Sigurd, l’ammazzadraghi – 2 di 2

Sigurd uccide Fafnir

4.

Sigurd e i Burgundi

 

            Sigurd giunse nel paese dei Franchi e lì vide un bastione di scudi, circondato da un cerchio di fuoco; il giovane guerriero, incuriosito, spronò il suo cavallo e balzò sopra le folgori. Qui egli notò un guerriero che giaceva “in un sonno di morte”[1], vestito con un elmo ed una cotta di maglia e con una spada accanto.

            Sigurd sollevò l’elmo e scoprì una lucente chioma bionda: il fantomatico guerriero altri non era che Brunilde, una donna guerriera al seguito del grande Odino, condannata dal nume a cessare di combattere e a trovare marito: questa era la punizione per aver aiutato un guerriero in battaglia contro il volere degli dei.

            La valchiria[2] aveva accettato il suo destino ma chiese di poter essere sposata solo dal guerriero più valoroso di tutti; Odino l’aveva così fatta addormentare dentro un cerchio di scudi circondato dalle fiamme, in modo che solo il più valente degli uomini potesse spezzare l’incantesimo.

            Sigurd lacerò la cotta di maglia della donna guerriera ed in questo modo restituì Brunilde al mondo: tra i due nacque immediatamente una passione amorosa, per cui essi si giurarono eterna fedeltà.

            Il figlio di Sigmundr donò alla sua amata il fatale anello di Andvari, le raccontò delle sue imprese e del suo desiderio di compiere altre gesta eroiche, rivelando anche il segreto della sua invulnerabilità. Brunilde, a questo punto, disse a Sigurd di ritornare da lei solo quando si fosse procurato una corona ed un regno.

            Sigurd proseguì il suo viaggio ed arrivò nella terra dei Burgundi, dove regnavano Gjuki e sua moglie Crimilde, una esperta conoscitrice di magia.

            Essi avevano tre figli maschi, di nome Gunnarr, Högni (Hagen) e Gothorm, nonché una figlia femmina che si chiamava Gudrun.

            Poiché i sovrani dei Burgundi ritenevano che sarebbe stata una fortuna se l’uccisore del drago avesse sposato la loro principessa, la regina preparò un filtro magico che dava l’oblio a chiunque ne bevesse.

            Sigurd sorseggiò la bevanda e, in un attimo, dimenticò Brunilde e le sue promesse di amore eterno: egli sposò quindi Gudrun e si legò con giuramenti ai suoi fratelli, con i quali egli compì grandi imprese.

            Non passò molto tempo che Gunnarr concepì l’idea di prendere in sposa proprio la valchiria circondata dal bastione di scudi; per quanti sforzi egli facesse, tuttavia, egli non riusciva a spronare il suo cavallo oltre il muro di fuoco.

            Venne allora in suo soccorso Sigurd che, prese le sembianze del cognato, spinse Grani al di là del cerchio di scudi e si presentò a Brunilde come Gunnarr, chiedendola in sposa. Il figlio di Sigmundr dormì per tre notti con la valchiria, ma come atto di estrema correttezza nei confronti del figlio del re dei Burgundi collocò sempre nel letto la sua spada, in modo che i corpi di lui e di Brunilde rimanessero separati. Egli non potè fare a meno, tuttavia, di sottrarre alla bella guerriera il prezioso anello di Andvari (che, in precedenza, lui stesso le aveva donato) sostituendolo con un altro monile del tesoro di Fafnir.

            Brunilde, pur rimanendo assai perplessa per la piega degli eventi (ella non aveva dimenticato la promessa d’amore fatta a Sigurd), acconsentì alle nozze con Gunnarr che vennero celebrate con grande letizia del popolo dei Burgundi.

            Avvenne tuttavia in seguito che tra Gudrun e Brunilde scoppiasse una lite su chi fosse il più nobile e il più coraggioso tra gli uomini. La valchiria sosteneva con veemenza che nessuno, all’infuori di Gunnarr, sarebbe stato in grado di attraversare il bastione di fuoco; allora, Gudrun la schernì e rivelò che era stato suo marito Sigurd a compiere l’impresa: prova ne era l’anello di Andvari, che il figlio di Sigmundr aveva donato alla moglie dopo averlo sfilato dalla mano di Brunilde.

            A seguito di quella notizia, la valchiria divenne triste e taciturna; nel profondo, ella cercava vendetta nei confronti di Sigurd per quello che considerava un vero e proprio tradimento.

