La guerra di Troia – 1di9

Il cavallo di Troia, dettaglio di un dipinto di Giambattista Tiepolo

LA GUERRA DI TROIA

Nella mitologia greca, la guerra di Troia viene narrata come una guerra combattuta tra gli Achei e la potente città di Troia per il controllo dell’Ellesponto.

Secondo la tradizione, il conflitto ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, la regina di Sparta, ritenuta la donna più bella del mondo, da parte di Paride, principe troiano. Il marito di Elena, Menelao, grazie all’aiuto del fratello Agamennone radunò un incredibile esercito, formato dai maggiori comandanti dei regni greci e dai loro sudditi, muovendo così guerra contro Troia.

Gli eventi del conflitto troiano sono narrati principalmente nell’Iliade di Omero e in altri testi letterari, noti come “Ciclo Troiano“, ormai perduti e conosciuti solo tramite citazioni successive.

Ulteriori fonti di conoscenza possono considerarsi anche le tragedie antiche di Eschilo, Sofocle ed Euripide. La distruzione di Troia è invece narrata nel secondo libro dell’Eneide di Virgilio (“Iliou Persis”). Altre citazioni sono reperibili in varie opere della letteratura latina e greca.

La veridicità storica degli avvenimenti della guerra di Troia è ancora aggi oggetto di discussione: quanti reputano la guerra di Troia un fatto realmente accaduto collocano i fatti verso la fine dell’età del Bronzo (data tradizionale: 1184 a.C.), in parte accettando la datazione proposta dallo studioso Eratostene.


PARTE I

Le origini del conflitto

 

1.

Ab ovo…

 

Come è possibile iniziare la narrazione di una delle epopee più famose della storia? Naturalmente… partendo ab ovo!

Questa frase latina significa letteralmente “dall’uovo” e quindi, in senso metaforico, “da molto lontano“, “dalle più remote origini“.

Tale espressione risale al poeta latino Orazio che nella sua Ars poetica avvisava di non mettersi a parlare della guerra di Troia cominciando dalle origini (appunto, ab ovo). L’uovo in questione era quello che era stato generato da Leda, dopo essere stata sedotta da Zeus (Giove) in forma di cigno.

Dall’uovo di Leda nacque la bellissima Elena, che – come vedremo in seguito – sarà una delle cause scatenanti della guerra di Troia.

Non ce ne voglia Orazio, ma noi riteniamo che per comprendere le origini più remote della storia che ha appassionato per secoli i poeti e i letterati dell’Occidente occorre risalire agli antefatti, per così dire, “cosmici” degli eventi che seguiranno.

Il poeta Orazio

Il nostro racconto, quindi, partirà addirittura dalla lotta per il dominio dell’universo…

Secondo la mitologia greca il sovrano assoluto del Cosmo era Zeus, signore del tuono e del fulmine, il quale tuttavia era riuscito ad assurgere al trono celeste solamente dopo aver sconfitto e spodestato il padre Crono (Saturno), il dio del tempo. Del resto, lo stesso Crono aveva imposto il suo dominio sull’universo dopo aver mutilato il padre Urano, dio del firmamento.

E’ facile comprendere che questo passato cupo e sinistro fatto di congiure ed intrighi esasperasse il nuovo tiranno del cielo, che viveva nel terrore che un suo discendente potesse detronizzarlo.

Il Titano Prometeo, il cui nome significa “il Preveggente”, era l’unico a sapere che un giorno anche Zeus sarebbe stato spodestato dal suo trono qualora si fosse unito in nozze fatali con una dea (di cui solo il Titano conosceva il nome) capace di generare un figlio destinato a diventare il nuovo sovrano dell’universo.

Zeus aveva ordinato a Prometeo di rivelare il nome fatale, minacciando il Titano di terribili vendette e supplizi qualora non avesse obbedito al suo volere.

