Terza età
TERZA ETA’
Il Guardiano ascoltava con preoccupazione il sibilio prodotto dal proprio respiro, un brutto rumore, che non prometteva niente di buono. Gli pareva di avere due sacchi di cemento al posto dei polmoni.
Il bambino sotto di lui si agitava appena, ma almeno si muoveva ancora. Un robettino di neanche sei chili che ancora non camminava, nero come un tizzone di carbone.
Il suo minuscolo petto si muoveva su e giù, ritmicamente. Respiro regolare.
Quando il palazzo era crollato ed erano stati avvolti dalla nuvola di detriti aveva infilato il piccolo sotto la maglietta e il tessuto doveva aver filtrato le polveri, impedendogli di inalare le particole di calcinaccio.
Lui invece doveva averne aspirate un quintale, per come stava.
Aguzzò lo sguardo, sperando di intravedere uno spiraglio di luce, ma niente, buio pesto.
Se almeno il bambino avesse iniziato a piangere…
Se avesse iniziato a piangere forse qualcuno l’avrebbe sentito, e prestato loro soccorso. Certo, là fuori potevano esserci anche gli stessi figli di puttana che avevano tirato giù l’edificio per quanto ne sapeva, ma era un rischio da correre, lì sotto non sarebbero riusciti a resistere ancora a lungo. Avrebbe chiamato aiuto lui, ma non ce la faceva. Non aveva fiato, e la gola era tutta impastata dalla polvere. Gli usciva a malapena un gracidio.
Se fosse stato solo, avrebbe potuto inventarsi qualcosa. In fin dei conti era invulnerabile, e non poteva essere schiacciato o ferito. Forse, a furia di agitarsi si sarebbe strizzato fuori da quel pastrocchio di macerie.
Ma c’era il bambino. Non poteva rischiare di ucciderlo.
Povera creatura, chissà se era rimasto orfano. Lui sapeva solo che quando il bombardamento era iniziato l’aveva visto lì tutto solo in un angolo e l’aveva acchiappato in corsa mentre il soffitto aveva iniziato a crollare, per metterlo al sicuro. E non c’era posto più sicuro al mondo del suo corpo inattaccabile.
Proruppe in un colpo di tosse secca che gli infiammò i polmoni.
Se solo il bambino avesse pianto…
Sì, e se sua nonna avesse avuto i baffi sarebbe stata suo nonno.
Merda.
Si puntellò sulle mani e sulle ginocchia e provò a sollevare per l’ennesima volta, con tutte le sue forze. Sentì dei cocci sfregare tra loro e qualcosa franò alla sua destra, ma niente altro. Si sforzò di più, fino a far scricchiolare le giunture delle anche, fino a vedere uno sfarfallìo di luci rossastre dietro le palpebre abbassate, poi cedette. Aveva sulla schiena una trave grossa come un albero, e quella non si smuoveva di un centimetro. Era bloccato.
Una volta non sarebbe stato così. Il Guardiano era un pezzo d’uomo, lo era sempre stato, fin da ragazzino. Un cristone di muratore della bassa bergamasca, con due mani grosse come pale. Uno che era abituato a caricarsi sulle spalle secchi di mattoni e a impastare a mano la colla per le piastrelle, mescolandola col bastone nei bidoni. Forsa da bestia, g’ha paùra de nagùt, dicevano di lui.
Ma ormai era vecchio. Da un bel po’, anzi. Erano vecchi i suoi muscoli, vecchie le sue ossa e i suoi tendini.
Se avesse avuto trenta, quarant’anni sarebbe riuscito a tirarsi fuori di lì. Ma ne aveva 85, e faceva fatica la mattina ad alzarsi dal letto.
Che cazzo aveva in mente quando aveva deciso di venire fin lì in culo al mondo?
Si ricordava ancora il suo dialogo col Dottore, la settimana prima.
Sembrava un secolo fa…
–
Il Dottore lo fissò a lungo da dietro la sua mascherina grigia, con sguardo professionale.
-Allora?- domandò lui, dopo un po’.
-Allora- rispose lui col suo vago accento tedesco -Direi ke per la tua età, stai decisamente in forma. Quello ke non so, è perké mi hai fatto perdere tempo a venire fin qui per dirtelo.-
-Giusto.- confermò il tizio col costume giallo canarino e l’accento francese di fianco a lui.
