Gilgamesh – L’opera di Enkidu

 

Gilgamesh

Ascoltate, ascoltate la storia di Gilgamesh, di Gilgamesh d’oro, Re dei Re, che ha scolpito il suo nome dove erano scolpiti nomi di grandi uomini e, dove non esistevano nomi, ha innalzato un altare agli dei.

Egli era re di Uruk, la città nella quale aveva costruito possenti mura e bastioni e il tempio di Eanna per il padre degli dei, Anu, Signore di tutto il Firmamento e per Ishtar, Regina della Guerra e dell’Amore. Nessuna città sulla terra era più splendida di Uruk, nessun re al mondo era più forte e coraggioso di Gilgamesh, suo padrone.

Egli era per due parti dio e per una parte uomo e la sua forma umana non poteva contenere l’incessante energia divina. Era diventato, perciò, un tiranno e toglieva dalle loro case i giovani della città perchè lavorassero faticosamente alla costruzione delle mura e dei templi, sbrigando mansioni superiori alle loro forze.

I figli perdevano i padri, i padri perdevano i figli, ma, peggio ancora, per l’opinione del popolo, egli costringeva giovani donne e giovani spose ad abbandonare, disperate, coloro che amavano e che le amavano, per diventare sue mogli. I vecchi si lamentavano, ogni giorno nelle loro dimore:

– Come si comporta il pastore con il gregge, così si comporta il nostro re! Nessun lupo vorace che dilania gli agnelli è più crudele di lui, perchè egli non lascia il figlio al vecchio padre, nè la sposa al novello sposo. Nessuno dunque può frenare questo tiranno, nè mitigare l’opprimente dolore dei nostri cuori per colpa di Gilgamesh, il Re?

L’opera di Enkidu

Gli dei udirono i lamenti che salivano dalla città, e si recarono al trono di Anu, dio di Uruk.

– Signore, –dissero– in Uruk i figli perdono i padri; i padri perdono i figli e i mariti le loro mogli dopo il giorno delle nozze. E tutto per colpa di Gilgamesh, il Re.

Era presente Aruru, la dea della creazione, e ad essa tutti gli dei si rivolsero:

– Tu lo hai creato, e ora devi creare per lui un rivale, che gli sia simile nella forza. Lasciali combattere tra loro, cuore feroce contro cuore feroce e, con questa lotta riporta la calma in città

La dea concepì nella sua mente un’immagine. Si lavò le mani e, preso un pezzo di argilla, lo plasmò secondo il modello ideato. Poi lo lanciò sulla terra dove si trasformò in un uomo quale non si era mai visto nella regione. E venne chiamato Enkidu.

Possedeva il vigore di Ninurta, ma la capigliatura gli scendeva sulle spalle, folta come il grano, lunga come quella di una donna. Era enorme e di pelle irsuta come quella di Samuqan, dio del bestiame. Andava ramingo per le pianure, si dissetava alle pozze d’acqua come la gazzella selvaggia, ma nè questa, nè quello si rendevano conto che egli apparteneva al genere umano.

Un giorno, però, un cacciatore con le trappole, lo incontrò, viso a viso, ad una pozza d’acqua. Si incontrarono poi una seconda volta e una terza. Il volto del cacciatore si rattrappì come per una gelida paura. Prese la sua selvaggina e tornò a casa. Nascondeva la sua paura, ma non poteva parlare. Suo padre, però, vedendolo strano, gli chiese:

– Che cosa è accaduto, figlio mio?

– Padre, –rispose il cacciatore– un uomo selvaggio erra nell pianure, si abbevera alle pozze d’acqua con la gazzella. Si nutre di erbe come gli animali e succhia il loro latte. Li libera dalle mie trappole. Ho paura di andare a caccia. Che cosa farò?

Il padre rispose:

– Recati subito da Gilgamesh e racconta a lui quello che hai visto. Egli allora manderà qui una custode del tempio; la sera alla siederà vicino alle fonti e l’uomo selvaggio, scorgendola, accorrerà, attratto dalla sua bellezza; in tal modo saprà di appartenere alla sua razza. Allora le belve lo sfuggiranno come sfuggono gli altri uomini ed egli lascerà la pianura.