Prometeo oppose un solenne rifiuto; da tempo, infatti, egli era stato incatenato ad una parete di roccia sui Monti della Scizia, perché aveva rubato dall’Olimpo le faville del fuoco, rivelandone il segreto agli uomini. Il Titano dichiarò con orgoglio che mai avrebbe reso noto il nome della dea se prima Zeus non si fosse deciso a liberarlo.

Alla fine, fu con l’intervento della Madre Terra che i due immortali giunsero a riconciliarsi; Prometeo venne liberato e solo allora rivelò il nome fatidico: la divinità in grado di partorire un figlio capace di dominare il mondo era Teti[1], una ninfa del mare (di cui, tra l’altro, Zeus si era già invaghito).

[1]    Alcuni autori riportano il nome di Tetide (Thètis), per distinguere la ninfa da Teti (Tethys), sposa di Oceano e appartenente alla stirpe dei Titani.

2.

Le nozze di Teti e Peleo

 

Il dio del tuono e del fulmine decretò che Teti venisse data in moglie ad un semplice mortale e la scelta ricadde su Peleo, re di Ftia (una regione della Tessaglia).

Figlio di Eaco, re di Egina (un sovrano famoso per il suo grande senso di giustizia, tanto da essere chiamato dopo la morte a giudicare della sorte delle anime dei defunti nell’oltretomba assieme a Minosse e Radamanto), Peleo era stato diseredato e scacciato dal padre assieme al fratello Telamone per essersi macchiato dell’omicidio del fratellastro Foco.

In seguito, Peleo aveva partecipato assieme al fratello ad imprese celebri, come la ricerca del vello d’oro e la caccia al cinghiale calidonio; per purificarsi dal suo terribile crimine, aveva trovato rifugio presso il re di Ftia, di cui aveva ereditato il regno dopo essersi unito in matrimonio con la figlia.

Peleo era un sovrano ormai vecchio e stanco, quando venne designato dal sovrano del cielo come futuro consorte di Teti. Le fonti più antiche non ci fanno capire esattamente se la ninfa avesse accolto di buon grado tale decisione: secondo alcuni, ella obbedì sin da subito al volere divino, anche per non inimicarsi Hera (Giunone), moglie di Zeus, che l’aveva allevata da bambina.

Altre fonti riportano, invece, che Teti cercò in tutti i modi di sfuggire a Peleo, il quale dovette rincorrerla per vari lidi e non senza difficoltà, in quanto la ninfa (come molte creature del mare, del resto) aveva il potere di cambiare forma in qualsiasi momento, sfuggendo così al suo inseguitore.

Il re di Ftia riuscì comunque a raggiungerla e a stringerla così forte da non consentir alcuna via di fuga alla dea, neppure facendo uso della metamorfosi. Solo a quel punto, Teti si rassegnò al matrimonio forzato con un mortale[2].

Alle nozze di Teti e Peleo, che venne celebrato sul monte Olimpo, vennero invitati tutti gli dei, maggiori e minori, i quali parteciparono alla cerimonia portando ciascuno un regalo speciale per gli sposi. Si racconta, ad esempio, che Poseidon (Nettuno) offrì in dono una coppia di cavalli immortali, Bàlio e Xanto, mentre il centauro Chirone portò una lancia dalle dimensioni smisurate, che solo il più forte tra i mortali avrebbe potuto scagliare.

Le nozze di Teti e Peleo

Come spesso capita in queste occasioni, gli sposi si dimenticarono di invitare un’ospite importante: la dea Eris (la Discordia), compagna nelle battaglie di Ares (Marte), il dio della guerra.

Sentendosi umiliata, la dea andò su tutte le furie e decise di presentarsi comunque al convito nuziale esclamando con rabbia: “Vi ho portato anch’io il mio dono”. Detto ciò, ella gettò nel bel mezzo della tavolata una mela d’oro con la scritta Tei Kallistei (“Alla più bella”)[3].

