Le cinque invasioni – seconda parte
“Da una camera apparve un valletto, che impugnava a metà una lancia splendente di biancore. Una goccia di sangue usciva dalla punta del ferro della lancia e colava fino alla mano del valletto, questa goccia vermiglia. […]
Vennero allora due altri valletti, due bellissimi uomini, che tenevano in mando due candelabri d’oro fino lavorato […] Un ‘Graal’ teneva una damigella tra le mani e seguiva i valletti bella, gentile e nobilmente adornata. E quand’essa fu entrata, da tutto il Graal che essa teneva s’irradiò per tutta la sala un chiarore sì grande che le candele impallidirono come le stelle o la luna quando si leva il sole.
Dopo questa damigella ne veniva un’altra che portava un piatto d’argento. Il Graal che veniva avanti era fatto dell’oro più puro; vi erano inserite pietre preziose delle più ricche e delle più varie che esistano per mare e per terra; nessuna gemma potrebbe paragonarsi a quelle del Graal[1]”.
E’ evidente, anche da una prima lettura delle leggende che parlano dei Túatha Dé Danann, che in origine tali figure avessero attributi divini, che persero via via che il Cristianesimo conquistò proseliti e fedeli nella verde Irlanda.
Nella forma in cui la mitologia irlandese è giunta sino a noi, essi hanno ormai perso la qualifica di “dei” per essere ridotti al rango di esseri fatati o, tutt’al più, di angeli caduti. In alcuni passi, tuttavia, il popolo di Danu sembra conservare quei poteri e quelle caratteristiche che ne tradiscono l’origine più “nobile”.
Si racconta che, quando i Túatha Dé Danann giunsero in Irlanda, essi proposero ai Fir Bolg di dividere l’isola in parti uguali tra i due popoli; questi ultimi, tuttavia, non furono per niente impressionati dalla potenza dei loro avversari e decisero di attaccare battaglia.
Lo scontro ebbe luogo nella Piana di Mag Tuired (Moytura) e si risolse con la completa disfatta dei Fir Bolg. I Túatha Dé Danann, condotti dal loro principe Núada, conquistarono la terra di Ériu e lasciarono agli sconfitti il possesso delle sole province occidentali (l’odierno Connacht).
Nello scontro con i Fir Bolg, tuttavia, al principe Núada venne mozzato il braccio; anche se gli abili artigiani del popolo di Danu riuscirono a costruirgli un arto in argento (per questo, egli divenne noto come Núada Mano d’Argento), la legge imponeva che nessun uomo con un difetto fisico potesse essere sovrano.
I Túatha Dé Danann, pertanto, acclamarono come re Bres, il quale tuttavia pur essendo giovane e bello non aveva le doti necessarie per diventare un vero capo; egli lasciò che i Fomori spadroneggiassero come un tempo e imponessero la loro tirannia al popolo di Danu.
A questo punto entra in scena nel ciclo mitologico irlandese uno dei personaggi più importanti di tutta la religione celtica: Lúg, figlio di Cían, meglio noto come il Dio Sole[2].
La tradizione vuole che egli fosse di sangue misto, perché sua madre Ethlinn era una principessa dei Fomori che il re Balor aveva rinchiuso all’interno di una torre per paura di una profezia (un druido, infatti, sosteneva che il figlio di Ethlinn avrebbe causato la morte del nonno e la rovina di tutta la stirpe dei Fomori).
Questo accorgimento non impedì, tuttavia, a Cían del popolo dei Danu di giungere all’interno della torre grazie ad un incantesimo e di sedurre la principessa.
Quando giunse il momento, Ethlinn partorì tre gemelli; il re Balor, furioso, decretò che i tre bambini venissero messi a morte. L’araldo incaricato di eseguire la terribile sentenza avvolse i neonati in un telo per gettarli in mare: per puro caso, tuttavia, lo spillo che avvolgeva il fagotto si staccò e uno dei tre bimbi cadde in una piccola baia prima di essere gettato in acqua.
Una druidessa amica di Cían salvò il bambino e lo portò dal padre, che lo crebbe sino a farlo diventare sano, forte e padrone di tutte le conoscenze dei Túatha Dé Danann: tutti conoscevano quel giovane come Lúg dal Lungo Braccio.
Si narra che Lúg si presentò all’assemblea dei Túatha Dé Danann proprio in occasione del pagamento del tributo annuale ai Fomori; al suo apparire, tutti ebbero la sensazione di veder sorgere il sole in un mattino d’estate.
Lúg si rifiutò di corrispondere ai Fomori l’odiosa tassa che i demoni pretendevano di volta in volta e attaccò battaglia: i Túatha Dé Danann si schierarono al suo fianco e ricacciarono gli invasori dall’isola di Ériu.
Il figlio di Cían venne eletto a furor di popolo sovrano delle gente di Danu e si preparò alla battaglia decisiva contro i Fomori, desiderosi di prendersi una rivincita dopo l’umiliazione della mancata riscossione del tributo.
Lo scontro ebbe luogo ancora una volta nella Piana di Mag Tuired (Moytura) e fu un terribile massacro, in cui persero la vita molti tra i Fomori e tra i Túatha Dé Danann; tra le vittime più illustri, anche Núada Mano d’Argento, antico reggitore del popolo di Danu.
Alla fine, risultò decisivo il duello tra Lúg e Balor, che si risolse con la morte del sovrano dei Fomori: la profezia evocata dal druido si era dunque avverata.
