L’elmo di Odino

Giugno. Anno del Signore 1528

 

Il suono di una campana lontana che batteva le nove della sera arrivò fino all’altura dove il verde si mischiava al blu del cielo; il sole nordico era duro a tramontare.

L’uomo si materializzò sulla pietra nel centro del megalito, puntuale, etereo, indefinibile se stesse in piedi o sospeso a levitare. Come a ogni apparizione, suor Gudrun si fece il segno della Croce, forse per chiedere perdono al Dio a cui aveva dedicato la vita o per ringraziarlo per quel miracolo.

Era ormai un anno che il vecchio santo, o angelo, le appariva, evocato dall’oggetto tanto pagano regalatole da suo padre buonanima. E ogni volta, il contatto si faceva sempre più vicino. Il mese prima avevano addirittura parlato nella testa, non in danese, ma nella lingua del vecchio, affine al latino, idioma che lei comprendeva.

Non era la prima volta che i santi si manifestavano ai mortali, ma l’uomo dal nome che ricordava un fiore non veniva dall’alto dei cieli, bensì da questo mondo. I dubbi restavano, perché Satana soleva tentare e deviare i peccatori, manifestandosi in ogni forma. Così le avevano insegnato da novizia.

Ma suo padre le aveva sempre detto che le vie del Signore erano infinite. E quel vecchio, immagine paterna, con i suoi messaggi glielo aveva confermato. Dei, santi o angeli erano la stessa cosa e non pretendevano di detronizzare l’Entità Suprema, bensì di confermarne la grandezza.

Gudrun era sempre sposa del Signore anche se credeva agli antichi dei del suo popolo e non si sentiva blasfema. Aveva scelto la notte del Solstizio d’Estate, dedicata a San Giovanni, per l’incontro con Fioravante, il prete che viveva nel paese tanto vicino alla Sede di Sua Santità, l’Italia.

L’uomo la fissò e San Giovanni compì un nuovo miracolo.

Fu come se uno specchio si fosse stagliato nel centro del cerchio di pietre antiche. Vide se stessa. Poi, realizzò che stava guardando con gli occhi del sacerdote italiano.

Non si era mai vista allo specchio, simbolo di vanità e ora la sua figura vestita da suora ma con in testa l’antico elmo la faceva sembrare una valchiria, o una di quelle dee greche o romane, Atena o Minerva.

La presenza di Fioravante la confortò un attimo dopo. Sentì calore paterno nel corpo. Capì concetti al di là dei linguaggi. Aveva sempre sospettato che l’elmo fosse il talismano che rendeva possibile quel contatto, e questa volta ne ebbe la conferma.

Venne infine inghiottita nella mente di Fioravante, il druido degli dei celti e proiettata in un altro luogo.

Col vecchio c’era una schiera di monache: Artemide, sua figlia, e Atena, oltre alle figlie di costoro, novizie Sorelle Fulvia e Anna e un’altra novizia americana, Sorella Luna d’Argento, dalla pelle rossiccia. In quell’angolo danese, Italia e America erano presenti in forma muliebre e lei ne faceva ormai parte, al servizio del Credo Universale.

Captò un messaggio: “Stiamo arrivando.”

Udì passi e voci alle sue spalle. Uscì dalle mente di Fioravante ma non dai suoi occhi che la presentavano ancora con in testa l’elmo con le rune incise che marchiavano il nome di Odino, ma con il sottofondo di uomini dall’aria furiosa armati di forconi, asce, bastoni e un vecchio vestito rosso che li aizzava.

Ritornò nel proprio corpo alla voce del vescovo.

«Abbiamo colto in flagrante questa strega, brava gente. Sposa fedifraga di Nostro Signore, nell’abito che sta infangando, con in testa un rimasuglio di paganesimo, come questo luogo maledetto. Che sia bruciata nel rogo. Prendetela!»

Dedicò una preghiera a San Giovanni e un perdono a quei poveri contadini ignoranti perché non sapevano quello che facevano.

La campana lontana scandì le undici. Il vescovo brandiva la fiaccola. Gudrun era incatenata in piedi sui fasci secchi pronti a essere accesi. Ai suoi piedi, l’elmo di Odino.

