Colazione: una fame da lupi!

Dante sbuffò così forte da farsi venire le guance rosse. Era un’altra delle sue giornate storte. Una delle tante da quando aveva fatto rientro da Villa Abaste. Il sole era fermo dietro il vetro della finestra alle sue spalle, nella Sala Comune dell’Accademia.

D’istinto posò il cucchiaio nella tazza del latte e l’allontanò da sé.
Quella sequenza lo portò indietro nel tempo, un tempo di centomila vite fa. Un tempo sospeso nell’incertezza della sua cicatrice, dove il Primo Buio non lo aveva ancora sfiorato e il suo destino era tutto da scrivere.

Oggi, il suo destino era scritto con il sangue delle persone che più aveva amato. Si alzò nevrotico imboccando la porta della sala come una furia. Nell’uscire urtò qualcuno, qualcuno di troppo magro: le sue ossa spigolose lo colpirono come fiocine.

Dante proseguì incurante. I suoi occhi erano troppo gonfi da giustificare con la sonnolenza mattutina. Gettò soltanto un’occhiata all’individuo troppo magro: un altro salto indietro nel tempo, un’altra risata spenta dagli scagnozzi dell’Ombra. Era Rufus, il suo maggiordomo. Il fido di Zia Mafalda.

Dante accelerò il passo, gli occhi sempre più gonfi e rossi. L’uomo brontolò qualcosa ma la sua voce si smarrì tra le crepe del muro. Dante decise di rifugiarsi in Biblioteca, uno dei pochi posti al mondo ancora in grado di risollevargli il morale. Doveva leggere qualcosa, qualunque cosa.

Doveva estraniarsi dalla realtà e indossare i panni di qualche valoroso eroe senza macchia, un eroe che non avesse smarrito la via. La Biblioteca era stranamente vuota quella mattina.

Il giovane seguì il suo solito iter tra colonne, tavoli e scaffali senza però sedersi alla solita panca. Quella colazione gli aveva ricordato di una promessa fatta a se stesso molto tempo addietro, di un’inchiesta rimandata troppo a lungo: leggere il libro di Rufus. Impiegò quasi tre quarti d’ora per scovarlo incastrato in mezzo ad altri Bestiari in uno dei soppalchi dell’immensa Biblioteca.

Quando l’ebbe tra le mani, Dante accarezzò la copertina del libro come fosse un cucciolo bisognoso d’affetto. Scivolò seduto con la schiena poggiata allo scaffale. Lo stomaco brontolò di protesta: aveva ancora una fame da lupi!

Gli tornò alla memoria un pomeriggio di quando era piccolo, nel cortile di Villa Agata, con il nuovo maggiordomo dal buffo accento inglese che lo rincorreva per costringerlo a sedere con la zia e le sue amiche all’ora del tè. Aprì il libro. Iniziò a scorrere voracemente l’indice con lo sguardo.

D’improvviso, però, lo richiuse. Era da maleducati? Era giusto spiare dentro quelle pagine? Rufus non gli aveva mai voluto raccontare nulla della sua storia. Tutt’altro: l’uomo era gratuitamente bisbetico quando si trattava del suo passato.

«Soltanto una sbirciatina…» si disse Dante, e la curiosità vinse sull’esitazione.

 

 

Alcuni frammenti da:

Le ultime Lune di Settembre                                                                                                            – Il Bestiario di Aberdenia –

E.J.G.
Biblioteca Privata – Accademia dell’Orologiaio                                                                                            1951 – Ignoto

/ Il bambino cresce in salute e con una forza ragguardevole. Pare guadagnare un centimetro al giorno: ormai supera il mio ginocchio e trasporta il doppio dei ciocchi di legno che riesco a trasportare io. La nutrice dice di non affezionarsi, che il bambino presto tornerà tra la sua gente, ma la verità è che è già troppo tardi. /

/ Oggi Rufus è tornato a farmi visita di nascosto: portava bacche, castagne e due grosse ferite al collo. /

/ Sono settimane che Rufus non fa ritorno a Veldia. La nutrice si è ammalata: pare debba passare in eredità il suo amuleto. Mi è stato riferito, in tutta riservatezza in vero, che senza una nutrice degna la gente di Veldia potrebbe diventare carne da macello. Mi domando, e non sono l’unico, quella sfacciata di Basilea, sarà in grado di reggere il paragone? /

/ Dopo molte lune finalmente sono tornato all’insediamento dei mannari. Basilea si sta rivelando più preparata di quanto pensassi. La vita nel branco deve essere difficile. Gli altri mannari non vogliono che Rufus “umanizzi” troppo. Basilea è d’accordo con gli Anziani. Sono stati sanciti nuovi patti. Questi patti riguardano anche il sottoscritto: mi permetteranno di stilare una lista delle Famiglie dei Mannari. Sono euforico. /

