La frombola maltese

La frombola maltese, racconto di Paolo Ninzatti

 

Dicembre. Anno del Signore 1517

Malta era un’isola incantata. L’inverno era mite come una primavera, e le monache belle come principesse delle fiabe. Specialmente Madre Orsola, la superiora del convento, occhi come perle nere, volto da Madonna, che riusciva a trasformare in favola la Storia Sacra.

La sua voce melodiosa aveva raccontato che l’Apostolo Paolo, dopo un naufragio, era vissuto per un periodo proprio lì, a Mdina, facendo delle grotte sotto la chiesa dall’altra parte della strada le catacombe dove i perseguitati cristiani professavano l’allora proibito credo.

Fulvia era rimasta affascinata all’idea di covi sotterranei. L’isola stessa, avamposto della Serenissima Repubblica a Meridione, era un rifugio dalle minacce dei Flagellanti, ma anche dal nemico, la Spagna.

A Malta si arrivava quasi soltanto in volo e sia i fanatici frati in grigio, sia gli spagnoli aborrivano le aeronavi, creazioni del Diavolo, a dir loro.

Nessun frate assassino e nessun sicario o spia spagnola avrebbe osato mischiarsi ai passeggeri delle macchine volanti. Controlli agli sporadici natanti, aerovedette permanenti in cielo, fari parabolici puntati lungo la costa durante la notte.

La convinzione di trovarsi al sicuro durante l’escursione natalizia con Anna e dieci compagne di classe scelte tra le migliori era il conforto della bimba dopo lo spavento del mese addietro. Quello di Anna, stando all’amica, era l’unione mentale con la madre.

Fulvia era diventata la condottiera dei loro giochi e, sapeva, il sostegno delle altre, che erano ora la sua piccola armata.

Creare sotterfugi e inventarsi nemici immaginari in un luogo protetto dalla dolce Madre Orsola e dalla vicina guarnigione nella cittadella, dove il vessillo del Leone d’Italia era visibile dalla finestra della camerata messa a loro a disposizione, richiedeva fantasia da vendere. Se il nemico non c’era, bisognava inventarselo e andare a cacciarlo.

Fulvia guidò le compagne a caccia di demoni dell’Inferno improvvisato costituito dalle Grotte di San Paolo. Le anziane monache guardiane delle catacombe furono Caronte e Cerbero. La sfida fu distrarle per poter passare inosservate. Anna lanciò un sasso, e ambo le suore corsero nella direzione dove questo era caduto. Via libera. Scesero nell’Averno, a caccia di demoni.

Si inoltrarono sempre più sotto, a lume di candela.

L’eco delle voci le raggiunse. Lesse negli occhi di Anna prevedendo assurde teorie su demoni veri o spiriti degli antichi cristiani. Prima che l’amica potesse parlare spaventando le altre, Fulvia demitizzò subito ogni riferimento al soprannaturale.

«Voci di uomini. Clangore di metallo. Elmi e corazze di certo. Soldati. Un’esercitazione segreta. Fino a ora. Le avanguardie di Capitana Fulvia scopriranno cosa sta macchinando la Repubblica. Probabilmente si stanno preparando a invadere la Spagna. E noi scopriremo come. Andiamo!»

Il coraggio incoscente che lei infuse alla sua piccola banda dissipò il timore del rischio che stavano correndo. Se i militi le avessero scoperte, una tirata d’orecchio non gliel’avrebbe tolta nessuno. Ma il conforto di sapere che i soldati d’Italia erano anche lì sotto aumentava l’idea di sicurezza.

Avanzarono e videro. Elmi e corazze luccicavano alla luce delle torce di un bivacco sotterraneo. Saranno stati un centinaio. Vide spade, archibugi, balestre e anche un paio di cannoncini. Un bel gruppo d’assalto. Povera Spagna! Una forza del genere sarebbe bastata per neutralizzare una fortezza iberica. Gliel’avrebbero fatta vedere a quelli là!

Un ufficiale parlava ad alta voce. Fulvia origliò per sentire il piano d’azione. Le parole erano chiare, ma incomprensibili. Non era italiano, nè maltese. Alleati di Francia, Imperi Germanico od Ottomano? Ausiliari dei possedimenti dalmati?

Udì un “Vamonos!”. Ringraziò le informazioni materne sulla lingua del nemico e tirò le somme. Il gioco delle spie stava diventando realtà. Con aria calma spiegò la situazione alle compagne.

«Come siano arrivati gli spagnoli qua sotto non si sa. Ma non sono certo qui per dire le orazioni. Dobbiamo uscire e dare l’allarme!»

Fuggirono. Il clangore delle armi spagnole li seguì. Fulvia temette che le avessero scoperte, ma visto che anche i soldati nemici proseguivano in silenzio, dedusse che si stessero accingendo ad attaccare. Vamonos voleva dire andiamo in spagnolo secondo mamma Atena.