«Che l’oggetto pagano e gli abiti che lei ha sconsacrato brucino con lei. Noi, Johannes Gunnersen, vescovo della diocesi di Ry, in nome di Sua Santità…»

Menzogne! Pensò Gudrun. Il Papa aveva abrogato la caccia alle streghe e l’Inquisizione l’anno prima. Ma in quell’angolo della Jutlandia, quel  vescovo reticente aveva aizzato l’ignoranza disubbidendo alle autorità ecclesiastiche e agli ordini del Re.

Gli occhi del vescovo sembravano indemoniati alla luce della torcia, che avvicinò alla legna.

Gudrun pregò ancora una volta.

E accadde il miracolo. Una luce dal cielo illuminò la notte appena scesa.

«San Giovanni!» urlò qualcuno dei contadini.

«Il demonio!» contraddì il vescovo affrettandosi ad appiccare il fuoco.

Una decina di cerchi luminosi si fece più vicina, al suono di un battito d’ali.

«Gli angeli!» esclamò la voce di un contadino.

«Lucifero, il diavolo che porta la luce ma vola su ali da pipistrello» insistè l’ecclesiastico

Un tuono rimbombò. Una forza strappò di mano la torcia al vescovo.

Le luci abbaglianti rimasero sospese sopra di loro. Fioravante scese dal cielo. Meno etereo, vestito in tunica bianca. Brandiva una pistola ancora fumante.

Slacciò la cinghia che lo teneva attaccato a una corda e si diresse verso il vescovo.

«Vade retro Satan!» urlò l’ecclesiastico.

Cinque monache calarono dall’alto.

Si slacciarono anch’esse dalle funi e seguirono Fioravante, che avanzava verso il vescovo, il quale puntava un crocifisso verso i sei. Una delle donne estrasse una pistola e sparò alla catena che imprigionava Gudrun, liberandola.

Quasi tutti i popolani indietreggiarono, ma una decina si schierò a fianco del vescovo puntando i forconi. A un ordine del vecchio ecclesiastico, la falange contadina avanzò verso le donne e Fioravante. Il druido puntò la pistola, imitato da quelle che Gudrun riconobbe come Artemide e Anna, madre e figlia.

Fecero fuoco a ripetizione e un attimo dopo i forconi andarono in frantumi.

Gli opliti di campagna se la diedero a gambe, mentre uno scafo volante con lo stemma di un leone alato si posava a terra.

Il vescovo urlò: «Non fuggite, pusillanimi bifolchi! Non santi né diavoli: una nave volante e sgherri della scomunicata Repubblica Italiana…»

Gudrun riprese il coraggio e urlò: «Sua Santità ha abrogato la scomunica e e voi state trasgredendo alla direttive di Santa Madre Chiesa. Verrete giudicato da un tribunale ecclesiastico. A Roma.

Rivolta a Fioravante e gli altri, in latino esortò: «Arrestatelo!»

Nella cabina dell’aeronave, suor Gudrun conferiva in latino con Atena, che traduceva a Fioravante.

Il druido guardava incantato l’elmo con scolpite le rune.

«ODEN, sembra ci sia scritto» esordì la donna dai capelli castani.

Il druido disse qualcos’altro in italiano e Atena tradusse.

«Mi spiace, ma di Odino c’è solo il nome. Fioravante afferma che il talismano è un artefatto più antico e che le rune sono state aggiunte postume. Spesso gli uomini danno un nome al divino perché non comprendono. Ciò non toglie i poteri dell’elmo, come hai constatato tu stessa.»

Fioravante pronunciò altre parole, e  Atena riferì.

«Il nome indica forse un luogo, un sacrario al dio che potrebbe condurci da qualche altro talismano. In queste regioni.»

Fioravante aggiunse altro, in tono concitato. Atena delucidò, più calma.

«Il doge d’Italia ha ingaggiato il padre di Artemide e noi per questa spedizione alla ricerca dei talismani e di nuove accolite dai poteri paranormali.  E come vedi, ce n’è sempre bisogno fino a che esisteranno teste di legno come il vescovo. A proposito, Roma deve attendere. Scaricheremo sua Eminenza in qualche angolo di questo paese dove si trema dal freddo anche d’estate; che ringrazi il Signore che questa volta la scampa. Proseguiremo la spedizione  con te al nostro fianco se vorrai. Ci serve un interprete per capire quell’ostrogoto della vostra lingua, con rispetto.»

Gudrun guardò fuori dal finestrino: il sole stava già sorgendo illuminando la landa senza monti che scorreva sotto, dove un tempo avevano vissuto i vichinghi, prima che le navi volassero.

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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