Ercolano antica: la storia

Affacciati sul golfo di Napoli, ai margini di Ercolano moderna (fino al 1969 Resìna), si estendono i resti della città antica, uno dei centri archeologici più celebri di tutta Italia.

Secondo la leggenda narrata da Dionigi di Alicarnasso, Ercolano venne fondata da Ercole nel 1243 a.C., di ritorno dall’Iberia dove aveva portato a compimento la decima delle sue terribili dodici fatiche, catturando la mandria del mostro Gerione.

Storicamente fu fondata o dagli Osci nel XII secolo a.C. (secondo Strabone), o dagli Etruschi tra il X ed l’VIII secolo a.C..

La conquista dell’insediamento ad opera dei Greci, nel 479 a.C., ha lasciato come testimonianze i pochi metri delle mura di cinta più antiche, la planimetria e l’assetto urbano della città, la quale con i suoi cardini e decumani disposti secondo linee ortogonali regolari fa pensare immediatamente all’antica Neapolis greca.

Si susseguirono poi il dominio dei Sanniti, del quale rimangono alcune interessanti iscrizioni in lingua osco-sannitica.

Tra il II e il secolo a.C. Ercolano è annoverata tra i centri della Campania che combatterono contro la dilagante egemonia romana nella cosiddetta “guerra sociale”: lotta strenua ma vana, tanto che nell’89 a.C. anche la città di Ercole, espugnata da un legato di Silla, dovette cedere a Roma, di cui, come altricentri vinti e sottomessi, divenne in seguito municipium.

Le iscrizioni romane relative a questo periodo e le citazioni degli storici fanno ritenere che nel secolo successivo alla conquista Ercolano dovette subire un certo sviluppo demografico, politico e urbano, assumendo anche una rilevanza non secondaria nelle ambizioni dei patrizi di Roma grazie soprattutto al clima assai mite (già descritto con ammirazione da Strabone) e alla sua invidiabile posizione geografica.

Si trattava infatti di una piccola città (la cui superficie doveva essere circa un terzo di quella di Pompei, per un totale di 4000-5000 abitanti) posta lungo le estreme pendici del Vesuvio su un promontorio lambito da due corsi d’acqua, che a sud si affacciava sul mare (un aspetto profondamente mutato in seguito alle eruzioni del Vesuvio del 79 e del 1631, in seguito alle quali il livello del terreno si innalzò di oltre venti metri).

Scavi di Ercolano con il Vesuvio sullo sfondo

La città divenne così un luogo residenziale per l’aristocrazia romana e visse il suo periodo di massimo splendore grazie al tribuno Marco Nonio Balbo, il quale l’abbellì facendo costruire nuovi edifici, come la Basilica, e restaurandone altri: nello stesso periodo furono costruiti anche due complessi termali e il Teatro.

Diversamente dalla vicina Pompei, città prevalentemente mercantile, Ercolano era un rinomato e signorile centro di villeggiatura dove abbondavano, spesso in posizione panoramica sulle pendici delle verdi colline coperte di vigneti, le eleganti dimore patrizie, elaborate e ricche di raffinate decorazioni.

Scarseggiavano infatti gli edifici destinati alle attività lavorative e le strade erano probabilmente percorse da un tranquillo passeggio e non da un intenso traffico veicolare legato al commercio come a Pompei.

Tuttavia, nel 62 d.C. questo sviluppo subì una brusca interruzione a causa del rovinoso terremoto che devastò non solo Ercolano, ma l’intera regione campana. La città riportò danni ingenti al patrimonio sia pubblico che privato, tanto che per risanare gli edifici furono necessarie imponenti opere di restauro, quando non di totale ricostruzione, rendendo la città molto simile a un vero e proprio cantiere.

Il sisma, purtroppo, fu soltanto il preludio di una catastrofe di proporzioni ben più ampie: il 24 agosto del 79 la città di Ercolano fu travolta da un immenso fiume di fango e detriti prodotti dalla spaventosa eruzione del Vesuvio, lungo le cui pendici verdeggianti si era sviluppata. A differenza di quanto accadde a Pompei, non furono lava, cenere, rocce incandescenti e lapilli a portare devastazione, ma un enorme fiume di fango bollente che, nella sua corsa lungo i pendii, spazzò via gran parte di quanto incontrava sulla sua strada, invadendo ogni casa, ogni via, ogni palazzo, ogni piazza.

La popolazione di Ercolano ebbe il tempo di fuggire verso il mare, ma per la maggior parte di essi il tentativo di mettersi in salvo risultò vano a causa di un violento maremoto che respinse le imbarcazioni a riva impedendo loro di prendere il largo e allontanarsi dalla catastrofe.

I resti umani e di imbarcazioni scoperti di recente lungo il litorale testimonierebbero proprio questo drammatico epilogo.

Cessata l’eruzione, Ercolano risultò coperta da uno spesso strato di fango (in alcuni punti alto ben oltre dieci metri) che ne decretò la fine e la cancellazione dalla storia: tale strato, col passare degli anni, si solidificò, formando un piano di roccia chiamato pappamonte, simile al tufo ma più tenero, che protesse i resti della città.

Abbandonata da tutti gli abitanti e sepolta come una mummia preziosa entro un sarcofago impenetrabile, la città non venne mai più ricostruita e solo più tardi ai suoi margini e in parte sull’area dove sorgeva si sviluppò il più modesto abitato di Resina.

 

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