            La tristezza mutò ben presto in furore, ragion per cui Brunilde spinse il marito ad uccidere il cognato Sigurd calunniandolo presso di lui; la valchiria arrivò anche a rivelare a Gunnarr l’unico punto debole dove colpire il figlio di Sigmundr.

            Alla fine fu Gothorm ad uccidere lo sterminatore del drago, sorprendendolo nel sonno (anche se, prima di spirare, lo sposo di Gudrun riuscì a prendersi la sua vendetta decapitando il suo assassino con un fendente). Altre fonti riportano invece che fu Högni ad uccidere il cognato in un vile agguato, colpendolo alle spalle durante una battuta di caccia.

            Una cerimonia funebre senza pari venne allestita per celebrare il grande eroe: attorno alla pira vi erano arazzi e scudi, la spada Gramr e due falchi; quando il fuoco venne acceso, la bella Brunilde non potè sopportare il rimorso per aver causato la morte di chi gli aveva giurato amore eterno: ella indossò la corazza e si trapassò con la spada (ovvero, secondo alcuni, si gettò tra le fiamme).

            Poi le fiamme divampano

            con turbinio di fumo,

            alto ruggisce il fuoco,

            circondato da pianti.

            Trapassò così Sigurd

            discendente di Volsung,

            anche Brynhild fu arsa:

            e ogni gioia ebbe fine[3].

            Sigurd e Brunilde vennero accolti nel Valhöll (Valhalla), dove banchettarono alla destra del padre Odino, in attesa della guerra finale che opporrà un giorno le forze del bene a quelle del male.

 

            Quando il corno di Heimdall

            tutti udranno squillare

            e il ponte dell’Iride

            piegheranno i cavalli,

            sarà Brynhild a cingergli

            la cintura e la spada[4].

 

            Dopo la morte di Sigurd, i Burgundi si impossessarono del tesoro di Fafnir e, da allora, presero il nome di Nibelunghi; un triste destino, tuttavia, attendeva gli assassini.

 

[1]     TOLKIEN, op. cit., Il nuovo lai dei Volsunghi, cap. VI, str. 3, p. 141.
[2] La valchiria è una divinità femminile minore al servizio di Odino; esse si aggiravano sopra i campi di battaglia per scegliere i caduti e portarli nel Valhalla, ad accrescere lo stuolo di guerrieri valorosi che combatteranno dalla parte del bene il giorno della fine del mondo.
[3]     TOLKIEN, op. cit., Il nuovo lai dei Volsunghi, Deild, str. 76, p. 200.
[4] TOLKIEN, op. cit., Il nuovo lai dei Volsunghi, Deild, str. 79, p. 201.

 

La scultura di Ramsund (Svezia), risalente al XI sec. d.C.

 

5.

La strage dei Nibelunghi

 

            Circa tredici anni dopo la morte dell’amato Sigurd, l’infelice Gudrun venne data in sposa, contro la sua volontà, al re degli Unni Atli (Attila).

            L’avido sovrano voleva a tutti i costi impadronirsi del tesoro dei Nibelunghi, per cui egli invitò Högni e Gunnarr nelle sue terre, pensando poi di tradirli.

            Gudrun comprese che si ordiva un inganno contro i suoi fratelli, per cui incise delle rune, prese un anello d’oro, vi legò un pelo di lupo e lo consegnò a dei messaggeri affinchè lo consegnassero direttamente ai Nibelunghi; uno dei messi, tuttavia, lesse il messaggio e lo alterò in modo tale che apparisse che Gudrun invitava i suoi familiari a recarsi alla corte di Atli.

            I Nibelunghi ricevettero l’invito e si consultarono tra di loro per decidere se fosse opportuno accettarlo; a persuaderli furono proprio le rune alterate, che i Burgundi attibuirono a Gudrun.

            Mentre i Nibelunghi attraversavano il Danubio, le Ondine (le ninfe del fiume) profetizzarono a Högni che, di tutta la compagnia, solo un monaco sarebbe tornato vivo in patria.

            Högni, con fare sprezzante, per impedire l’avverarsi della profezia tentò di uccidere l’unico monaco al seguito della spedizione, gettandolo nel Danubio: questi, però, riuscì a guadagnare l’altra sponda del fiume e a tornare indietro. A quel punto, alcuni dei Nibelunghi cominciarono a dare credito alla profezia.

            Giunti alla corte di Atli, i Burgundi si mostrarono sin da subito sospettosi e si rifiutarono di consegnare le proprie armi.

            Atli li circondò con il proprio esercito e dichiarò che era sua ferma intenzione ucciderli ed impadronirsi del famoso tesoro conquistato da Sigurd uccidendo il drago. In breve tempo le due fazioni diedero inizio ad una’aspra battaglia.