Così il cacciatore riportò una custode del tempio. Insieme andarono alle fonti ad aspettare Enkidu, ma questi non venne nè al primo nè al secondo giorno. Al terzo giorno, giunse di sera, al tramonto, dalle pianure, insieme con una gazzella.

Scorse la custode del tempio e subito ella gli sembrò più bella degli animali; appena l’ebbe udita, la sua voce gli sembrò più bella del canto degli uccelli.

L’uomo selvaggio si fermò sei giorni e dalla donna imparò a parlare come gli uomini. Ma quando fece ritorno al suo gregge, gli animali selvaggi si allontanarono da lui, come da ogni altrouomo. Tornò alle fonti e sedette ai piedi della donna per sapere cosa dovesse fare.

Intanto in Uruk Gilgamesh si era svegliato e, alzatosi, si recò a trovare la madre nel suo tempio. Appena giunto, si inginocchiò e disse:

– Madre, ho fatto uno strano sogno. Una stella è caduta dal cielo ai miei piedi. Ho cercato di prenderla, ma mi sentivo troppo debole. Ho cercato di smuoverla, ma non sono riuscito. Tutta la terra si era radunata intorno alla stella, tutti gli uomini si affollavano intorno a lei, qualcuno le baciava i piedi. Mi sono posto di fronte a lei, l’ho alzata, portata a te e tu l’hai messa alla pari con me, tuo figlio.

Ninsun, la grande saggia, rispose a Gilgamesh:

– La stella caduta dal cielo ai tuoi piedi, che io stessa ho considerato pari a te, è l’uomo selvaggio delle pianure e, come una stella, grande è la sua forza. Egli è l’unico che, coraggio per coraggio, sarà tuo eguale, come un secondo te stesso. Ti proteggerà in guerra; in pace, siederà al tuo fianco per ridere, quando tu ridi, e per partecipare ai tuoi affanni. Mai ti abbandonerà.

La stessa notte Gilgamesh sogno di nuovo e, svegliatosi, si recò nel tempio di Ninsun.

– Madre, –disse– ho sognato ancora. In Uruk si trova una scure e la gente, nella strada, le si affolla attorno. Giace ai tuoi piedi e tu stessa la rendi pari a me, tuo figlio.

Ninsun, la saggia, rispose a Gilgamesh:

– L’ascia che hai visto è l’uomo selvaggio delle pianure. La sua forza eguaglia quella di un’ascia. Egli è il fratello, tuo eguale, il tuo secondo te stesso, coraggio per coraggio. Ti proteggerà nelle battaglie e, in pace, si siederà al tuo fianco per sorridere, quando sorridi, e per dividere i tuoi dolori. Mai ti abbandonerà.

– Quale privilegio, un simile amico! –esclamò Gilgamesh.

Nel frattempo, Ninsun parlò a Enkidu:

– Tu non sei un animale per brucare l’erba o per abbeverarti alle pozze d’acqua con le gazzelle. Ora, non sei più un uomo selvaggio. Vieni, Enkidu, vieni con me ad Uruk, dove regna Gilgamesh, il Tiranno. La sua forza è tale che in nessun luogo gli è dato trovare un degno avversario; quindi ora egli opprime il suo popolo come un immenso bue selvaggio; nè si cura delle sofferenze della sua gente.

A quelle parole, Enkidu si agitò. Egli desiderava infatti trovare un amico. E avrebbe potuto, forse, essere lui? Avrebbe potuto essere Gilgamesh capace di condividere i suoi segreti pensieri?

Allora disse alla donna:

– Conducimi a Uruk dove Gilgamesh vaga insoddisfatto della sua forza. Lo provocherò e griderò: “Sono nato nelle pianure, il più forte di tutti gli uomini. Sono venuto qui per mutare i superbi atteggiamenti del Tiranno Gilgamesh”.