/ Ho scoperto che Rufus non è l’unico mutaforma. Sono quattro i terzogeniti nati sotto la Luna di Settembre. Il quinto è in arrivo tra due mesi. /

/ Basilea non produce più latte. Il villaggio è in subbuglio. La gente è isterica. L’Anziano dei Primer ha revocato il mio permesso di visita al campo. Rufus è impotente di fronte alle leggi del Clan. /

/ Oggi un mannaro si è fermato al fiume-confine. Non era Rufus. Era una femmina. Il Capo Villaggio ha mandato me: pare che adesso sia io il loro esperto di bestie. La mutaforma era Glomilde. Nonostante ci conoscessimo già, la mannara ha insistito per presentarsi di nuovo:

«Sono Glomilde, il nuovo capobranco…» mi ha detto, aggiungendo: «… la compagna di Rufus. O la vostra razza ci fornisce una nuova nutrice per i nostri cuccioli o i nostri cuccioli si nutriranno con la vostra razza. Onorate gli antichi patti. Onorate il medaglione!» Non ho avuto modo di controbattere parola. /

/ E’ il caos. Il cucciolo di mannaro, o più precisamente il neonato, è morto. Basilea ha lasciato Veldia. /

/ Se fosse stato in mio potere, stamattina avrei impedito al sole di sorgere. Al fiume-confine abbiamo ritrovato l’amuleto dei mannari… con ancora la testa di Basilea attaccata. /

/ Non ci sono nutrici. Nessuna giovane del villaggio accetterà mai l’incarico. I mannari hanno dichiarato guerra. /

/ Forse questa è l’ultima notte della mia vita. Sento gli ululati sempre più vicini. /

/ Se sono vivo lo devo soltanto a lui. E’ conciato male; ma non sono le ferite a preoccuparmi. Rufus ha tradito la sua gente, ha ucciso due suoi simili per proteggermi. Uno era un mutaforma come lui. Credo che questa ferita non si rimarginerà mai. Veldia è persa. Ci stiamo recando ad Aberdenia, la capitale. /

Dante chiuse di nuovo il libro. Pochissime volte in vita sua aveva deciso d’interrompere una lettura. Solitamente era la noia a costringerlo.

Questa volta, invece, un altro sentimento pose il freno alla sua instancabile curiosità. Dentro di lui uno strato di polvere ricoprì tutta la bellezza di quel mondo nascosto tra la foresta dei mannari, il fiume-confine e la capitale.

Dante aveva già conosciuto la gentilezza e le premure dell’uomo, così come la ferocia assassina della bestia.

Il ragazzo conosceva benissimo la disperazione velata nello sguardo di Rufus. Non c’era ragione per continuare quella lettura. Dante andò verso una delle grandi finestre della Biblioteca. Poggiò una mano sudaticcia al vetro freddo. Fuori non c’era più il sole, era calato il buio.

Neanche la luna s’era affacciata quella sera, soltanto il buio. Dante lo sapeva, però, che il sole sarebbe tornato da lì a poche ore.

Rufus

SCHEDA PERSONAGGIO: RUFUS LONGCLAW / IL FULVO

 

Libro di appartenenza

“Le ultime Lune di Settembre”

-Il Bestiario di Aberdenia-

E.J.G. – Ignoto – 1951

 

Associazione

Nessuna

 

Arma / Talento

Artigli e Zanne

Mutaforma Mannaro dal pelo granata

 

Caratteristiche

Fedeltà – Nobiltà d’Animo – Sarcasmo

 

Hobbies

Rufus è il fedelissimo maggiordomo di Madame Mafalda, i suoi hobby sono i voleri della sua padrona

 

estratto da: Il Mutafavole e l’Ombra del Primo Buio

«Rufus era il maggiordomo di zia Mafalda. Un perfetto gentleman britannico tutto fare. Dall’aspetto impeccabile, l’uomo, sotto i quarant’anni, aveva un’allure fiera e orgogliosa. Molte donne in città lo rincorrevano senza risultato: oltre a essere di bell’aspetto, difatti, Rufus, era rinomato per il suo carisma e la devozione alla famiglia di Dante.»

 

cit. di Rufus, da: Il Mutafavole e l’Ombra del Primo Buio

«Tu non sei solo pivello, ci sono qui io. C’è tua zia e l’Orologiaio. C’è l’Accademia e Gae con tutti gli altri Guardiani. Nessuno permetterà mai che ti accada qualcosa di male. Io non lo permetterò!»

