I cinque soli
I CINQUE SOLI
L’EQUILIBRIO COSMICO SECONDO GLI AZTECHI[1]
Nella mitologia del Mesoamerica, la leggenda vuole che i Mexicas (l’antico ed originale nome degli Aztechi) fossero partiti da nord per giungere dopo una lunga peregrinazione nel lago Texcoco.
Il loro dio protettore Huitzilopochtli (il Colibrì Azzurro) aveva predetto che un giorno essi avrebbero visto un’aquila sopra un cactus con un serpente nel becco e in quel punto avrebbero fondato la loro città.
Così avvenne e, dopo molti anni, i Mexicas gettarono le fondamenta della loro capitale, Tenochtitlàn, su un isolotto posto al centro del lago.
In breve tempo essi divennero una grandissima potenza economica e militare e costruirono un vasto impero.
La loro visione dell’origine del cosmo è una delle più originali tra quelle elaborate dalle culture del Nuovo Mondo.
1.
I CINQUE SOLI
Secondo la religione degli Aztechi, l’idea dell’origine del mondo era strettamente connessa con quella della sua distruzione.
Nella religione di questo antico popolo, infatti, la storia viene caratterizzata dal continuo avvicendarsi di cicli di nascita e morte: ciascuna delle ere precedenti prende vita con l’atto della creazione, per poi terminare tragicamente con una catastrofe naturale che pone fine, in modo drammatico, ad un’epoca storica.
Poiché ognuna delle ere viene contraddistinta dal dominio di una divinità solare, la storia del mondo viene descritta attraverso l’avvicendarsi dei soli: nacque così il mito dei Cinque Soli.
In principio, secondo quanto ci viene tramandato dai sacerdoti, il mondo era avvolto dalle tenebre e funestato da fiere orribili che tormentavano i pochi esseri umani che riuscivano a sopravvivere in un clima tanto ostile.
Questo periodo di oscurità coincide con l’era del Sole di Terra ma era noto anche come l’Era dei Puma, poiché essi dominavano il mondo e divoravano senza pietà gli uomini che osavano comparire in un’epoca tanto sventurata.
Quest’epoca finì con un terribile terremoto che sconvolse del tutto la crosta terrestre: gli uomini che riuscirono a sopravvivere a questa terribile catastrofe si trasformarono in scimmie.
In seguito, il cosmo venne dominato dal Sole di Fuoco: in quest’epoca molti esseri viventi vennero alla luce e prosperarono, ma tutte le specie vennero annientate da una pioggia di lava e da incendi che devastarono tutto il pianeta; gli unici a sopravvivere furono gli uccelli e quei pochi esseri umani in grado di trasformarsi in volatili.
Venne quindi il Sole d’Aria: come le precedenti, anche questa era venne contraddistinta dal proliferare della creazione ma finì in modo tragico: un terribile uragano spazzò via alberi, monti e le case degli uomini.
La quarta era fu contraddistinta dal Sole d’Acqua, che finì con una grande inondazione in cui tutti gli esseri viventi (tranne i pesci) annegarono.
La leggenda racconta che, prima del diluvio, il Sole d’Acqua si sarebbe recato da due esseri umani, Tata e Nena, dicendo loro: “Sappiate che sto per sommergere con la pioggia tutta la terra; tutti ne moriranno, tranne voi; ma solo se farete quello che dico”.
L’uomo e la donna rimasero sconvolti da quanto era stato loro rivelato dal dio Sole, che così continuò:
“Voi dovrete trovare al centro della foresta un albero alto e robusto; alla sommità del tronco dovrete praticare una cavità e rifugiarvi lì sino a quando le acque non saranno defluite. Ricordatevi, però, una volta tornati sulla terra, di prendere lo stretto indispensabile per sopravvivere: ciascuno di voi potrà avere solo una pannocchia di mais per sfamarsi e niente altro”.
Tata e Nena si diressero nella foresta e cercarono l’albero più grande, all’interno del quale vi era già una cavità naturale: fu sufficiente allargarla un poco per avere un comodo rifugio.