Ninsun ribattè:

– Non hai ragione di vantarti. Per quanto tu sia il più forte di tutti gli uomini, Gilgamesh è per due parti dio e ancora più forte. Mai egli non riposa, nè di giorno, nè di notte. Io te lo mostrerò, se vieni ad Uruk, dove ogni giorno è festa, e il popolo si aggira per le strade in vistosi abbigliamenti, splendidi come farfalle; dove l’aria s’imbeve degli aromidelle spezie e dei profumi; dove abbondano i  vini per allietare il tuo cuore; dove tutto sarebbe allegro come il sole se Gilgamesh, il Re, volesse correggersi.

Ninsun, allora, divise in due parti il suo abito e ne rivestì l’uomo. Poi, come farebbe una buona madre, lo condusse per mano verso gli ovili dove si trovavano i pastori. Questi si affollarono intorno ad Enkidu, lo osservarono, gli offrirono il pane. L’uomo fissò attonito il pane perchè non sapeva come mangiarlo. Gli offrirono il vino, ma egli, abituato a bere il latte degli animali, tentò di lapparlo come fanno i cani. I pastori scoppiarono in una risata e lo derisero. Quando gli uomini gli ebbero insegnato come mangiare il  pane e come bere il vino, l’uomo si unse il corpo villoso con olio, poi indossò un abito. Diventò il guardiano dei pastori, e, da quel momento egli arrivava quando gli uomini dormivano per catturare i lupi e i leoni che piombavano sui greggi.

Un giorno, però, mentre sedeva nell’ovile, scorse un uomo che giungeva di corsa dalla città. Disse alla custode del tempio:

– Conducilo da me. Chiedigli per quale ragione viene qui.

La donna interpellò l’uomo ad alta voce:

– Perché sei venuto qui?

E l’uomo rispose:

– Vengo per invocare aiuto. Sta per celebrarsi un matrimonio nel Palazzo delle riunioni e Gilgamesh verrà sicuramente a portare via di forza la sposa. Enkidu vorresti tu impedirglielo?

L’uomo selvaggio tremò e impallidì dalla collera nell’udire le parole dello sconosciuto. Poi si avviò con la donna e, insieme, si affrettarono verso Uruk. Entrarono nella città e, raggiunta la piazza del mercato, la gente si affollò intorno a loro. Qualcuno osservò: “Assomiglia a Gilgamesh”, oppure: “Mi sembra molto più piccolo di statura, ma di corporatura più pesante. Si dice vaghi per le pianure e bruchi l’erba come gli animali”.

Il popolo gli dette il benvenuto, dicendo:

– Un uomo forte è giunto da noi. È nato come un dio per opporsi come rivale a Gilgamesh.

E quando il Re giunse, attraversando la città, al Palazzo delle riunioni, Enkidu, che si teneva in mezzo alla trada, non si scostò per lui e gli sbarrò il passo. Con il piede ostruì la porta per impedire che il re entrasse nella sala. I due rivali cominciarono a lottare. Si afferrarono corpo a corpo, sbuffando come due tori feroci. Infransero gli stipiti della porta; i loro respiri possenti fecero tremare i muri: Lottarono sulla porta, nella piazza del mercato, finchè Gilgamesh, essendo in parte dio, atterrò Enkidu. Lo gettò al suolo e, calmatosi, lo osservò. Allora, la sua ira svanì, ed egli si volse per andare via. Appena si fu voltato, Enkidu, sconfitto, lo chiamò:

– Tua madre, Ninsun, ha partorito un figlio al di sopra di tutti. Lo stesso Enlil ha decretato per te il potere sovrano su Uruk. Nessuno ti eguaglia, perchè la tua forza è superiore a quella di un uomo.

– È la forza di un dio –rispose Gilgamesh.

– Non ti avrei abbattuto se fosse stato altrimenti. E che fatica atterrarti! In verità, tu mi sei eguale. Vuoi essere il mio compagno, l’amico che conosce i miei segreti pensieri?

– Sì –rispose Enkidu.

Ed essi strinsero tra loro un patto che doveva durare nella gioia e nel dolore, per tutta la vita.

 

←Torna a l’indice                                    Gilgamesh – L’uccisione di Humbaba →

 

Lascia un commento