Enūma Eliš
ENŪMA ELIŠ
I POEMI DELLA MESOPOTAMIA
I popoli della Mesopotamia ci hanno lasciato una delle versioni più affascinanti mai scritte sulla creazione del mondo.
Le prime testimonianze risalgono, ovviamente, all’epoca dei Sumeri, chiamati spesso, nei testi più antichi, ‘Teste Nere’ per la carnagione più scura rispetto alle altre popolazioni semitiche che abitavano quella regione.
Oscura è l’origine del popolo sumerico, così come è estremamente difficile riuscire a risalire alla versione originale dei loro miti, interpolati da stratificazioni e aggiunte dei popoli che si succederanno nei millenni nella regione della cosiddetta Mezzaluna Fertile.
1.
I SUMERI
Ci fu un tempo in cui i sacerdoti dell’antica Sumer[1] adoravano la triade divina composta da Anu, Enki ed Enlil e per essi avevano edificato molte Città Tempio le cui sommità sembravano sfidare il cielo. A quell’epoca il popolo delle Teste Nere dominava il mondo e donò all’umanità uno dei tesori più preziosi: la scrittura.
Le prime leggende e i primi poemi dell’antichità giunti sino a noi, nonostante il terribile sfacelo causato dalle sanguinose guerre dei secoli successivi, risalgono proprio a quest’epoca[2].
In una di queste storie, si narra di Gilgameš, re di Uruk[3], il quale dopo la morte del suo amato e fedele compagno Enkidu viaggiò per anni alla ricerca del segreto dell’immortalità, che gli venne tuttavia negata per la sua natura (per due terzi divina e per un terzo umana).
Perché io sono quel Gilgameš
che afferrò e uccise il Toro del Cielo;
ho ucciso il custode della foresta dei cedri,
ho sconfitto Humbaba che abitava nella foresta
e ho ucciso i leoni sui passi del monte[4].
Nel corso del suo peregrinare, Gilgameš giunse sino al regno dei morti, dove riuscì ad apprendere direttamente dalla voce dei defunti la verità sulle antiche leggende del passato.
Una di queste, forse la più nota per il lettore moderno, racconta del Diluvio Universale, che gli dei decretarono a causa della malvagità degli uomini; nessuno sa se, in realtà, il mondo sia stato in effetti ricoperto completamente da un oceano d’acqua a causa di un disastro naturale o se gli uomini abbiano semplicemente voluto ricordare in questo modo una terribile inondazione di portata immane.
Fatto sta che le tavolette di argilla più antiche rinvenute nelle antiche biblioteche di Sumer ci raccontano delle imprese di Utnapištim, il progenitore dell’umanità che durante il Diluvio riuscì a mettere in salvo sé e la propria famiglia, assieme a tutte le specie di animali che oggi popolano il mondo.
Fu lo stesso Gilgameš, come si diceva, ad ascoltare direttamente dalla bocca di Utnapištim le vicende del diluvio, che il re di Uruk si preoccupò di mettere per iscritto non appena tornato in patria.
Alle prime luci dell’alba
Venne dall’orizzonte una nube nera;
tuonava da dentro,
là dove viaggiava Adad, signore della tempesta
[…]
Poi sorsero gli dei dell’abisso:
Nergal divelse le dighe dell’acqua sotterranea,
Ninurta dio della guerra abbatté gli argini
e i sette giudici degli Inferi, gli Anunnakkū,
innalzarono le loro torce.[5]
Il mondo di Sumer non ci ha tramandato solo leggende scolpite nell’eterno linguaggio della poesia, ma anche testi di astrologia e di complessi rituali di carattere religioso; è difficile, tuttavia, riuscire a decifrare quanto, dei testi che ci sono pervenuti, risalgano all’epoca delle Teste Nere e quanto, invece, sia frutto di interpolazioni successive.
Si narra infatti che, quando la terra di Sumer venne sconfitta da Akkad e dal popolo degli Amorrei, il culto della triade divina (Anu, Enki ed Enlil) venne soppiantato.
I vinti accettarono con rassegnazione l’affermarsi delle nuove credenze religiose, mentre i sacerdoti del nuovo culto si preoccuparono di riscrivere i testi sacri dell’epoca descrivendo con dovizia di particolari il passaggio di sovranità a Marduk, il nuovo sovrano del Cielo.
2.
I BABILONESI
I sacerdoti babilonesi ci hanno tramandato un poema sulle origini dell’universo noto come Enūma eliš (o “Epopea della Creazione”), che prende il nome dai primi versi trascritti sulle tavolette rinvenute a Kiš, Babilonia e Ninive.
Si tratta di una delle visioni cosmologiche più antiche tra quelle pervenute sino ai giorni nostri.
Questa è l’epopea che ha inizio all’origine del tempo
quando i cieli in alto
non erano stati ancora nominati
né la terra sotto era stata chiamata per nome.[6]
Esistevano, all’epoca, solo due divinità: Apsū, le acque primordiali sotto la terra, e Tiāmat, la personificazione del mare fonte della vita. Essi giacquero insieme e generarono tutti gli altri immortali.
Gli dei di quella generazione si riunirono
e disturbarono Tiāmat
e il loro chiasso rimbombava.
