Dame e pistole
Aprile. Anno del Signore 1514
Notte stellata spagnola sopra. Luci del castello a delinearne le forme, sotto. Un’ora circa di volo dalla base della Serenissima di Gibilterra.
L’agente Atena fece segno al pilota di scendere di quota. Appesa sull’altra ala dell’ornitottero, quasi tutt’uno con la notte per via del costume nero, l’agente Artemide fece segno col dito di essere pronta.
Tuffo nel vuoto col rallentacadute, centro perfetto sugli spalti della torre est. Le sentinelle, con lo sguardo volto al di là del fossato, non si accorsero che l’attacco proveniva da dietro, silenzioso e nero come le tele dei rallentacadute e le maschere delle agenti. Un paio di colpi di kungfu e tonfi.
«Buonanotte amigos. Sogni d’oro per un paio d’ore» bisbigliò Atena.
Giù per le scale e via per i corridoi, sicure per aver imparato a memoria ogni angolo del castello e le abitudini degli armigeri della Duchessa.
Artemide si tenne pronta con l’archibugio a mitraglia. Atena sfoderò la spada. Le sentinelle del dormitotorio alzarono le mani.
«Dentro!» intimò Atena.
Varcata la porta, Artemide urlò: «Sveglia, dormiglioni!»
Gli assonnati soldati, destati di soprassalto, fissarono le canne dell’arma, che un attimo dopo sparò a raffica sopra le loro teste. Gli sgherri conoscevano bene quell’artifizio e si arresero.
Le due agenti chiusero a chiave il dormitorio e corsero lungo il corrodoio.
La camera della Duchessa era piantonata da due omoni dall’aria allarmata per via dei colpi uditi poco prima. Alla vista dell’arma di Artemide, gettarono le alabarde e alzarono le mani.
Le agenti li abbatterono con un paio di calci e irruppero nella camera della Duchessa.
La nobildonna era in piedi, altezzosa anche se in camicia da notte. L’affiancavano due dame di compagnia dall’aria impaurita.
«Non temete, fifone, porteremo via solo la vostra padrona» consolò Atena.
«State tranquille, mie fedeli» aggiunse la Duchessa «le bandidas, non vanno in giro con artiglierie simili. Sono agenti italiane. La Serenissima Repubblica Unita scomoda le sue spie per rapirmi, molto lusingante. Ha le finanze in deficit e vuole il riscatto per la mia nobile persona?» si fece una risatina.
«Spie? Brutta parola, collega!» ribatté Atena.
«Allora conoscete la mia seconda attività. Quale onore!» fece un sorriso storto.
«Poche storie e andiamo, Duchessa. Vi aspetta un bel voletto» Artemide agitò l’archibugio.
Un attimo dopo, un botto, e l’arma le venne strappata da un proiettile. Una delle dame impugnava uno strano archibugio corto, ancora fumante. Dalla manica dell’altra sbucò un arnese simile e anche da quella della nobile spia spagnola.
«Pistola» dichiarò la Duchessa, «dalla vostra città Pistoia. Un’invenzione sempre toscana ma non di Don Leonardo de Vinci. Ho personalmente rubato io il progetto allo sconosciuto armaiolo.»
Tacque osservando le due prigioniere, nude, schiena contro schiena su sedie e immobilizzate da una catena avvolta attorno ai loro corpi. Vestiva ora elegante, con tanto di mantiglia.
«Un’arma più adatta a noi donne, contrariamente a quell’affare goffo leonardesco, poco nascondibile. Le mie pistoleras indossano ora i vostri costumi da gatte nere.
Vi prometto che i miei soldati se ne staranno là fuori e i loro occhi cristiani non vedranno le vostre nudità» Indicò la porta della stanza con un dito. «Non vedo l’ora di imbarcarmi sulla macchina volante assieme alle pistoleras che gli aeronauti scambieranno per voi.
Una mascherata alla veneziana fino a Palma di Maiorca, dove il Doge ci attende alla vostra base navale per interrogarmi personalmente. Sorpresa! Fuori le pistole, bang bang e adios, Dogetito!»
Alzò la mantiglia svelando una fondina assicurata alla spalla da cui sfoderò la corta arma, aggiungendo: «Su quale torre è l’appuntamento con l’aeronave? E a che ora? Agente Atena, o canti adesso o sparo alla tua amica.»
Al silenzio di Atena, la Duchessa alzò la pistola e prese un fazzoletto.