Bussarono alla porta della camera di Madre Orsola. Lei le fece entrare domandando il perché di tanta eccitazione. Fulvia riferì ciò che aveva visto. L’incanto maltese sparì dal volto della superiora; gli occhi si fecero nere bocche di archibugio, il sorriso, un ghigno cattivo. Ancora prima che parlasse, Fulvia assaporò con delusione il tradimento, prima ancora del pericolo.

«La merce per il convento arriva via mare; non viene controllata e neppure i portatori. Io garantisco per tutto. Ancora una volta le catacombe rifugiano i veri cristiani in questa Italia scomunicata. Ironia della sorte, saranno i finti soldati romani pagani della rappresentazione natalizia del martirio di San Paolo il cavallo di Troia che aprirà le porte agli altri. A venire decapitato sarà invece il governatore. Prevedo mesi di assedio di Mdina in mano spagnola. Riscatteremo ogni onta col sangue!»

Seguì il rumore dei soldati spagnoli che irrompevano nel convento. Fulvia si affrettò alla finestra: una decina di iberici indossava armature romane. Gladi autentici e archibugi che essi nascosero dietro agli scudi quadrati. Altri bloccavano le uscite sotto gli occhi delle suore impaurite.

«E adesso fatevi da parte, mocciose. Al di là di quella porta la Storia mi attende. Guiderò i miei legionari alla conquista della fortezza con l’arma dell’inganno.»

Fulvia corse piazzandosi davanti alla porta, declamando: «E io guiderò le mie amazzoni a fermarti, Cleopatra da quattro soldi!»

La schiera delle bambine si strinse a coorte intorno a Fulvia. La nemica, pur grande e temibile, scappò. Una tacita intesa con Anna e l’amica afferrò il piede di Fulvia, lanciandola in aria.

Anna vide la chioma rossa che attraversò volando la stanza, come una fiamma. La figlia di Atena piombò addosso a Madre Orsola che aveva già raggiunto la finestra. Le si avvinghiò al collo con le gambe e le tappò la bocca con ambo le mani, impedendole di chiamare gli spagnoli, un piano più sotto.

Anna la prese per le gambe e la fece cadere. Le altre bimbe la trascinarono via dalla finestra tenendola ben ferma. Con la coda dell’occhio Anna vide che gli spagnoli non si erano accorti di nulla.

Fulvia non mollò la bocca della suora fino a quando Anna non arrivò con dei panni e la corda del tendaggio, ispirata a una visione di anni addietro quando le genitrici avevano imbavagliato, legato e rapito una potente nemica.

Emularono le mamme, aiutate dalle altre piccole amazzoni. Chi infilò una calza in bocca alla prigioniera, chi ne annodò un’altra dietro la nuca, chi la strinse nella corda: mani, braccia, gambe e caviglie. Anna sbirciò dalla finestra gli spagnoli che attendevano impazienti la loro guida, mentre le monache pregavano sommessamente; Fulvia scrisse un messaggio su carta.

Dovevano  allarmare la guarnigione, pur bloccate nel convento.

Anna prese una cinghia e una statuetta. Tutte e dodici sollevarono di peso Madre Orsola e uscirono dalla camera. Salirono le scale con la grande preda che si dimenava come un serpente e gemeva come un cucciolo, arrivando a un balcone da dove potevano ora vedere, lontana,  la torre di guardia del forte.

Anna arrotolò il messaggio alla statuetta e lo pose al centro della cintura curvata. Fece roteare l’improvvisata frombola, vorticosamente. Lanciò. Il proietto cadde a un passo dalla sentinella, che si chinò a raccorglierlo.

Nel frattempo, udirono il trambusto degli spagnoli che salivano le scale, chiamando ad alta voce l’introvabile Madre Orsola. Rientrarono dal balcone mentre i passi si avvicinavano. Rinchiusero la superiora in uno sgabuzzino, si misero in volto un sorriso innocente mentre un paio di spagnoli irrompeva nel corridoio.

Fu il primo contatto ravvicinato col nemico, che rispose ai sorrisi. Forse non erano tanto cattivi come i Flagellanti, che pure erano italiani. Probabilmente anche gli spagnoli amavano i bambini.

Al contrattacco italiano, gli spagnoli si arresero.

Fulvia mostrò all’ufficiale della Repubblica Orsola legata nel deposito, che si lamentava dietro il bavaglio, gli occhi neri che sembravano implorare, il primo corpo a corpo vittorioso della sua legione infantile contro un’avversaria più grande. Il milite disse loro che gli spagnoli si erano arresi per non mettere in pericolo le vite loro e delle suore.

Anna sentì la presenza della madre; intuì con piacere che le sensazioni erano a senso unico e che Artemide non si era accorta dei pericoli passati dalla figlia.

I giochi di spie suoi e di Fulvia sarebbero continuati.

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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