Essi fecero rimescolare il ventre di Tiāmat,
la infastidivano giocando nella dimora degli dei.
Apsū non riusciva a calmare il loro rumore.[7]
Allora Apsū, infastidito, meditò di uccidere tutti gli dei, ma il saggio Ea “che conosce ogni cosa” (altro nome di Enki) ne scoprì l’inganno, fece addormentare profondamente Apsū con un incantesimo e lo uccise; quindi Ea si impadronì della di lui moglie Damkina e concepì un figlio, cui pose il nome di Marduk.
Altero era il suo aspetto, penetrante il suo sguardo,
maturo il suo comportamento,
egli fu potente sin dall’inizio,
e suo padre l’ammirò e gioì raggiante;
molto al di sopra degli altri era superiore in tutto.[8]
Quando Tiāmat scoprì l’uccisione di Apsū se ne addolorò e cercò di vendicarsi, generando terribili mostri, tra cui i serpenti giganti, che vennero dotati di occhi aguzzi e zanne spietate; Tiāmat ne avvolse i corpi di veleno, anziché di sangue. Essa inoltre
generò un serpente cornuto,
un drago, un eroe lahmu,
un demone, un cane rabbioso,
un uomo scorpione, demoni aggressivi,
un uomo pesce e un uomo toro. [9]
Tiāmat condusse alla guerra il suo esercito di mostri e sconfisse ripetutamente gli dei che dovettero sottomettersi al suo potere; solo Marduk resistette alla furia dei demoni e si offrì di sconfiggere in duello la stessa Tiāmat. Una condizione Egli tuttavia pose agli altri dei; in caso di vittoria sarebbe diventato il dio supremo.
La mia parola decreterà il destino, non la vostra!
Ciò che creerò rimarrà per sempre inalterato!
Ciò che le mie labbra hanno decretato
non sarà mai revocato né cambiato![10]
Gli dei, nel corso di un banchetto, elessero Marduk come loro campione e questi preparò quindi le armi per la grande battaglia contro Tiāmat. Quando i due eserciti cominciarono a scorgersi in lontananza, Marduk venne colto all’improvviso da un sacro terrore e la sua sicurezza cominciò a vacillare. Tiāmat sogghignò e si gettò nella mischia.
Tiāmat e Marduk, il campione degli dei,
si fronteggiarono,
si fecero vicini e ingaggiarono battaglia.
Tiāmat aprì la bocca per ingoiarlo,
Marduk scagliò una freccia che le forò il ventre,
la trapassò a metà e le trapassò il cuore,
la vinse e le tolse la vita.
Egli gettò a terra la carcassa e le si mise sopra.[11]
Marduk sconfisse e imprigionò tutti i demoni creati da Tiāmat; quindi gettò a terra la carcassa della sua grande nemica e la divise a metà, “come un pesce messo ad essiccare”; con una metà Egli creò il firmamento e con l’altra fabbricò la terra.
Marduk organizzò tutto l’universo, creò il sole, la luna, gli astri, le nuvole, il vento e la pioggia; con la saliva di Tiāmat vennero fabbricate le nuvole, con i suoi occhi il Tigri e l’Eufrate. Il dio supremo impose le leggi alla natura e agli esseri viventi e fece costruire le dimore degli dei all’interno della città più sacra che chiamò Babilonia.
Per un anno intero gli dei costruirono mattoni e costruirono il grande santuario e il tempio a gradini chiamato ziqqurat.
Gli altri dei gli tributarono grandi onori e lo proclamarono il dio supremo, poiché Egli aveva salvato l’universo dalle forze distruttrici del caos.
Infine, Marduk si accinse a compiere il miracolo più grande: mettendo insieme “sangue ed ossa”, il dio creò l’essere primitivo cui diede il nome di Uomo, affinché la sua discendenza potesse proseguire il lavoro degli dei.
Finisce così l’epopea della creazione così come ci è stata tramandata dai sacerdoti di Marduk. La mitologia mediorientale dei secoli successivi è permeata, invece, dalla religione persiana, dominata dalla figura di Ahura Mazda, il signore degli dei che creò il cielo, l’acqua, la terra e l’Albero originale.
Alla grande potenza di Ahura Mazda, tuttavia, si contrappone lo Spirito del Male rappresentato da Ahriman, che mira alla distruzione del mondo ed è impegnato in una perenne lotta cosmica con il Bene.
Ahura Mazda crea gli uomini proprio per assisterlo nel conflitto contro il male, ma Ahriman riesce ad installare in alcuni di loro l’inganno e la falsa convinzione che sia stato il maligno a creare il mondo.
Secondo la mitologia persiana, l’era in cui viviamo terminerà con la sconfitta totale del male, grazie all’apporto decisivo degli uomini virtuosi, anche se la punizione dei malvagi non sarà per l’eternità, essendo ciò una contraddizione con la misericordia divina.
Non vi è chi non vede – e forse non a torto – in Ahrihman un antesignano della figura di Samael, personaggio della mitologia ebraica entrato poi di prepotenza nella cultura cristiana e meglio noto come Satana (v. Capitolo VI).
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