-A te nessuno ti ha interrogato, Asterisc.- rispose sgarbatamente il Guardiano.
-Si dice Asterix.- replicò piccato l’altro.
-Allora?- domandò il Dottore, mettendo fine al dibattito.
Il Guardiano si alzò dal muretto su cui stava seduto, cristonando sottovoce. Maledetti reumatismi…
-Si può avere un po’ di privacy?- disse buttando uno sguardo al tizio francese, e il Dottore sospirando gli fece un gesto. Questi sparì in un lampo di luce intermittente.
-Ekko, adesso siamo soli. Mi vuoi spiegare, grazie?-
-Ieri ho compiuto 85 anni.-
-Bene. Auguri. Se lo sapevo ti avrei portato qualkosa-
-Non scherzare. Essere vecchi è una brutta bestia.-
-Ne ho 73, io.- gli ricordò lui.
-E’ diverso. Te sei un medico, puoi andare avanti finché ti durano i poteri. Ma io?-
-La tua invulnerabilità non è stata intakkata dagli anni. Il tuo è un potere attivo, durerà finké kampi.-
-Non sono i poteri il problema, è tutto quanto! Porca puttana, mi manca il fiato, faccio fatica a muovermi, mi fa male la schiena e tutto il resto! Me lo dici come faccio ad andare avanti così?-
-E allora smetti. Ritirati. Hai tenuto duro più di kiunque altro io konoska. Kos’è, vuoi stabilire un rekord, per kaso?-
-No, non voglio stabilire un rekord, per kaso!- rispose , facendogli il verso.
Sbuffò, e si stropicciò la faccia.
-Ritirarmi. E per fare cosa, eh? Me lo dici?? Mia moglie è morta 3 anni fa di cuore, mio fratello è morto di cancro a quarant’anni e suo figlio è tanto se mi chiama a Natale per chiedermi come va, tanti auguri e vaffanculo! Tutti quelli che conoscevo nella mia vita civile sono morti o stanno di merda, non fanno altro che parlare di malattie! L’unica gente con cui parlo sono gli altri che fanno il mio mestiere! Che cazzo mi metto a fare, vado a dare il becchime ai piccioni in piazza? O vado a farmi fuori la pensione al bingo?-
-Puoi trovarti un hobby.-
-Questo è il mio hobby, Cristo!- gridò lui indicando la sua maschera e il costume azzurro -Essere un super eroe! Aiutare la gente! A cosa cazzo servo, senza tutto questo?-
Il Dottore lo guardò, impassibile nel suo completo di tweed grigio. Non sapeva cosa dire.
-Un hobby, cazzo…- mormorò il Guardiano -Sono vent’anni che non vado più di ronda, lo sai. Da quella volta che ho beccato due ladri d’auto che quando mi hanno visto sono scappati via a piedi e mi hanno seminato dopo 50 metri. Non sono mica un cretino, l’avevo capito che non avevo più l’età per quelle cose. Però almeno riuscivo a combinare qualcosa ogni tanto insieme agli altri, a dare una mano, almeno con l’esperienza. Ma adesso ormai mi faccio ridere dietro… Non ho bisogno di un hobby, ho bisogno di una soluzione.-
-E kosa vorresti da me? Io sono un mediko, non un mago. Non posso farti tornare giovane.-
-Lo so. Senti, qua non servo più a niente… Ma ci sono posti dove uno come me può ancora fare qualcosa. Posti dove al pericolo non devi correrci dietro, perché è lui che ti viene a cercare.-
Il Dottore non aprì bocca. Sapeva dove voleva andare a parare.
-E’ perikoloso.- disse alla fine.
-Ma vacca troia, lo so che è pericoloso! Cazzo, te l’ho appena detto io!- saltò su l’altro -Ma mi ascolti quando ti parlo?-
-Ti askolto. E adesso askoltami tu: vuoi morire da eroe? E’ questo ke cerki?-
-No! Voglio solo poter aiutare ancora qualcuno! Essere utile!-
-Gli Eroi Senza Frontiere non sono una passeggiata. Non è facile, ci sono delle regole, dei protokolli…-
-Lo so. Solo assistenza passiva, niente interventi diretti. E’ per questo che ci ho pensato.-
-Lo sai ke non kambierai niente, vero?-
Il Guardiano lo fissò, perplesso.