I Túatha Dé Danann si assicurarono così il pieno dominio dell’isola di Ériu; l’infame Bres, che dopo essere stato detronizzato si era schierato dalla parte dei demoni invasori, ebbe salva la vita da Lúg, ma in cambio della grazia dovette insegnare tutti i segreti dell’agricoltura ai figli di Danu, i quali regnarono indisturbati per lunghissimo tempo.
Dopo la vittoria, la Mórrígan[3] andò sulle vette regali di Ériu ad annunciare il definitivo trionfo sui Fomori: si narra che, in quell’occasione, ella profetizzasse la imminente fine del mondo.
I giudizi errati dei vecchi,
le false sentenze dei giudici,
ogni uomo un traditore,
ogni fanciullo un ladro.
Il figlio nel letto del padre,
il padre nel letto del figlio,
ciascuno si farà cognato del fratello.
Tempo di empietà!
Il figlio tradirà il padre,
la figlia tradirà la madre…[4]
La quinta ed ultima invasione dell’Irlanda avvenne ad opera dei figli di Míl (altrimenti noti come Milesi), detti anche Goideli o Gaeli. I loro antenati discendevano da Jafet, figlio di Noè, e avevano vissuto in Scizia, in Grecia ed in Egitto, prima di approdare in Spagna.
Dopo aver osservato dall’alto di una torre l’ombra dell’isola di Ériu, i Gaeli decisero di mettersi in mare alla volta di quella terra lontana.
Il primo contatto tra i figli di Míl e i Túatha Dé Danann, che pure parlavano la stessa lingua, non fu per niente pacifico; il vecchio Ith, capo della spedizione, venne inizialmente chiamato per dirimere una controversia tra i sovrani del popolo di Danu; quando però questi ultimi capirono che i Gaeli avevano delle mire di conquista, Ith venne catturato e messo a morte.
I superstiti tornarono in Spagna, raccontando ai loro consanguinei della terribile umiliazione subita. I figli di Míl decisero di vendicarsi dell’oltraggio e prepararono una nuova spedizione per invadere l’Irlanda.
Si narra che, al seguito della spedizione, vi fosse anche il bardo e poeta Amairgin, il quale dedicò alla verde isola i primi versi che la storia ricordi[5].
Io invoco la terra d’Irlanda:
lucente, lucente mare;
fertile, fertile terra;
radure, radure dei boschi!
Fiumi gonfi, gonfi di acqua!
Lago che abbondi di pesci!
Ci fu una grande battaglia tra i Milesi e i Túatha Dé Danann, che si risolse con la totale disfatta del popolo di Danu; i Gaeli assunsero la sovranità dell’isola d’Irlanda, che mantennero sino all’epoca storica; nei secoli successivi, tutte le famiglie nobili dell’isola si vantavano di avere sangue milesio nelle vene.
In realtà, agli stessi irlandesi ripugnava l’idea che i Túatha Dé Danann, esseri dai poteri straordinari e di lontane origini divine, potessero essere sconfitti da una stirpe mortale. Per questo poeti e letterari immaginarono che essi, in realtà, “si sono fusi con la terra stessa, o almeno è questo ciò che dicono gli uomini eruditi.
I Danann hanno riposto il loro spirito negli alberi, oppure si sono insinuati nel sottosuolo per vivere dentro enormi caverne dall’ingresso nascosto e c’è chi crede che essi siano immortali… Qualsiasi cosa possano essere, di certo sono magici, dotati di una magia temibile. Nessuno conosce il limiti dei loro poteri, ed essi non hanno mai veramente abbandonato Erin”. [6]
I Túatha Dé Danann, in altre parole, grazie all’utilizzo dei loro incantesimi, si ammantarono di un velo di invisibilità e si ritirarono in un mondo soprannaturale, illuminato da una luce perpetua e in cui il tempo trascorre più lentamente: essi trascorrono le giornate cibandosi di carne e birra fatate in grado di assicurar loro l’eterna giovinezza.
Secondo la tradizione, la sottile barriera tra il mondo dei Túatha Dé Danann (noti, in questa veste, anche come popolo dei Sidhe) e quella degli uomini mortali può essere violata solamente in alcune, rarissime occasioni.
Una di queste è la solenne festa di Samain[7], in cui il confine tra il mondo terreno e quello soprannaturale viene meno e gli esseri fatati vengono a far visita alla gente comune; anche il più umile dei contadini irlandesi si aspetta, almeno una volta nella vita, un incontro con le fate o con i folletti e diventerà molto scortese con chi oserà anche solo metterne in dubbio l’esistenza.
[1] CHRETIEN DE TROYES, Perceval il Gallese o il racconto del Graal, Milano, Garzanti-Vallardi, 1994, p. 31.
[2] A lui era infatti dedicata una delle festività più importanti della tradizione celtica: Lughnasad, la festa del Sole, che corrisponde alla odierna ricorrenza del Ferragosto.
[3] La Mórrígan era l’antica dea della guerra, che nel ciclo mitologico diventa uno dei Tùatha Dé Danann al seguito di Lugh dal Lungo Braccio.
[4] AGRATI-MAGINI, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, Milano, Mondadori, 1983, p. 68-69.
[5] ROLLESTON, I miti celtici, Milano, Longanesi, 1994, p. 103.
[6] LLYWELYN, I guerrieri del Ramo Rosso, Milano, Casa Editrice Nord, 2003, p. 8.
[7] Nel nostro calendario, equivale alla notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre e sopravvive ancora oggi nella tradizione popolare con il più pittoresco nome di “Halloween”.
FINE
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.