 

            Giunti alle nere porte

            gridarono e colpirono;

            delle spade il clangore,

            delle scuri lo schianto.

            I fabbri da battaglia

            martellano le incudini;

            scintillano e si spaccano

            elmi e lance degli Unni[1].

 

            Il combattimento durò a lungo e con gravi perdite da una parte e dall’altra; gli uomini di Atli circondarono Högni e riuscirono a catturarlo: il re degli Unni ordinò che gli fosse strappato il cuore (si dice addirittura che il cuore del Nibelungo rimase saldo anche dopo il supplizio).

            Anche Gunnarr venne catturato e rivelò al re degli Unni che il tesoro dei Nibelunghi era stato nascosto nelle profondità del fiume Reno e che pertanto nessuno al mondo sarebbe stato in grado recuperarlo. Atli allora fece gettare il cognato in una fosse di serpenti, dove il guerriero trovò la morte[2].

            Ma la turpe saga dei Nibelunghi non finisce qui: Gudrun, infatti, meditò di vendicarsi nei confronti del marito che gli aveva ucciso i fratelli.

            Secondo taluni, ella giunse al punto di uccidere i figli che aveva avuto da Atli, rivelando al re quel che aveva fatto e rivolgendogli parole ingiuriose.

            Altri sostengono invece che Gudrun si alleò con Hniflungr, figlio di Högni, per uccidere il sovrano degli Unni; essi sorpresero Atli nel sonno e lo trafissero con la spada: il re degli Unni, prima di spirare, rivolse alla moglie parole di odio.

            Gudrun promise un degno funerale per il marito: ella appiccò il fuoco alla corte e tutti gli uomini che si trovavano lì ne morirono.

            Con le fiamme della reggia di Atli, che giunsero a lambire il firmamento, termina una delle leggende più turpi e gloriose della storia del mondo. Essa influenzò autori antichi e moderni e proprio con i versi di uno degli ultimi scrittori ispirati da questa saga intendiamo congedarci dall’atmosfera delle saghe nordiche, che sa di clangore di spade, di magia e di gesta valorose.

 

            Così ha fine la gloria,

            e sbiadisce anche l’oro,

            su rumori e clamori

            scende sempre la notte.

            Sollevate ora i cuori

            guerrieri e fanciulle

            per il ‘lai’ di dolore

            che un tempo si cantò[3].

Sigurd e il drago

[1]     TOLKIEN, op. cit., Il nuovo lai di Gudrun, str. 100, p. 318.
[2]   Va evidenziato che, nella versione germanica del poema, è Gudrun (che l’anonimo autore dei Nibelunghi chiama Crimilde) ad organizzare la sua vendetta nei confronti dei fratelli Hagen (Högni) e Gunther (Gunnarr) e a pretendere che le venga reso il tesoro dei Nibelunghi. Nella disputa che ne seguì, i Burgundi vennero accerchiati in un salone e vennero attaccati dagli Unni in diverse ondate.
Il poema indugia sul conflitto interiore di personaggi come Rüdiger e Teodorico da Verona, che sono legati da vincoli di amicizia con i Burgundi ma sono anche vassalli di Attila. Rüdiger decise di affrontare i Burgundi ma acconsentì a donare armi ai Nibelunghi affinchè potessero difendersi.
Dopo una serie lunghissima e tragica di duelli e combattimenti, tutti i Burgundi vennero uccisi, eccetto Hagen e Gunther. Crimilde uccise Gunther in prigione e mostrò la sua testa a Hagen, intimandogli di rivelare dove aveva nascosto il tesoro; il rifiuto di Hagen venne ripagato con la morte.
A quel punto Ildebrando, maestro d’ armi di Teodorico, preso dall’ira per la morte di tanti valorosi causata dalla sete di vendetta di Crimilde, impazzì e uccise la moglie di Attila, mettendo così fine alla stirpe dei Nibelunghi.
Non è inutile evidenziare che la strage raccontata nelle saghe nibelungiche ha un fondamento storico; nel 437 d.C., infatti, i Burgundi stanziati dentro i confini dell’impero romano vennero dapprima attaccati dalle truppe legionarie del comandante Ezio e poi annientati dagli Unni. L’eco di questo massacro influenzò la poesia epica medievale al punto da farne l’argomento di molte saghe, anche se il luogo del massacro venne ‘trasferito’ nella terra degli Unni.
[3]   TOLKIEN, op. cit., Il nuovo lai di Gudrun, str. 166, p. 340.

 

 

 

di Daniele Bello

 

Luglio 25, 2017

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