Edmond e Jules de Goncourt
MILANO
Il marchese Trivulzio, un vecchio dritto, secco, ossuto, dalla testa energica d’un uomo di Guerra del cinquecento, in una finanziera fatta da un sarto di Parigi, morente, agonizzante, in mezzo ai capilavori dell’arte italiana, che tira a sé, con le mani magre, come fa un moribondo con le sue coperte, e che vi spiega con una voce affannosa, lì lì per naufragare, da un momento all’altro, nella soffocazione…
Il conte Taverna ci conduce a visitare uno dei suoi poderi dove ha luogo la fabbricazione del formaggio parmigiano…
Ora al nostro arrivo alla tenuta, il vecchio casiere è sulla porta, sotto il suo mantello di canne con i suoi stivali di nettafogne, con la testa china su un lungo bastone, come ne portano i nostri zii di commedia, e sopra il quale si vede il suo occhio furbo, e mezzo sorriso che un dente troppo lungo disegna sul suo labbro superiore…
Ha già battuto sulla terra, con energica impazienza, due o tre colpi di bastone, e alla fine si mette alla bocca la buccina di richiamo, e emette un suono di corno…
Nell’Archivio di Milano, un curioso testamento del 1624, -il testamento di un pittore chiamato, mi pare, Riva- che vi ha disegnato sopra i ritratti di tutti i suoi legatari, con sotto l’indicazione della somma che lasciava a ciascuno.
… Parlavo una sera, non so a proposito di che, della salamandra, delle sue originali forme araldiche, quando una gran dama milanese gridò d’improvviso, con il bel viso animato da un po’ d’ira: “La salamandra… che orribile animale… giallo e nero… i colori dell’Austria!”
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