Ballata Kadosh

Ballata Kadosh è la storia di un viaggiatore di mondi. Nathan è a tutti gli effetti un Demiurgo, anzi, un Demiurgo ben preciso: Eloha Vah Daat, l’ipostasi che risiede nella sephira di Tipheret.

Questa storia nasce abbracciando l’idea più complessa della cimatica. Gli esperimenti di cimatica si rifanno a quelli compiuti da Hans Jenny con alcuni mantra sanscriti.
Stando ai risultati ottenuti (su internet si trovano diversi video) attraverso un oscillatore ad alta frequenza, alla pronuncia di determinate sillabe la sabbia, posta su un piano di acciaio sotto l’emettitore, si “organizzerebbe” formando segni in tutto e per tutto identici ai corrispondenti mandala.
Un’idea simile è alla base delle teorie del più famoso Masaru Emoto sull’acqua e il sangue.

Sulla scia di queste scoperte, nel 2008 un team di scienziati dell’università di Toronto ha tentato un esperimento simile vocalizzando le lettere dell’alfabeto ebraico: il risultato furono dei segni simili alle lettere del protocananeo sinaitico, un alfabeto risalente al 1500 avanti Cristo, padre del successivo ebraico.

Io ho ripreso il cammino sulle orme di queste prove scientifiche e ho creato il potere dell’ocarina ricordando quello del pifferaio magico, con la sola differenza che lo strumento di Nathan non emette suoni udibili ma frequenze che vengono tradotte in parole dall’orecchio umano, parole alle quali non si può disubbidire.

I passaggi di ogni lettera ebraica, invece, sono ispirati al significato della lettera stessa. Per fare questo mi sono documentato dal libro “L’alfabeto ebraico”, di Gabriel Mandel, e poi ho aggiunto un po’ di mio.

Ballata Kadosh (Ballata Sacra)

Âlef א

Mi chiamo Nathan.

Mio padre voleva che seguissi le sue orme nel cammino della scienza, ma io ho scelto la vita d’artista. Mio padre ha fatto in modo che le due cose potessero andare a braccetto.

 Da molti anni vagabondo tra popoli ignari e con l’ocarina suono melodie che giungono come canti. Il figlio d’arte ringrazia la tecnologia per lo strumento creato. Dove l’orecchio ascolta parole, in realtà giungono note silenziose di un’altra era e di un altro mondo. Le prime lettere.

Non è facile comporre nel limbo del nulla, ma io sono bravo. Solo lo spazio è testimone del mio passaggio, là dove le odi incidono leggeri solchi nella sabbia, parole che nessuno sa leggere e cancellate in breve tempo dal vento. O dal soffio divino, se preferite.

Un’ocarina d’oro dai simboli arcaici e ignoti circuiti di rame celati all’interno uniti a particolari minerali, insieme, costituiscono lo strumento più potente del pianeta. Io mi diverto a suonarlo e dico alla gente cosa è giusto fare.

Che tutti sappiano, perché io ve lo canto.

Che tutti dimentichino, perché io vi comando.

In principio fu la nota, poi due e poi tre, poi altre. Tutte insieme per la musica mistica.

Forse avrei voluto una fine diversa, ma la brama di potere annebbia la vista e offusca la mente.

L’umile artista diventa l’avaro intoccabile.

Questa è la mia storia, conosciuta da tutti.

Questa è la mia storia, dimenticata da tutti.

Che Dio mi perdoni.

L’ocarina canta.

Sîn ש

Oh, quale danza della natura, vederne i figli seguire attenti la mia ballata.

Gli usignoli, i pettirossi, i cervi e gli scoiattoli. Uno dietro l’altro arrivano.

I pesci del fiume saltano fuori tra perle di luce e arcobaleni prismatici.

Che tutti sappiano con quanta fatica ho trovato la chiave, perché io ve lo canto.

Difficile da descrivere, faccio prima a suonarlo. Le foglie gioiscono e i girasoli mi osservano.

Che tutti ricordino il giorno in cui Adamo ho incontrato, perché io vi comando.

Da giorni viaggio, di fame soffro e a stento mi sostengo, ma egli non vuole dividere l’ultima mela dell’albero.

Che essere vile, troppa grazia mezzo frutto, decido che l’avrò tutto.

Eppure con l’uomo un po’ di fatica la faccio.

L’innocenza animale in Adamo manca. Quale grande lacuna.

Un barlume di genio, la danza della serpe delle prime esperienze, quella nota particolare che acceca la mente. La lingua madre.

Shèket, per tre volte ripeto.

