano sul candore della pelle. Susette l’ammirò estasiata, in più di un’occasione con la scusa di aggiustare il capo in prova l’accarezzò con le mani. Nel farlo si accorse che la donna aveva dei brividi al suo tocco.
Dopo quasi un’ora di prove, finalmente uscirono cariche di pacchetti e buste, Greta non aveva lesinato e aveva comprato un po’ di tutto, anche un paio di reggiseni merlettati. Voleva evitare di incorrere in inconvenienti.
Andarono a fare colazione in un piccolo bistrot che Susette conosceva e poi Greta a un certo punto le chiese se voleva andare con lei in albergo per cercare di coordinare i vestiti che aveva comprato.
Andarono in albergo, uno di quelli abbastanza rinomati, un ambiente chic, ma non troppo costoso.
Arrivate in camera Greta era distrutta, non aveva mai camminato tanto, si tolse le scarpe, la giacca e la gonna rimase in camicia e mutandine, si buttò sul letto per riprendere fiato. Susette invece andò in bagno, si spogliò anche lei, tolse i jeans e restò solo con una canottiera che la copriva tutta.
Si diede una rinfrescata al viso e rientrò in camera per buttarsi anche lei sul letto, cascò quasi addosso a Greta che non fece niente per scostarsi, anzi la ricevette addosso abbracciandola per non farla cadere.
Bastarono pochi secondi e gli ultimi indumenti che indossavano volarono per la stanza, erano nude entrambe e poi chiusero la luce.
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