Che paura
CHE PAURA
Fui molto contenta quando Giovanna, la mia compagna di banco, mi invitò ad andare a casa sua per stare un giorno insieme. Fino a quel momento era sempre venuta lei a casa mia, e io non capivo perché non potevo andare da lei.
Scelse un sabato, così potevamo giocare più tempo senza problemi. Il giorno dopo era domenica, quindi eravamo libere da compiti e di far tardi la sera.
La mamma mi accompagnò appena uscite da scuola. Lei abitava un po’ lontano dal centro della città dove invece abitavo io. La sua casa era grande e molto bella, anche se si trovava in campagna.
Era una specie di piccolo castello. Una costruzione quadrata, con una piccola torre in un angolo. I muri erano in parte ricoperti da piante rampicanti, un edera che si allungava fino alla cima della torre che era il punto più alto.
Mangiammo nella sua cucina, molto ampia. Una delle pareti era occupata da un grande camino. Noi bambine ci entravamo in piedi.
Dopo mangiato salimmo in camera di Giovanna per giocare. In principio tutto filò liscio. Ci stavamo divertendo tantissimo con le sue bambole.
Aveva una bella collezione, tutte molto belle e ben tenute.
Stavamo giocando, quando ad un tratto, sentii dei rumori strani provenire dal soffitto. Mi guardai intorno, guardai lei, ma vidi che non si era mossa per niente.
“Va bene – mi dissi – forse sopra ci sono altre stanze e qualcuno sarà salito”. Passarono pochi minuti, e questa volta il rumore fu più forte. Come se qualcuno stesse spostando dei mobili trascinandoli per terra. Fu molto forte, tanto che sobbalzai.
Guardai di nuovo verso la mia amica, ma anche questa volta non si era mossa. Era impossibile che non avesse sentito quel rumore, non pensavo che fosse sorda.
Giovanna – dissi allarmata – non hai sentito anche tu un rumore in soffitta?
In soffitta? – mi rispose lei tranquilla – non c’è una soffitta.
Questo dove siamo adesso è l’ultimo e unico piano.
Non credo che mi sono sbagliata – risposi indispettita –, ho sentito anche prima dei rumori provenire proprio da sopra.
Dai, – rispose lei sorridendo – non metterti a fare l’offesa adesso, ti credo. Può darsi che hai sentito dei rumori, ma non devi farci caso, succede di udire a volte questi rumori, la casa è molto vecchia, ormai io non ci bado più.
La mamma mi ha raccontato che, in un tempo molto lontano, in questa specie di castello viveva una famiglia nobile. Per le sfortune che spesso succedono nelle famiglie, la casa è stata abbandonata e si narra sia rimasto intrappolato qua dentro lo spirito di uno degli ultimi abitanti la casa.
Vuoi forse dire che esiste un fantasma?
Credo di sì, io non l’ho mai visto, ma i rumori sì, di tanto in tanto, li sentiamo.
Succede, quando c’è una persona estranea in casa. Per questo motivo la mamma non vuole che io inviti amiche a casa; dopo un po’ scappano tutte piene di paura. Non vorrai scappare anche tu, spero. So che tu non hai paura, si tratta solo di una leggenda.
Le sue parole non mi rassicurarono per niente. Ero entrata in una spirale di paura. Tendevo l’orecchio continuamente, se sentivo altri rumori, smisi di giocare e passai il tempo a stare attenta al minimo suono.
Sembrava si fosse allontanato, non sentivo niente più.
Mi stavo pian piano calmando, quando all’improvviso mancò la luce. Restammo al buio, non si vedeva molto.
La luce che filtrava da fuori era insufficiente ad illuminare la stanza.
Nella penombra mi sembrò di vedere svolazzare qualcosa di bianco. Per poco non urlai dallo spavento. Riuscii a trattenermi giusto per educazione e anche per non passare per una fifona.
Mi alzai per seguire quello che mi era sembrato un lenzuolo da fantasma.
Possibile che esisteva davvero, o mi ero lasciata influenzare dalle parole della mia amica?
Cercai di farmi forza e reagire, ma nel vano della porta, quella che dava sulle scale, apparve in tutta la sua spaventosa figura, il fantasma! Era gigantesco!
Questa volta non potei evitare di strillare in preda al terrore. Cacciai un urlo che risuonò sinistro per tutta la casa. Avevo davanti a me, a pochi metri, un grosso lenzuolo che era più grigio che bianco.
Al posto degli occhi aveva due punti rosso fuoco. La bocca era un grosso buco nero. Da sotto la stoffa, all’altezza delle mani che non aveva, usciva una pesante catena e alla fine della stessa c’era attaccata una grossa palla di ferro, nera. Il rumore della catena che strusciava per terra era terrificante. Una risata echeggiò nello stretto spazio della camera mettendomi i brividi addosso.
Volevo scappare, ma al buio non sapevo dove mettere i piedi. Rimasi ferma dov’ero, rannicchiandomi contro il muro.
Quella visione restò vagando nella stanza per cinque lunghissimi minuti, non toccava per terra. Volteggiava come una foglia portata dal vento. Per fortuna dopo poco tempo tornò la luce e nella stanza scomparve tutto. Era tornata di nuovo una semplice stanza di una bambina, con le pareti dipinte di rosa, il letto a castello e la scrivania dove stavamo giocando.
Mi voltai verso Giovanna per chiedere spiegazioni su quanto era accaduto, ma non la vidi, sembrava scomparsa insieme al fantasma. Ancora più impaurita mi alzai e volevo scappare. Avevo la sensazione di aver fatto la pipì addosso, troppa era stata la paura.
Stavo per scendere le scale, quando dalle stesse vidi salire la mia amica con un vassoio di dolcetti, seguita da un ragazzo, seppi in seguito, che era suo fratello. Ridevano, vennero su in camera e prima che io potessi dire qualcosa, posarono il vassoio sul tavolo.
Solo allora mi accorsi che era dolcetti tipici di halloween. Alla vista di quei dolci mi venne un dubbio, “vuoi vedere che questi due mi hanno combinato uno scherzetto”. Li fissai a lungo in faccia per vedere la loro reazione.
Non ressero a lungo il mio sguardo severo. Scoppiarono in una grossa risata. Non riuscivano a contenersi, si rotolavano per terra in preda ad una crisi di riso. Alla fine non ressi nemmeno io e mi unii nelle risate. Davvero un gran bello scherzo.
Mi ero proprio dimenticata che erano i giorni di Halloween, quando finimmo di ridere attaccammo a mangiare i dolcetti che la madre di Giovanna aveva preparato per l’occasione.
La mamma venne a prendermi che era quasi sera. Presi le mie cose e ringraziai la madre di Giovanna per avermi ospitato.
Alla fine mi ero calmata, ma la paura me l’ero presa sul serio. Mi ripromisi di non tornare più in quella casa specie nei giorni di Halloween.
Ancora però non mi spiegavo come avevano fatto a far apparire quel fantasma, sembrava molto realistico. Le catene, il lenzuolo che non toccava terra, era tutto così fatto bene che non pensai fosse possibile architettare una cosa del genere.
Solo molti giorni dopo, Giovanna mi spiegò il trucco. Si trattava di un filmato, perciò avevano tolto la luce; per poterlo proiettare. I rumori erano stati registrati e poi trasmessi ad alto volume. Era stato il fratello che era bravo con quel genere di cose.
Per una volta non avevo partecipato al consueto rito di andare porta per porta a chiedere “ dolcetto o scherzetto”. Lo scherzo lo avevano fatto a me ed era anche perfettamente riuscito.
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