Gli ultimi longobardi
Settembre. Anno del Signore 1529
La strade di Padova erano un viavai variopinto di gente elegante, indaffarata, e all’apparenza allegra. I sensi di Luna d’Argento cercavano di concentrarsi su quell’arcobaleno per alleviare la valanga di immagini altrettanto colorate che aveva in testa. Non sapeva se il potere di vedere diversi piani di realtà fosse un dono degli dei oppure una maledizione.
Anni prima, a Tenochtitlan, nella lontana America, aveva avuto le prime visioni di una realtà parallela. Con orrore aveva vissuto la distruzione dell’impero Mexica. Un incubo accaduto veramente in un altro piano di esistenza, e sofferto come se questo fosse stato reale. Questa facoltà era stata amplificata dal talismano che la sua, ora consorella, Atena si portava al collo.
Con l’andar degli anni, il potere vaticinante si era acuito ogni volta che lei nella testa visualizzava il simbolo di quel sole a sette raggi. La giovane americana avrebbe potuto chiudere in uno scaffale mentale quel sole dorato e all’istante le sensazioni si sarebbero attenuate e lei avrebbe potuto godersi l’esistenza in quel piano di realtà dove il nuovo Regno Mexica, ora chiamato Regni Uniti d’America, prosperava in pace assieme all’Italia Unita, i suoi alleati e perfino la Spagna, un tempo nemica.
Ma Luna d’Argento sembrava voler cacciarsi nei guai a tutti i costi. L’anno prima, durante una riunione con le altre consorelle, al convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, si era fatta un giro per la città. Sempre curiosa e pronta alle sfide aveva visualizzato il talismano e questo, come un sole vero si era acceso nella sua mente, illuminando un buio che si era presentato come una realtà parallela. Una realtà molto spiacevole.
Poco lontano da Milano, in quella pianura rigogliosa aveva avuto una visione terrificante di una battaglia che non avrebbe dovuto aver luogo. Truppe d’invasione spagnole avevano sconfitto presso una città chiamata Pavia altre truppe occupanti francesi. La Spagna era stata per lei l’incubo per anni.
Le visioni della distruzione di Tenochtitlan da parte degli iberici era stata traumatica. E adesso, vedere ancora una volta, anche se in una specie di sogno, le truppe iberiche dilagare per la sua seconda patria, l’Italia, l’aveva fatta tremare. Aveva spento il sole nella sua testa ma si era ripromessa di indagare su quella metafisica. Il suo sposo, Sole Tiepido, l’aveva diffidata dal tormentarsi in quel modo.
Ma lei era caparbia e ogni tanto aveva riacceso l’astro omonimo del suo sposo, non dimenticando che se non avesse creduto a quelle visioni, a quei tempi e non si fosse recata nel bel mezzo di quella battaglia tra mexica e spagnoli, non avrebbe mai potuto salvare la vita al suo amato, nonostate l’intervento degli italiani avesse dato la vittoria ai mexica. Anche sconfitti, gli invasori avrebbero ucciso il suo sposo.
E un mese prima, nella sua curiosità autolesionistica, aveva nuovamente visualizzato il talismano. L’allerta era stata chiara: un pericolo incombeva sulla pace appena conclusa. Un gruppo di sicari stava orchestrando un attentato al doge della Repubblica Unita. Ma non a Venezia, ma a Padova.
Non c’era logica, ma le visioni parlavano di un mistero di secoli e il doge era anch’egli un sensitivo, come lei. Le visioni profetiche lo presentavano recarsi in pellegrinaggio in un luogo segreto, spesso e sempre nell’anonimato. Ma la prossima visita avrebbe potuto essergli fatale.
Il tempo stringeva e Luna non avrebbe fatto a tempo ad avvisare le altre consorelle né gli altri agenti, tutti in missione per prepararsi alla spedizione in Giapangu. Doveva agire da sola, come quella volta in cui si era intromessa, vestita da guerriero aquila, nella battaglia di Otompan, in America.
Indossando ora l’abito da suora si faceva guidare dal sole che brillava nella sua testa e che illuminava strade e vicoli, indicando col raggio immaginario la via da seguire. Luna si trovò in un quartiere poco popolato, dove, tra case modeste ma dignitose, quasi invisibile e un po’ male in arnese la porta di un chiostro si stagliò.
Una scritta semicancellata dal tempo indicava: SANTA MARIA VEGGENTE.
Ma certo, no?
Bussò e una suora venne ad aprire.
All’inizio la monaca fissò curiosa i lineamenti amerindi di Luna. Poi, come se le stesse parlando nella mente, sussurrò, muta.
“Lodate siano Minerva e Freja, figlie di Giove e Odino. Benvenuta, oh fedele al Serpente Piumato.”