Di lì a poco ebbe inizio il terribile diluvio, che sommerse tutto: corpi, alberi, rocce ed utensili vennero travolti dalle acque e portati via.
Solamente dopo molto tempo le acque finalmente si abbassarono: Tata e Nena, sia pure con molta prudenza, scesero dal loro rifugio e misero nuovamente i piedi a terra.
Erano molto affamati e, quando videro un pesce che nuotava in un fiume ancora gonfio per via della piena, dimenticarono completamente gli ordini del Sole d’Acqua.
L’uomo e la donna catturarono il pesce e cominciarono ad arrostirlo sul fuoco: il fumo salì verso l’alto e venne notato anche dal dio Sole, il quale adirato così si rivolse verso i due esseri umani:
“Stolti, perché mi avete disobbedito? Vi avevo detto di accontentarvi di una sola pannocchia di mais”.
E, preso un grosso randello, percosse la testa di Tata e Nena con tale violenza da distruggere quella parte del cervello che rende gli uomini simili a dei; i due sopravvissuti al diluvio vennero così tramutati in cani.
Il Quinto Sole nacque nella città santa di Teotihuacàn; secondo i più, la quinta era (quella in cui viviamo) sarebbe destinata a non avere mai termine perché l’ultimo dei soli, dopo aver radunato tutti e quattro gli elementi, prima in contrasto tra di loro, li avrebbe riconciliati creando così un equilibrio perenne;
altri, invece, sostenevano che anche l’epoca attuale, caratterizzata da terremoti, guerre e carestia, verrà annientata con una catastrofe.
Per questo motivo, gli Aztechi temevano in particolar modo la fine di un ciclo cosmico (che coincideva con un periodo pari a cinquantadue anni), perché al termine di questo periodo il mondo rischiava di perire ancora una volta a causa di una catastrofe naturale.
I sacerdoti celebravano complessi rituali che prevedevamo anche quei sacrifici umani che tanto raccapriccio suscitarono negli Europei che vennero a contatto con questi popoli[2].
La prima alba del nuovo ciclo veniva quindi salutata da tutti con grande sollievo: l’era del Quinto Sole era destinata a durare ancora.
2.
QUETZALCOATL
La mitologia degli Aztechi ricorda spesso il nome del dio Quetzalcoatl (il Serpente Piumato), venerato presso molte altre delle civiltà precolombiane, tra cui i Maya (che lo chiamavano Kukulkán), i Mixtechi e i Toltechi: era il dio del cielo e del sole, dei venti e della stella del mattino; come tale, egli era considerato il benefattore di tutta l’umanità[3].
Quetzalcoatl fu conosciuto come inventore dei libri, del calendario e soprattutto come colui che donò il mais al genere umano. Egli non richiedeva sacrifici umani, ma sosteneva che essi dovevano essere sostituiti con offerte di fiori, incenso, farfalle e pane di mais.
La vita del Serpente Piumato era basata sul digiuno, sull’astinenza e su continue penitenze: egli era solito mortificarsi pungendosi la pelle con spine di cactus sino a farsi uscire il sangue.
La vita ascetica di Quetzalcoatl, la sua bontà e la sua purezza irritarono non poco il dio Tezcatlipoca (dio del male e del cielo notturno, suo rivale e nemico). Volendo distruggere l’integrità del Serpente Piumato, gli offrì una tazza di pulque, un liquore ottenuto dalla fermentazione del succo di agave.
Non essendo abituato all’uso di queste bevande, Quetzalcoatl ben presto si ubriacò e, preso da una insana passione, si gettò tra le braccia della sorella. Per qualche tempo, egli condusse una vita dissoluta, dimentico della purezza e della castità che aveva predicato in passato.
Una volta venuto meno l’effetto inebriante del liquore, il Serpente Piumato si rese improvvisamente conto di quanto aveva commesso e abbandonò in lacrime la sua città per recarsi sulla riva del mare.
Qui, Quetzalcoatl eresse una pira funebre e, indossata una maschera di turchese e indossato un abito fatto di verdi piume di uccello, si gettò tra le fiamme.