«Vorrà dire che asciugherò le tue lacrime e poi ti torturerò.»
«E sparate!» esclamò Artemide. Immediatamente dopo, sputò il grumo di resina che teneva in bocca, colpendo il dito della Duchessa sul grilletto prima che avesse preso la mira.
Il colpo partì colpendo un anello della catena, che cadde per terra. Libere e nude, come due Veneri dal mare, le agenti saltarono addosso all’esterrefatta Duchessa.
Una colluttazione, un groviglio di mani e gambe. I gemiti soffocati della nobildonna impedita a chiamare aiuto, prima dalla mano di Atena premuta sulla bocca, poi dal proprio fazzoletto cacciatovi dentro e fissato dalla mantiglia annodata dietro la nuca.
Artemide ruppe il silenzio bisbigliando: «Tienila ben ferma, che la lego come uno stambecco dei miei monti col cordame della tenda. Meriterebbe la catena, ma peserebbe troppo.»
Non appena la prigioniera fu immobilizzata, Atena le sussurrò nell’orecchio: «La torre ovest, tra un quarto d’ora. Ma le vostre pistoleras le lasciamo a terra.»
Artemide tolse la fondina dalla spalla della prigioniera e l’assicurò alla propria. Vi infilò la pistola accanto ai comparti per polvere e pallottole. Sollevarono di peso la Duchessa.
«Non ho nessuna voglia di farmi vedere nuda da quei maschiacci là fuori» dichiarò Atena. «Fuggiremo dalla finestra.»
La Duchessa spalancò gli occhi dal terrore e si lamentò dietro il bavaglio.
«Avete paura di cadere giù? Chiudete gli occhi e abbiate fede, senora!» schernì Artemide.
Fissarono la catena alla colonna della bifora. Si calarono sul balcone di sotto tenendosi con la destra e stringendo la prigioniera con la sinistra. Uscirono in un corridoio.
Il castello era sveglio ora. Passi di uomini in marcia davanti e dietro. La fine! Forse no; tra i due drappelli di soldati entrati in scena, un provvidenziale tendaggio come nascondiglio. Rumori di ferraglia dall’altra parte del sipario, la fatica per tenere ferma la prigioniera che si agitava e mugolava in cerca del soccorso tanto vicino.
La paura dei coraggiosi, mentre il pericolo si allontanava in marcia. Via libera di nuovo, col fardello vivente sulle spalle, come due sobrie contadine brianzole col sacco del raccolto.
Liete per la rinata speranza, salirono per la torre. Problemi: tre soldati in agguato, uno con l’archibugio a mitraglia di Artemide. Parlavano della fuga delle prigioniere e della necessità di abbattere l’aeronave per impedire il rapimento della senora. Avevano azzeccato la torre giusta, dannata sfortuna!
Al rumore di mulini a vento e sbuffi di vapore sopra di loro, l’attenzione dei soldati si rivolse verso il cielo. La nave volante era un’ombra ancora più nera della notte. Ora o mai più! Le furie nude sbucarono da dietro; Artemide puntò la pistola, Atena distribuì colpi cinesi.
Urli e tonfi, mentre la nave fluttuava sulla torre e una rampa veniva abbassata. Prigioniera e archibugio multiplo in spalla, salirono a bordo. Mentre la nave si involava, le pistolere uscirono sulla torre. Spararono, ma i colpi rimbalzarono sulla rampa appena chiusa.
Il vecchio Doge fece un inchino davanti alla Duchessa, in piedi tra Atena e Artemide, ora vestite. La sconfitta dell’aristocratica spia spagnola era sul volto, rigato da lacrime.
«Ecco la preda, Eccellenza» dichiarò Artemide. «È vostra per un po’. Dopo, però, vi prego di ridatemela, la vorrei con me per sempre.»
La Duchessa la guardò con aria spaventata.
«Cosa credete, Duchessina, che Sua Eccellenza vi voglia come dama di compagnia e io come ancella? È della pistola che sto parlando. La preda di maggior valore.»
«Inventata in Italia, ritorna in patria» declamò il Doge. Con aria paterna, aggiunse: «Rimanderemo in patria anche voi, Duchessa. Ma prima dovrete bere l’elisir cinese della verità e rivelare tutta la rete spionistica spagnola nei possedimenti della Serenissima Repubblica. È gustoso, senora. Sa di vaniglia.»
Di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo Il volo del Leone dello stesso autore, edito da Delos Digital in ebook e BMS in versione cartacea per le edicole.
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