La corazza della valchiria
Agosto. Anno del Signore 1528
Roccia brulla e rossiccia sotto un cielo blu cobalto. Da dietro un’altura sbucò un cavallo bianco montato da un guerriero. La corazza scintillava ai raggi del sole da Occidente. Il destriero si impennò, domato dalla persona che lo cavalcava: una donna dai capelli biondi raccolti in trecce.
L’immagine svanì e Gudrun si ritrovò nella sala del Proteus, con le mani appoggiate allo scudo con la scritta KNUD al cui centro era stato piazzato l’elmo con incisa la parola ODEN.
Fioravante tolse le mani dallo scudo e disse qualcosa. Artemide, Anna, Luna d’Argento e Gambadiferro restarono con le mani a contatto dei due talismani e risposero. Atena, che non faceva parte di quel rito, tradusse.
«Le immagini si fanno di giorno in giorno più chiare e non è soltanto perché siete voi sensitivi a evocarle. È quella donna che emana un fluido sempre più potente.»
Traduceva con la palese espressione di chi si sentiva esclusa da un’esperienza.
«Luna d’Argento conferma che quello strano posto non è in America.»
Fioravante pronunciò la parola ”Avalon” poco convinto anche lui. Poi Anna disse qualcosa.
«La novizia ha intuito che l’immagine è reale, ossia emana visioni che stanno accadendo ora. Quello che è incomprensibile è che il sole qui sta tramontando mentre in quel luogo è ancora alto nel cielo. Posso dire la mia anche se non mi godo questo spettacolo? L’amazzone di cui parlate si trova su un altro pianeta.»
La voce di Gambadiferro uscì da dietro l’elmo, metallica.
Atena espresse riverenza per quell’essere mentre traduceva.
«Negativo. Avete ”sentito” che anche in quel luogo il Nord è Nord e si trova sul nostro mondo.»
Gudrun ricordò un concetto dall’immagine. Un messaggio fievole. In latino, condivise le sue sensazioni con Atena.
«Se ritentiamo domani mattina sono sicura che comprenderò quello che la guerriera vuole dirmi.»
Il sole stava sorgendo e la seduta iniziò.
La visione era ora molto più nitida. L’astro era già alto e illuminava le rocce rosse e la guerriera a cavallo che ora, per la prima volta era in primo piano. Gudrun potè così notare le scritte in lettere latine sulla corazza: VALKYRIE. La donna aprì la bocca e disse qualcosa in danese.
«Venite all’Estremo Nord. Voglio unirmi a voi: la mia corazza, il vostro scudo e l’elmo, assieme, ci aiuteranno a varcare i limiti della sapienza, sciogliendo il nodo dei legami che ci limitano»
«Ha detto proprio così questa valchiria?» chiese Atena a Gudrun.
«La guerriera è umana. Solo la scritta indica che la corazza sia appartenuta a una valchiria. Non più di quanto l’elmo sia stato di Odino o lo scudo di Canuto. Il messaggio importante è che ha citato un nodo, come la scritta sullo scudo.»
La voce di Gambadiferro sentenziò qualcosa. Atena tradusse.
«La terra è rotonda e quindi all’estremo Nord il sole sorge prima e tramonta dopo. Quel luogo non si trova né in America né su un pianeta, bensì da qualche parte, in Norvegia.»
Sorvolando la costa frastagliata da fiordi, dove il verde dei boschi si alternava al blu dei laghi e del mare, quando ormai si stavano avvicinando ai limiti del mondo, il paesaggio rosso si delineò.
Atterrarono in quella landa dove il clima impediva la crescita di ogni forma vegetale. Il silenzio era totale. Quel luogo poteva veramente essere il paese delle Valchirie.
Un rumore di zoccoli si avvicinò. Tanti cavalli.
La guerriera sbucò dall’altura. Gudrun si immaginò altre amazzoni simili dietro alla duna rocciosa.
Una carica di cavalleria si riversò nell’avvallamento.
Gli elmi simili a maschere di uccelli celavano i volti, le sottane colorate erano spudoratamente corte e mostravano gambe pelose. I seni erano piatti. La donna della visione era l’unica senza elmo e le sue gambe nude erano glabre. Le donne senza seno li circondarono. Archibugi e balestre li presero di mira. Non avrebbero fatto in tempo a estrarre le armi.
«Perché questo agguato, valchiria?» domandò Gudrun.