Alcuni istanti dopo, i suoi seguaci potevano assistere alla metamorfosi del dio, che si era trasformato in un nuovo, luminosissimo astro: era diventato la nuova stella del mattino.
Secondo una diversa versione del mito, il dio Quetzalcoatl non morì ma si sarebbe congedato dal suo popolo, prendendo il largo a bordo di una zattera fatta di pelli di serpente; egli tuttavia promise che un giorno sarebbe tornato dal mare per riconquistare il potere e portare una nuova età dell’oro[4].
Quest’ultima versione del mito, paradossalmente, fu fatale per il destino dell’impero azteco; si diceva infatti che Quetzalcoatl fosse molto alto di statura, di pelle chiara, con lunghi capelli neri e dalla barba fluente.
Quando, nel 1519, lo spagnolo Hernán Cortés giunse in Messico, poiché questi aveva caratteristiche fisiche in gran parte corrispondenti a quelle che venivano attribuire al Serpente Piumato, molti tra gli Aztechi (tra cui lo stesso re azteco Montezuma II) sembravano giustificarne la identificazione con il dio.
Per questo motivo, il conquistatore Cortés fu inizialmente accolto con grandi onori. Quando, tuttavia, le reali intenzioni di conquista e distruzione dei conquistadores furono palesi, gli Aztechi si resero conto del tragico errore commesso; ma ormai era troppo tardi: la cruenta conquista del Messico da parte degli invasori era ormai una realtà.
La cosmogonia degli Aztechi non è ovviamente l’unica tra le leggende del Nuovo Mondo.
Secondo gli antichi testi Maya del ‘Popul Vuh’, infatti, gli dei Pepeu (il Creatore) e Gucumaz (il Plasmatore) decisero di trasformare le tenebre in giorno e di dar vita al mondo.
Alla fine, gli dei decisero di creare l’uomo: dapprima, essi lo plasmarono con il fango ma questi si sciolse con l’acqua; poi, provarono a formare uomini e donne con il legno: il materiale era sicuramente più resistente, ma gli esseri creati erano del tutto privi di raziocinio e non avevano sentimenti religiosi, per cui gli dei decisero di sterminarli con un’alluvione.
Infine, gli esseri umani vennero creati con la pappa di mais: ed essi furono i nostri progenitori.
Secondo gli Incas, invece, fu il dio creatore Viracocha a decidere di costruire il mondo in cui far vivere gli uomini, che egli stesso plasmò in una grotta nei pressi di Cuzco, la futura capitale dell’impero incaico.
Anche gli Indiani d’America ci hanno lasciato numerose versioni sulla creazione del mondo, di cui non è possibile dare un resoconto completo, essendo il patrimonio di leggende ampio e variegato:
esse spaziano da versioni molto ingenue, che attribuiscono l’atto creativo a divinità burlone (come quelle diffuse presso i Cree e i Lakota) o ad animali come la Volpe Argentata (Achumawi), sino ad elaborazioni più raffinate (Apache, Navaho) che sfiorano la speculazione filosofica (come presso gli Omaha, secondo i quali: “In principio tutte le cose erano nella mente del Wakonda. Tutte le creature, compreso l’uomo, erano spiriti” [5]).
EPILOGO
Riuscire ad affrontare il tema della creazione del mondo secondo le versioni che ci hanno tramandato i nostri antenati è impresa certamente ardua, che meriterebbe sicuramente una trattazione di ben più ampio respiro.
Ho cercato di selezionare quei miti che, a mio giudizio, potevano incuriosire maggiormente il lettore (ma forse mi sono fatto condizionare dalle storie che avevano lasciato di più il segno nel mio immaginario).
Esistono, ovviamente, oltre alle leggende citate, molti altri poemi cosmogonici di cui non si è potuto fare cenno in queste pagine, ma che costituiscono patrimonio dell’umanità. [6]
E’ singolare osservare come, per alcuni popoli, la storia della nascita del mondo coincide in gran parte con le origini del proprio paese o delle istituzioni che lo rappresentano: in Cina, ad esempio, i testi più antichi narrano con dovizia di particolari la nascita dell’Impero e la storia dei Otto Sovrani Predinastici che precedono la nascita delle dinastie protostoriche (Xia, Shang).