-In che senso?-
-La situazione. In generale. Lo sai, vero?-
-Sono sessant’anni che faccio questo mestiere, e in Italia abbiamo ancora la Mafia, la Camorra e i politici ladri. Figurati se possiamo cambiare qualcosa dove ci sta la guerra…-
Il Dottore si grattò la testa un paio di volte, pensieroso.
-Esattamente, ke kosa sai della situazione in Medio Oriente e nell’Africa Sud Sahariana?-
-Più o meno quello che dicono i telegiornali…- borbottò lui.
-Ke è kome dire ke non ne sai niente. Hai mai letto qualkosa su internet?-
-Non so nemmeno come si accende il computer, figurati se ho l’internet!-
-E quante lingue parli?-
-Due. L’italiano e il bergamasco. Che mi sa tanto che da quelle parti lì servono un po’ a poco, eh?-
-Non lo so…- mormorò il Dottore -Non sei preparato per una kosa del genere.-
-E dai, ostia! Sono invulnerabile, no? Se vedo qualcuno con un fucile che spara addosso a un povero Cristo, mi ci metto davanti e paro i proiettili! Serve mica una laurea!- saltò su lui.
Il Dottore lo fissò a lungo.
-Sei sikuro? Una volta dentro, non si torna più indietro.-
-Perché, alla mia età dove vuoi che vado?-
-Devi mollare tutto. Rinunciare alla tua identità segreta.-
-Capirai.-
-Quanto tempo ti serve?-
-Per fare cosa?-
-Per sistemare le tue kose, le tue faccende. Non puoi sparire kosì, e basta. Devi organizzarti. Allestire la tua skomparsa.-
-Cos’è, mi prendi per il culo?- ridacchiò il Guardiano -Ci ho 85 anni! Penseranno che mi sono pigliato l’alzheimer e sono finito da qualche parte in un fosso!-
-Va bene. Allora, prepara uno zaino kon dentro quello ke ti serve. Tra un paio di giorni mando uno dei miei teleporta a prenderti qui. Ti va bene?-
-Perfetto. Solo una cosa… Mi manderai mica coso, Asterisc?-
-Si chiama Stroboscopique.-
-Strobocosa?-
-Vuol dire stroboskopico. Come le luci della diskoteka. Per via dell’effetto luminoso.-
-Che nome da pirla.-
-E komunque sì, ti mando lui.-
-Perché?-
-Perké kosì impari.-
Due giorni dopo si trovava in un campo di addestramento in Afghanistan. Gli fecero subito cambiare la sua tenuta con quella ufficiale degli Eroi Senza Frontiere, che li rendeva riconoscibili da tutte le parti in conflitto. In teoria, questo avrebbe dovuto impedire che gli sparassero addosso, dato che erano neutrali e il loro compito era solo quello di proteggere le vittime civili, ma più spesso capitava il contrario. I militari non amavano chi si metteva in mezzo, specialmente quando era in atto un’operazione di pulizia etnica. Ma la vita è dura, si sa.
Il campo non era male, ben organizzato, e si mangiava decentemente. Gli faceva un po’ strano essere in mezzo a così tanti Gene S, e tutti vestiti uguale. Per prima cosa un telepate gli fece un corso veloce di lingue straniere, inglese, francese e swahili. L’inglese gli veniva abbastanza facile, un po’ lo parlava già per conto suo, il francese meno, sembrava l’ispettore Clouseau, e per lo swahili… Beh, diciamo che quando tentava di parlarlo, sembrava la versione africana del dialogo in milanese di -Totò, Peppino e la malafemmina ( nojo volevàm savuàr l’indiriss… ).
Ma il problema vero, era che lì non c’era nessuno che si avvicinasse minimamente alla sua età. Il più vecchio dopo di lui aveva poco più di cinquant’anni. Non che lo trattassero male, anzi. Più o meno tutti quanti sapevano chi fosse, almeno di nome, e molti lo avevano incrociato qua e là nella lotta al crimine. Trovò perfino un tizio che aveva la sua figurina della collezione Panini che avevano pubblicato per beneficenza negli anni ’70, quando lui militava nel gruppo della Lega dei Difensori.