La donna, palesemente a capo dell’orda, rispose in danese con accento un po’ cantato.
«Le valchirie fanno parte dei vostri miti barbari. Noi crediamo nella Dea celta Andraste.»
Urlò qualcosa in una strana lingua, che Fioravante fu l’unico sembrare comprendere, ora che palesava sorpresa e delusione.
Gli elmi avevano celato volti di uomini barbuti dalle cui bocche uscirono risate sguaiate.
La donna, con aria trionfante, declamò: «Il viaggio dalla Scozia per mare è stato duro. Ma il ritorno trionfante sulla vostra fantastica macchina nei cieli di Londra prenderà di sorpresa quella canaglia di Enrico Ottavo. All’inizio pensavo fosse soltanto un sogno, ma due mesi fa, consapevole che fosse reale grazie all’incontro astrale con altri sensitivi come voi, ho imbastito il mio piano. Siete cascati nella trappola.»
«Ti sei votata alla forze dell’Ombra, chiunque tu sia, usando il talismano» osò dire Gudrun.
«Questa corazza appartenne a Budicca, la regina britanna che si ribellò ai romani.»
«Non mi inganni: a te non sta a cuore l’orgoglio della stirpe celta, vuoi solo diventare sovrana d’Inghilterra. Adesso posso intuire le tue intenzioni.»
«Di Britannia, vuoi dire, Scozia, Caledonia che sia. Irlanda. Budicca Seconda, Regina dei Celti.»
«Vuoi ingannare questi prodi guerrieri che credono in te, usando la corazza di una vera eroina.»
«Basta, donna! Traduci e ordina a costoro di gettare le armi.»
Gli scozzesi erano già a bordo del Proteus. Budicca, sulla rampa, si accinse a dare l’addio a Fioravante, Gambadiferro, Atena, Artemide, Musico, Gudrun e Luna d’Argento, rimasti a terra assieme ai cavalli.
Impugnando la pistola a ripetizione di Fioravante con la destra e quella di Artemide con la sinistra le puntò rispettivamente alla testa di Fulvia e Anna, strette nelle braccia di due robusti scozzesi.
«Il capitano di questa fantastica macchina e padre della fanciulla dalla chioma rossa ubbidirà ai miei ordini. Prometto che non appena sarò incoronata libererò gli ostaggi. Le tratterò bene. In fondo, Anna ha sangue celta nelle vene ed è nipote di un druido.»
Rimise le pistole nei foderi mentre gli scozzesi spingevano Anna e Fulvia dentro il Proteus.
Fu allora che Budicca venne presa da uno strano spasmo. Cominciò a tremare, come indemoniata.
Dalla sua bocca uscì bava. Allarmati, un paio di scozzesi uscirono a soccorrerla. Con voce distorta cominciò a parlare, in celtico. Gudrun non capì una parola ma lo sguardo di disgusto e delusione degli scozzesi era palese. Furono loro a disarmarla prima che svenisse.
«Il mio nome è Fiona» disse la donna in danese. «Un giorno in cui pascolavo le pecore, un temporale abbattè un albero. Sotto le sue radici trovai la corazza. Purtroppo la reliquia era collegata alla tragedia della regina britanna, e un’entità dell’Ombra si impossessò di me. Fui io a scrivere in caratteri latini la parola per ingannarvi e farvi credere che fossi una valchiria. Il demone mi diede un nome: Morgana, come la mitica maga. Non appena salita al trono avrei assunto il nome di Budicca Seconda ingannando la stirpe celta e condurla al massacro, completando la vendetta del demone, incarnazione di un centurione romano che odiava la stirpe di Budicca.»
«L’inevitabile riscossa inglese e degli alleati spagnoli avrebbe portato anche alla tua fine, Fiona. Devi ringraziare chi ha esorcizzato il demone con la forza dello spirito; l’unico che conosceva i riti del vostro popolo.»
«Non fu solo Fioravante: il fluido di Artemide aumentò le sue forze. Amore di una madre e di un nonno uniti contro l’odio. La Luce ha sconfitto l’Ombra, ancora una volta.»
Gudrun tradusse, contenta che una volta tanto fosse lei ad aver compreso per prima.
Capitan Angelo fece puntare la prua del Proteus verso Sud. La spedizione segreta era conclusa con Fiona nuova accolita. Gudrun avrebbe finalmente visto l’Italia e imparato la sua lingua.
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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