Sorse quindi un gran litigio tra le massime dee dell’Olimpo Hera, Pallade Atena (Minerva) e Afrodite (Venere), ciascuna delle quali riteneva che quel pomo le spettasse di diritto.

Al fine di evitare che la lite degenerasse, Zeus sentenziò che il giudizio dovesse essere affidato al più bello tra tutti i mortali; e questi era Paride, figlio di Priamo, re di Troia, di cui dovremo occuparci più diffusamente.

Di Teti e Peleo è doveroso comunque dire che dalla loro unione nacque un figlio maschio, cui venne dato il nome di Achille. Alla sua nascita, un oracolo predisse che sarebbe morto di vecchiaia dopo una vita tranquilla e priva di imprese, oppure giovanissimo su di un campo di battaglia, dopo aver compiuto imprese tali da guadagnarsi l’immortalità attraverso la poesia dei cantori di tutte le epoche.

Spaventata da un tale responso, Teti tentò di rendere immortale il figlio, immergendolo nel fiume Stige e facendolo così diventare invulnerabile.

Si racconta, tuttavia, che la ninfa del mare avesse effettuato il rituale tenendo il piccolo per il tallone sinistro che, non essendo stato sfiorato dalle acque stigee, rimase l’unica parte del corpo del figlio di Peleo a non essere immune da ferite (da qui deriva il proverbiale “tallone di Achille”, locuzione spesso utilizzata per indicare il punto debole di un persona)[4].

Va comunque detto che la fama della invulnerabilità di Achille è nata in epoca posteriore ad Omero: nell’Iliade e negli altri poemi del Ciclo Troiano, infatti, non vi è alcuna traccia di questa leggenda, ragion per cui anche noi ci permetteremo di ignorarla nel proseguimento della nostra storia.

Per ora ci basti sapere che il re Peleo, disapprovando i metodi della ninfa del mare, la rimproverò aspramente proibendole di sottoporre ulteriormente il bambino a simili rituali magici: la dea Teti, infuriata, se ne andò sdegnata abbandonando per sempre il marito.

Il giovane Achille venne affidato dal padre alle cure del centauro Chirone assieme a quello che sarebbe diventato il suo amico del cuore: Patroclo.

Achille venne addestrato nell’arte della caccia, dell’uso delle armi e nell’addestramento dei cavalli; egli venne inoltre istruito nell’arte della musica e della pittura; imparò anche l’arte medica e tutte le antiche virtù degli antenati.

Il Centauro lo nutriva e lo educava per farne uno degli eroi destinati ad alimentare una delle leggende più affascinanti che la storia ci abbia mai tramandato[5].

Chirone ed Achille

[2]    Il tema del ratto ovvero della conquista violenta della sposa non è insolito nella mitologia e ritorna anche nel poema medievale I Nibelunghi, in cui è la stessa Brunilde ad annunciare di voler sposare solo chi saprà vincerlo in battaglia.
[3]    Anche in questo caso, il topos letterario del rancore della dea/fata non invitata verrà rielaborato nella favolistica più moderna: tutti ricordano la storia di Rosaspina (meglio nota come La bella addormentata nel bosco), in GRIMM, Fiabe del focolare, Milano, Einaudi, 1951, pp. 176-178.
[4]    La leggenda della invulnerabilità di Achille trova un interessante parallelo nella figura dell’eroe germanico Sigfrido, il quale al pari di Achille poteva essere ucciso solamente se colpito alla schiena, in mezzo alle scapole.
[5]   La storia del rapporto tra Achille ed il centauro Chirone non ha, purtroppo, un lieto fine; il figlio di Peleo, infatti, colpì il suo maestro accidentalmente con una freccia provocandogli una ferita mortale. Vinti dalle preghiere di Achille, gli dei decisero di accogliere nel firmamento il vecchio centauro, che divenne così la costellazione del Sagittario.

Capitolo successivo

di Daniele Bello

Novembre 28, 2017

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