Il fatto è che tutti gli si rivolgevano con deferenza. Molta deferenza. Anzi, troppa. Gli davano tutti del lei, gli spiegavano le cose lentamente, gli chiedevano sempre se aveva bisogno di qualcosa… Insomma, lo trattavano come un vecchio rincoglionito, cosa che lo faceva veramente incazzare, al punto da renderlo estremamente irritabile. Così passava pure per un vecchio stizzoso, cosa sbagliatissima. Lui era sempre stato stizzoso, pure a vent’anni.
E poi, non lasciava praticamente mai il campo. Tutti gli interventi che dovevano fare erano roba mordi e fuggi, dove servivano riflessi pronti e gambe veloci, quello che mancava a lui. Così, in pratica si ritrovava a fare la parte della mascotte attempata. Si era anche proposto come sminatore, in fondo gli bastava farsi una passeggiata nel posto giusto e far esplodere le cariche sotterrate, che a lui non facevano nemmeno il solletico, ma non servì a niente. C’erano già dei telecineti che se ne occupavano in maniera più efficiente, contenendo anche le schegge e i frammenti degli scoppi.
Era inutile, insomma, esattamente come a casa sua.
Alla fine, era riuscito ad aggregarsi ad una missione. Il fronte si stava spostando verso un piccolo centro abitato, e per precauzione si era deciso di spostare la popolazione verso una cittadina distante qualche decina di chilometri. Più che altro, era un favore che gli E.S.F. stavano facendo ai caschi blu dell’ONU, troppo impegnati per occuparsi di tutto.
Fu proprio mentre stavano sfollando un edificio, che avvenne il disastro. Quattro aerei erano comparsi in cielo all’improvviso e avevano iniziato a bombardare il paese. O almeno, quello era ciò che lui aveva intuito, in realtà aveva solo sentito il caratteristico rombo sibilante dei reattori in avvicinamento, e poi aveva cominciato a scoppiare tutto.
E adesso eccolo lì.
Sepolto sotto chissà che cosa, bloccato dalle macerie e dalla sua vecchiaia.
Sentì il bambino agitarsi un poco sotto di lui.
Capì che il fiato gli stava venendo meno. Gli girava la testa.
Male, molto male. Se fosse svenuto o si fosse addormentato i suoi poteri si sarebbero spenti e la sua invulnerabilità se ne sarebbe andata a ramengo, e il bambino sarebbe morto.
No, Cristo Santo. Era venuto fin lì in quel paese dimenticato da Dio per salvare delle vite, e almeno quella l’avrebbe salvata. Almeno una. A costo di crepare, doveva farcela.
Si riposizionò, piantò le mani su un blocco di cemento, affondò le ginocchia tra le macerie e cominciò a spingere. Con tutta la sua forza, con tutta la sua disperazione spinse la schiena contro la trave che lo inchiodava. Spinse e spinse fino a sentire le formiche in tutto il corpo, fino a farsi scoppiare la testa.
Finché alla fine perse i sensi.
Quando riaprì gli occhi, si trovava sotto ad una tenda di color kaki, sdraiato su un lettino. Stava istintivamente per riattivare la propria invulnerabilità quando si accorse di avere una flebo infilata in un braccio e si bloccò. Si stropicciò gli occhi con la mano libera e si guardò intorno. Era in un ospedale da campo. Il personale indossava la tenuta degli E.S.F.
Gli si avvicinò un tizio dalla faccia cordiale. Gli sbirciò il nome sulla striscia di velcro che portava sul petto.
Sun Buster.
Non lo conosceva.
-Allora, come va?- gli chiese in un inglese dal forte accento yankee.
-Insomma…- replicò lui.
Poi si ricordò, di botto.
-Oh, cazzo! Il bambino?!?-
-Sta bene, tranquillo. Sei talmente grosso che sei riuscito a proteggerlo anche senza poteri. Per fortuna, a parte la trave, non avevate addosso troppe macerie.-
-Come ci avete trovato?-
-Il bambino. Si è messo a piangere.-
Al Guardiano scappò una risata.
-Ma porca troia… Tutto il tempo lì sotto a dirgli -E piangi, cazzo, perché non piangi?- E lui niente!-
-Perché finché eri sveglio si sentiva al sicuro. Tutto qui.-
Lui sospirò, e si guardò intorno. C’erano alcune dozzine di letti sotto la tenda, tutti occupati da civili. Si voltò verso Sun Buster.