D’un colpo si sentì a casa. Quel luogo era pervaso da magia.
La monaca la guidò per un corridoio. Scesero le scale.
“Altre sorelle, dal nord, sono già sotto, in attesa di Sua Eccellenza.”
Luna capì che aveva agito giustamente.
La suora aprì un passaggio segreto che portava a una scala. Scesero nelle viscere della terra a alla fine si ritrovarono in una cripta piena di gente. Alla luce delle fiaccole, Luna notò un gruppo di frati e un altro di suore. Ma intuiva che doveva essere un travestimento.
La sensazione, invero piacevole, di poter comunicare con la mente, e di carpire concetti era però disturbata da qualcosa di negativo. Era come se il Serpente Piumato e il suo gemello demoniaco fossero presenti ambedue, ciascuno pretendendo di essere quello giusto.
Luna focalizzò i due gruppi. Si trattava ora di smascherare se fossero i frati o le monache i seguaci della Luce o dell’Ombra. Ma era difficile distinguere la differenza tra due gemelli. Ambo i gruppi emanarono concetti di una fede comune: gli dei norreni.
I concetti si fecero sempre più chiari: i frati erano discendenti di un popolo di origine nordica, i longobardi, e ora, dietro la facciata da frati cristiani, erano divenuti una fratellanza che da secoli viveva una doppia vita di monaci guerrieri e che si accoppiavano con le sorelle di Minerva prolificando e continuando la stirpe.
Le monache nuove venute venivano dalla Danimarca. Stirpe e fede comune. Due aspetti della stessa religione, ma chi serviva gli dei e chi i demoni? Non appena il doge fosse arrivato, gli attentatori avrebbero fatto una sortita e l’avrebbeto ucciso prima che gli altri potessero portargli soccorso.
Il sole a sette raggi si trasformò in un serpente e le parlò nella mente.
“I longobardi si sono votati al mio gemello demone. I loro antenati avevano distrutto questa città, ma un gruppo, guidato da un saggio condottiero, si era incontrato proprio qui con uno dei capostipiti della dinastia dell’odierno doge, un certo Albo, nato da una monaca e da un aruspice, che i longobardi chiamarono Alberto. E il doge, Ferruccio Alberti, discende da costui.
Perdonali perché non sanno quello che faranno. Il mio gemello d’Ombra li ha convinti che il doge abbia voltato le spalle alla Luce e la spedizione in Giapangu sia ingiusta. La causa che servono va al di sopra della fedeltà. Ma le sorelle inviate da Odino sono pronte a difenderlo. Sacrificheranno le loro vite facendo scudo con corpi contro i discendenti di quei feroci guerrieri che niente hanno da invidiare ai loro antenati.”
Una valanga di immagini di un passato di secoli dilagò nella mente di Luna. Uomini in elmi e corazze, come gli spagnoli, anche se di fattura diversa, bianchi ma più pallidi dei latini. Barbe bionde smisurate. Massacri e città bruciate e rase al suolo. Alle visioni si intromisero immagini vere.
Un vecchio entrò nella cripta, a passo cadenzato ma svelto. Frati e suore si inchinarono, disponendosi ciascun gruppo in semicerchio intorno all’ospite. Luna si tenne pronta. Prima che succedesse l’inevitabile la giovane mexica si incamminò decisa verso il doge, un attimo prima che i frati gettassero i sai mostrando strane armature antiche e sfoderando le spade.
Luna estrasse una mazza da guerra mexica, e fece scudo al doge sventagliando le lame di ossidiana frenando l’avanzata dei longobardi. Sapeva che non appena una delle spade di ferro avesse colpito la sua arma, questa si sarebbe spezzata, ma evitò con abilità di incrociare le lame avversarie.
Prese per mano il vecchio, che però camminò tanto veloce che in un attimo guadagnò la scala. Fu allora che le monache sfoderarono ciascuna un pugnale e si gettarono contro l’uomo.
Una di loro sferrò un colpo che avrebbe sicuramente colpito il cuore del vecchio se Luna non le avesse tagliato la mano di colpo. Tutto sbagliato: il gemello d’Ombra l’aveva ingannata. I longobardi ebbero ben presto ragione delle corte armi delle monache e queste si arresero. Quasi tutte.
Una di loro riuscì a dileguarsi approfittando della confusione. Quando il doge, i longobardi e Luna salirono le scale, le monache del convento, sgomente e sorprese dissero che Madre Roderikdatter aveva urlato che il doge era in pericolo ed era uscita dal chiostro per chiamare aiuto.
Luna evocò il talismano, ma dietro i sette raggi fece capolino un serpente nero che con tono furente disse: “Avete vinto questa battaglia. Ma la guerra continua.”
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.