 

Approfondimenti

estratto da: “Le ultime Lune di Settembre – Il Bestiario di Aberdenia”

«Sei forte di stomaco, giovanotto?» Mi domandò la donna del villaggio di Veldia, quello di là del fiume-confine, dopo aver accettato la mia sacca di monete. Io le feci cenno di sì col capo; ma ero ancora ingenuo, inesperto sulle Terre dello Scirocco. Iniziai subito a prendere note sul mio taccuino, ma l’esperienza di quella notte non trovò spazio tra le pagine dei miei appunti.

Ancora oggi ho difficoltà a trascrivere quello che vidi. Ad accompagnare la nutrice c’erano due giovinette, una delle quali molto silenziosa. L’altra, invece, aveva una lingua decisamente vivace e non perse occasione per importunarmi. Le mie attenzioni, tuttavia, erano riservate soltanto alla donna del villaggio di Veldia. A lei e a quel mistico medaglione che le permetteva di camminare indisturbata tra i lupi mannari.

«Proteggerà anche noi?» le domandai d’istinto una volta superato il ponte, appena i miei occhi si posarono sul folto della foresta.

«Finché resterai al mio fianco, sì. I mannari ci rispettano, ci sono patti antichissimi tra la mia gente e loro.» Mi sembrò sincera. 

«Io non mi preoccuperei di essere morso, sai…» s’intromise l’apprendista della nutrice, quella dalla lingua lunga e pungente.

«Taci!» disse la donna. E la ragazza s’ammutolì con le guance rosse dalla vergogna. Arrivammo al delimitare della foresta con la luna già alta e tonda nel cielo. Aspettammo un po’ ad entrare: ci stavano osservando. Una volta superata la prima schiera d’alberi mi ritrovai d’avanti ad un paesaggio opprimente: foglie e fusti a perdita d’occhio, neanche un sentiero o un tetto di una casupola all’orizzonte.

Anche la luna faticava a farsi largo tra i rami. La nutrice ci dispose in fila ordinata, intimandoci di seguirla in silenzio: il suo passo era certo e impavido, come se seguisse un percorso invisibile. Camminammo per non meno di mezz’ora, fin quando, all’improvviso, giungemmo in una radura.

C’erano una dozzina di baracche in legno e pietra disposte in semicerchio attorno ad un pozzo. Alcune di quelle baracche avevano il caminetto, ma nonostante il primo freddo, quei caminetti erano tutti spenti. Quel posto poteva assomigliare a un normalissimo villaggio, un insediamento di boscaioli, ma non c’era traccia d’uomo in quella terra. Ed ecco il motivo della mia presenza.

La nutrice ordinò all’apprendista più schiva di riempire il secchio d’acqua al pozzo e all’altra di preparare le bende e le lenzuola pulite. D’un tratto il villaggio si popolò: grossi lupi, retti sulle zampe posteriori, fecero capolino dal folto della foresta. V’erano di ogni taglia, forma e colore; uno addirittura risplendeva d’oro. Io non avevo mai visto un mannaro da vicino e nonostante la mano tremante, riuscì a farne diversi schizzi sul mio taccuino. Il branco restò a distanza ad osservarci, guardingo.

Dal mezzo delle zampe di un lupo di media taglia spuntò una bambina dai capelli scuri e crespi. Era vestita della sua sola pelle e aveva mani e piedi neri, come se avesse corso a quattro zampe per la foresta. Sono certo, con la maturità di oggi, che l’aveva di certo fatto quella notte stessa prima del nostro incontro. La nutrice ci ordinò di seguirla in una baracca.

Lì dentro mi attendeva l’esperienza forse più traumatica di tutto il mio viaggio. All’interno della struttura c’erano due lupi: uno grosso col pelo rossastro e un altro più minuto e dal pelo marrone. Quello più piccolo giaceva sofferente a terra, sembrava malato, e aveva il respiro affannato. L’altro, invece, gli teneva il muso appoggiato sulla testa, come a proteggerlo e rincuorarlo.

«Co-cosa siamo venuti a fare noi qui…?» Ebbi io stesso timore a formulare quella domanda. Le mie monete avrebbero dovuto pagare un giro tra i mannari, niente di più. La nutrice m’ignorò, già all’opera sul mannaro di piccola taglia. E così la giovinetta vispa non perse l’occasione per destabilizzare la mia risolutezza.

«Siamo qui per far partorire la mannara e allevare il suo cucciolo. E’ Settembre e c’è la luna piena. Questo è il suo terzo cucciolo.» Io rimasi perplesso. Di pietra. Quelle informazioni erano prive di significato per me. E la giovinetta se ne accorse.

«Sei qui da poco, eh, scribacchino! Hai mai visto una lupa partorire un bambino?»

 

 

Racconto inedito ispirato a Rufus Longclaw, personaggio de “Il Mutafavole e l’Ombra del Primo Buio” di Antonio Carmine Napolitano

di Antonio Carmine Napolitano

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