Lo sventurato non trova alcuno scampo, ormai in ginocchio implorante pietà.

Adamo è domato ed è ormai un grande amico.

Che tutti dimentichino, perché io vi comando.

Oh, benedetta fortuna, che mano gentile quella da cui ricevo la mela. Il profumo del frutto proibito è nuova vita per tutti.

Che grande esperienza, ma non mi sento appagato. L’Eden non basta, cerco il mondo terreno e passo il confine.

Il viaggio riprende.

L’ocarina canta.

Bêt בּ

Oh, brava gente di Zevolòn, voi che passate la vita piegati su immensi campi a seminare e raccogliere, testimone di tanto orgoglio io sono.

Splendido villaggio di legno e paglia, dalla chiesa di mattoni rossi sul colle baciato dai raggi del Sole alle case clonate a forma di fungo dove intrepide massaie stendono i panni su tele di ragno, a te e al tuo popolo io dedico questo cantico.

Che tutti sappiano quanto ingiusto è stato l’attacco di Efrayìm, maledetta città di capitalisti e conquistatori, industria tecnologica il cui castello fantasma danza tra catene volanti come un albero si piega al tocco dell’ectoplasma virtuale.

Oh, brava gente di Zevolòn, che sfortuna trovarsi su un giacimento d’oro, lucente ricchezza, che mai potrà comprare la vostra felicità.

Che tutti sappiano, perché io ve lo canto.

Che tutti dimentichino, perché io vi comando.

Oh, brava gente di questa terra lontana, ascoltate queste note narranti. Esse non mentono.

Che perfidia aleggia tra quei popolani, che ogni cosa vogliono a sé. Quanta crudeltà verso i viandanti portatori di pace e amore, uccisi invece sotto atroci torture.

Amici di Efrayìm, per aver cancellato questo fardello e raccolto per me l’oro, io dico grazie.

Che tutti sappiano del vostro ardore nel cercar la ragione contro sì meschini esseri, porgete l’udito verso questa mia ode, tra note divine e melodie mai ascoltate.

L’ocarina canta.

Dàlet ד

Oh, quanto è bello il ricordo della città di Hamikdàsh, grande e lucente dimora di pescatori e mercanti. I fari e le torri, simbolo di grandezza, parevano toccare il cielo, perdendosi tra le nuvole.

Che tutti sappiano dei grandi vascelli, giunti da ogni dove per arricchire l’Impero.

Maledetto il giorno in cui il Sovrano recò visita. Per lui ci fu una grande parata, tra petali di rose e fuochi d’artificio, tra musiche bardiche e danzatrici del ventre.

Che disgrazia quando un giovane inciampò nelle sue regali vesti. «Da dove vieni, fanciullo?» gli chiese, con voce amorevole.

«Sono nato a Hamikdàsh, una decade fa», rispose il piccolo, con innocenza.

Oh, quanta insolenza in quella risposta sì irrispettosa.

Che tutti sappiano del tiranno che vi governa, di quanto spietato e vendicativo sia con il debole, perché io ve lo canto.

Quanti giorni è durato l’attacco delle fregate volanti, sfarzo dell’armata imperiale. Nulla poterono le difese cittadine contro queste balene alate, se non rallentare la fine. Quante lacrime versate, ma il Sovrano mi serve ancora, la città portuale, purtroppo, no.

Che tutti dimentichino la venialità dell’innesco, perché io vi comando.

Oh, che meschina gente, quella di Hamikdàsh, protettrice di viscidi sicari venuti dal lontano Est con l’intento di uccidere Sua Maestà. Quanta delusione per quella città dimostratasi infame. Quanta pena per dare il comando d’attacco contro l’amato popolo insorto.

Che tutti sappiano quanto ha pianto il suo cuore dopo la distruzione di Hamikdàsh, povero Sovrano.

La musica diventa verbo e al mio passaggio le volontà si piegano.

 L’ocarina canta.

Kaf כּ

Oh, città di Lamet, capitale dell’Impero. Quanto vicino è l’ambito trono.

Quante odi per i tuoi quattro distretti ho donato. Azilut, Beriah, Yetzirah, Asiyah, ultimi baluardi del castello sul colle.

La Luna alta splende sulle strade di pietra ed esorta a sbrigarmi.

Io più premura non ho. Il sovrano può attendere.

Che tutti sappiano che il nuovo Dio è sceso in terra, portatore di pace, perché io ve lo canto.

Lungo è il cammino che qui mi ha condotto, tra deserti di fame e tempeste furiose.