Diversamente, presso altre culture la ricerca delle origini viene in gran parte sostituita dalla ricerca del capostipite del clan o della tribù, spesso idealizzato e raffigurato in sembianze animali[7]; in questo caso la cosmogonia coincide con la storia degli antenati, che le generazioni successive avrebbero poi evemerizzato[8].
Tale concezione è tipica delle popolazioni africane, il cui patrimonio di favolistica costituisce un ‘unicum’ culturale che non ha uguali nel mondo.
Nella maggior parte dei casi le fiabe africane adottano un linguaggio simbolico, attingendo spesso al mondo animale per affrontare sia temi sacri che la quotidianità.
Più raramente possiamo rinvenire concezioni teologiche vere e proprie, anche se non mancano riferimenti alla dea madre, come la Mawu-Lisa di cui parlano gli antichi abitanti del Benin, ovvero al dio del cielo e creatore, come il Nladima dei Pigmei.
Analogamente, presso gli Aborigeni dell’Australia manca una vera e propria concezione cosmogonica (o, almeno, non è giunta sino a noi; la cultura aborigena, infatti, non conosce se non l’oralità per la trasmissione di racconti e leggende[9]).
Normalmente, i racconti tradizionali si riferiscono al passato mitico[10] in cui vissero gli antenati (spesso raffigurati o descritti come animali o vegetali), dalle doti sovrumane ed in grado di insegnare ai discendenti tutte le arti necessarie alla sopravvivenza. L’idea di un Essere Supremo fa comunque capolino nei racconti di alcune popolazioni, come quella degli Arunta.
Non mancano, ovviamente, visioni più complesse o fantasiose sulla creazione del mondo.
In Giappone, ad esempio, si narra che all’inizio esistevano i due ‘kami’ Izanagi e Izanami, i quali plasmarono il mondo e generarono tutte le altre divinità, tra cui la loro figlia prediletta, Amaterasu.
La morte improvvisa di Izanami sconvolse il suo consorte, che tentò in tutti i modi (ma invano) di riportare indietro l’amata dal regno dei morti; la comparsa del lutto per la prima volta nell’universo segnò per sempre il destino de la creazione.
Da allora, infatti, le divinità benigne e quelle malvagie si affrontarono in una devastante lotta, che costrinse Amaterasu, dea del sole, a nascondersi. Alla fine, ella si persuase ad uscire all’esterno incuriosita dalla danza di alcuni ‘kami’ e il mondo venne illuminato nuovamente dal sole.
Amaterasu plasmò gli elementi e domò il ciclo delle stagioni e mandò un suo nipote (Ninigi) sulla terra per governare il Giappone.
In India il ‘corpus’ mitologico è vastissimo e copre una quantità enorme di testi letterari e di divinità, la più importante delle quali fu, inizialmente, Indra.
Successivamente, la cultura induista elaborò una concezione filosofico-religiosa estremamente raffinata sulla creazione del mondo e sul suo eterno ciclo di nascita, distruzione e rinascita.
Nel pantheon indù particolare importanza rivestì la Trimūrti, costituita dagli dei Brahma (il dio creatore che mise in moto l’universo), Śiva (il dio associato alla distruzione e alla sregolatezza) e Viṣṇu (il dio conservatore, divinità solare che illumina l’umanità con la sua luce apparendo spesso sulla terra come ‘incarnazione’ o ‘avatar’).
Chiudiamo questo rapido ‘excursus’ per arrivare alla facile conclusione che non è possibile esaurire l’argomento delle origini del mondo in poche pagine.
Questo opuscolo vuole essere solo uno stratagemma per schiudere la porta verso un mondo, quello dei nostri antichi progenitori, che sa di notti antichissime passate accanto al fuoco a raccontare favole.
Se qualcuno avrà voglia di spalancare questa porta per conoscere meglio il sogno degli dei, allora l’Autore potrà affermare con soddisfazione di essere riuscito pienamente nel suo intento.
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