-Com’è andata là fuori?- domandò.
-Abbastanza bene, nonostante tutto. Gli aerei hanno fatto un altro paio di passaggi, ma i nostri telecineti e il nostro teleporta sono riusciti a mettere in salvo i civili. Solo il primo attacco ha fatto vittime.-
-Merda… E i genitori del piccolino?-
-Non lo so. Stiamo ancora facendo un censimento dei dispersi. Abbiamo organizzato un centro di raccolta, se sono ancora vivi salteranno fuori. Intanto lui ce l’ha fatta.- concluse con un sorriso.
-Già.- mormorò il Guardiano -Anche se non per merito mio.-
-Ma che dici? Se non era per te, a quest’ora era morto sotto il bombardamento!-
-Sì, ma se non era per lui, col cacchio che ci trovavate. Al limite, è stato un pareggio. Io ho salvato lui, e lui ha salvato tutti e due.-
Sun Buster gli posò una mano sulla spalla.
-Guarda che non è una gara. Siamo qui per renderci utili, non per tenere il conto. In un modo o nell’altro quel bambino ne è uscito vivo. E’ questo quello che conta.-
-Sì, sì…- biascicò lui, poco convinto. Ma se solo fosse stato un po’ più giovane…
-La situazione com’è?- aggiunse, per cambiare discorso.
-Beh, le forze dell’esercito regolare hanno respinto i ribelli, e il fronte si è spostato di una trentina di chilometri a ovest, oltre il fiume.-
-E questo è un bene, direi…-
-Sì, ma ci hanno tagliato fuori dalla città dove avremmo dovuto trasferire la popolazione, e siamo a quattrocento chilometri dal campo profughi più vicino, oltre confine.-
-Abbiamo un teleporta, no?-
-Un po’ di gente l’abbiamo già trasferita, ma ci sono parecchi feriti che non reggerebbero il salto, e i parenti non li vogliono lasciare. Per non parlare dei dispersi. Siamo bloccati qui con diverse centinaia di persone.-
-E’ un problema? Se i combattimenti si sono spostati…-
Sun Buster alzò le braccia al cielo.
-Non sappiamo dove metterli. La maggior parte degli edifici è distrutta o pericolante. Stiamo cercando di mettere su un campo, ma non abbiamo abbastanza tende per tutti. L’ideale sarebbe rimettere in sicurezza qualche edificio, ma non siamo attrezzati.-
Il Guardiano si accigliò.
-Come non siamo attrezzati? Va bene che non abbiamo i macchinari, ma con tutti i Gene S che ci sono qui, a cosa ci servono una scavatrice o una gru? Facciamo tutto a mano, no?-
-Sì, lo so, volevo dire che non abbiamo le competenze. Non possiamo rimettere a posto un edificio e poi vederlo crollare in testa alla gente! Servirebbe un architetto, o un ingegnere… qualcuno che ci capisca. Non ne abbiamo tra di noi, non siamo autorizzati a far venire gente da fuori e non ce ne sono tra i locali, visto che questa zona del paese conosce solo la guerra da un quarto di secolo. E’ un casino…-
-Beh…- disse il Guardiano, piegando le rughe sul suo volto intorno ad un gran sorriso -Architetti e roba così non so, ma un muratore con sessant’anni di esperienza te lo posso procurare io!-
Nei giorni successivi il paese si animò di un gran viavai di cantieri. Gene S di ogni tipo si affaccendavano attorno a mura, soffitti e infissi, tutti guidati dallo sguardo vigile del Guardiano. Trovò tra i civili chi aveva un po’ di esperienza nel settore e li mise a capo di chi non sapeva dove mettere le mani. Controllò che la malta avesse la giusta quantità di sabbia, che i mattoni venissero posati in maniera corretta, e tante altre cose.
Era da quando la sua povera moglie era ancora viva che non si sentiva così bene.
Forse era troppo vecchio per fare il superuomo, ma era ancora abbastanza in gamba per fare il capomastro.
Finalmente, poteva ancora essere utile.
Si guardò intorno soddisfatto, e poi si diresse sbraitando verso un paio di telecineti che stavano poggiando troppo vicine tra loro le tegole di un tetto.
Ah, questi giovani…
Racconto ambientato nell’universo narrativo del romanzo Tutte le morti di Monica, dello stesso autore.
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