Oh, quanto sangue hanno visto i miei occhi, innocente linfa sacrificata per assetare l’artista.

Che tutti dimentichino, poiché solo il bene deve restare. Io vi comando.

Un grande giorno sarà domani, l’inizio di una dinastia, così io canto, e il mio regno non avrà mai fine. Preparate il banchetto, portate da bere e aprite le danze. Che nessuno abbia ad annoiarsi.

Oh, come cadrà il tiranno questa volta, danzando come una mosca al vento.

È quasi domenica e riposo sarà.

La fontana della piazza centrale è testimone del mio passaggio, la musica ha scritto il mio volere.

Ẹhyẹh.

Manca poco, ormai, ecco le scale che conducono al trono. Oggi non il Sovrano, ma una splendida visione mi attende.

Suono le mie note migliori e la chiamo a me.

Quale dolce sorriso, sarai tu la mia ancella e regina?

 L’ocarina canta.

Zaîn ז

Oh, Sarah, così bella e aggraziata, nessuno resiste al tuo fascino. La tua voce si sposa col suono della mia ocarina, il canto diventa anima.

Che tutti sappiano quanto ti ho amata, come sono caduto ai tuoi piedi.

Oh, vita ingiusta, ho passato i migliori anni della gioventù a fare del male, incurante dell’innocenza dei popoli. Quanta superbia nel decidere il giusto, quale affronto a Dio nel cercar più potere, il trono assoluto.

Che tutti sappiano della punizione inflitta, sotto veste innocente, da colei che mi ha rubato il cuore.

Oh, Sarah, angelo celato, resisterti è stato impossibile, l’ocarina non serve.

Padre, da te lo strumento supremo ho ottenuto, la tua mano ha dato conforto al mio udito, lo ha protetto da tanta potenza.

Mai avresti pensato che un giorno potessi incontrare qualcuno in grado di ignorare le tue difese.

L’arte divina vince la scienza.

Qui finisce la mia vita solitaria.

Nessuno saprà mai che ora suono per gli altri, non più per me stesso.

Difficile è, riparare il danno, ma io sono bravo.

 L’ocarina canta.

Gîmel ג

Oh, brava gente di queste terre, mi chiamo Nathan, anche se il mio nome presto dimenticherete.

Vagabondo in cerca di redenzione, perché ho peccato.

Se il male vi perseguita, chiedetemi di cantare un’ode alla vittoria, e i dominatori cadranno sconfitti, i più forti saranno i deboli.

Non ci sono imbrogli nelle mie sonate, nulla che possa essere raccontato. Solo la verità richiesta.

Io sono l’arte, ma l’ocarina è conoscenza. Mio padre ci ha unito, a lui dico grazie.

Prima ambivo al dominio. Lo so, era un motivo difficile, ma non impossibile.

Adesso devo seguire la voce di Sarah, il battito del suo cuore, il suo profumo di viola selvatica.

Che tutti sappiano quanto stupido è l’amore e di come la sua luce abbaglia la ragione, perché io ve lo canto.

Che tutti ricordino, perché io vi comando.

Un tempo gioivo di grassi peccati, oggi rivivo perché altri sensi ho scoperto.

La parola è tutto e l’universo piega.

L’ocarina canta.

Tâw תּ

Oh, il Sole sorge, un altro giorno concesso per chi deve espiare.

Il cielo blu notte pian piano schiarisce, tra pennellate di calendule in fiore.

La brezza porta fragranze salmastre che deliziano il gusto.

Che tutti sappiano della mia nuova dimora, perché io ve lo canto.

Oh, quanto forte e maestosa si erge a pochi passi dal mare.

Sebbene alla vista di canne e paglia è formata, non c’è orgoglio di drago che abbatterla possa.

La pesca, i frutti della terra e la mia amata Sarah. Di più non ho bisogno.

Che tutti dimentichino la mia ballata, lasciatemi in pace, perché io vi comando.

Un’ultima volta.

Sono un artista e non smetterò di sognare, ma ora vivo solo per lei e la creatura nel grembo.

Se mai un giorno qualcuno raccoglierà il mio strumento, oltre i confini del mondo dovrà gettarlo.

Mio padre è andato in cielo da molto, non garantisco per un altro genio che accudirà il vostro udito.

Qualcosa risponde con un cupo lamento.

Nuvole lontane presagiscono morte, ma non per noi, non finché suonerò in grazia di Dio.

Di tempo ne ho.

L’ocarina canta.

Racconto tratto dall’antologia “Mondi Perduti” di Ivan Bruno

di Ivan Bruno

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