I primi documenti in lingua italiana
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I primi documenti in lingua italiana
Man mano che il volgare veniva percepito come lingua principale ha iniziato ad essere adoperato nelle situazioni formali e ufficiali che solitamente richiedevano l’uso del latino. Iniziarono così a comparire atti scritti in volgare provenienti dall’are centro-meridionale della penisola.
Vediamo i più noti.
Nel 1734 venne pubblicato dall’abate Erasmo Gàttola un documento trovato nel Monastero di Montecassino. Si trattava del Placito di Capua, considerato in seguito l’atto di nascita della lingua italiana.
È una carta notarile del 960 che dimostra il possesso trentennale di alcuni territori da parte del Monastero stesso.
Il placito fu addotto come testimonianza per risolvere una contesa tra il convento e un privato, e da quel momento si iniziarono a redigere formule simili a questa in altri uffici notarili.
Apparvero inoltre glossari in cui singoli lemmi volgari erano affiancati alle corrispondenti traduzioni in greco o latino, fenomeno che indicava ormai un’evoluzione in atto nel modo di parlare delle persone.
Il testo recita:
SAO KO KELLE TERRE, PER KELLE FINI QUE KI CONTENE,
TRENTA ANNI LE POSSETTE PARTE SANCTI BENEDICTI
SO CHE QUELLE TERRE, PER QUEI CONFINI CHE QUI CONTIENE,
PER TRENT’ANNI LE HA POSSEDUTE LA PARTE DI SANBENEDETTO
Un altro testo importante risale al 1087 e proviene da San Salvatore, vicino al Monte Amiata, in Toscana. É la Postilla Amiatina; tre versi con assonanza, misti di latino e volgare, scritti dal notaio che redasse la cessione dei beni fatta da Micciarello e la moglie Gualdrada in favore dell’abbazia di San Salvatore, probabilmente per evitare guai o sortilegi, come suggerisce il testo stesso.
ISTA CARTULA EST DE CAPU COCTU
ILLE ADIUVET DE ILLU REBOTTU
QUI MAL CONSILIU MISE IN CORPU
QUESTA CARTA È DI CAPOCOTTO (soprannome di Micciarello)
E GLI DIA AIUTO CONTRO IL MALIGNO
CHE UN MAL CONSIGLIO GLI MISE IN CORPO
(B. Migliorini)
Con il testo che sto per mostrare usciamo dall’ambiente profano per entrare in quello sacro, per la precisione entriamo nella Basilica di San Clemente a Roma. In un’iscrizione muraria dentro un affresco risalente alla fine del XI secolo. È conosciuta con il nome di Iscrizione di San Clemente e può essere considerata quasi un’ antenata degli attuali fumetti.
La scena dell’affresco ritrae un episodio della vita del santo in cui il pagano Sisinnio, convinto che Clemente lo abbia stregato per insidiargli la moglie, devota al santo, ordina ai propri servi di catturarlo.
In realtà questi, nell’illusione di aver arrestato Clemente, si trovano a legare e trascinare delle pesanti colonne, che ai loro occhi hanno assunto le sembianze del santo.
La scena è incorniciata da iscrizioni in un italiano antico in cui si riconoscono tratti tipicamente romaneschi. In particolare San clemente si esprime in latino, mentre Sisinnio, Albertello e Gosmario usano il volgare.
Il testo recita:
SISINIUM: “FILI DELE PUTE, TRÀITE”.
GASMARIO: “ALBERTEL, TRAI”
“FÀLITE DERETO COLO PALO, CARVONCELLE”
SAN CLEMENTE: “DURITIA(M) CORDIS VESTRI(S),
SAXA TRAERE MERUISTIS”
SISINNIO: “FIGLI DI PUTTANE, TIRATE”
GOSMARIO: “ALBERTELLO, TIRA”
“FATTI DIETRO COL PALO, CARBONCELLO”
SAN CLEMENTE: “PER LA DUREZZA DEL VOSTRO CUORE
AVETE MERITATO DI TRASPORTARE UN SASSO
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