Il giardino dei sogni infranti
Linda, ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?
Io, vagabondo giornaliero lungo i sentierini di quel bel giardinetto sotto casa, un giorno qualsiasi di primavera, ebbi il privilegio di incrociare i tuoi occhi nocciola, dai riflessi ambrati. Ti ricordi quanto tremavo, da capo a piedi, quando presi posto accanto a te?
Un solo “ciao”, e le porte del paradiso già si spalancavano lentamente davanti a noi. Tu stavi leggendo una raccolta di poesie di Pablo Neruda, io temevo di essere di troppo e formulavo frasi brevi. E quanto brio e gioia di vivere provai quando restammo d’accordo di ritrovarci il giorno dopo, su quella panchina vicina al laghetto dei cigni, per leggere qualcosa assieme.
Non scorderò mai i teneri pomeriggi passati con te, immersi in letture di testi immortali. I fiori nelle aiuole intorno a noi sbocciavano sempre più; uccellini invisibili tra le fronde diffondevano i loro canti come dolce sottofondo musicale; i passanti, i bambini che si riconcorrevano giocando, i loro schiamazzi, si dissolvevano in echi lontani al suono della tua voce. E ti ricordi il nostro primo bacio?
Capitò così, senza che ce ne rendessimo nemmeno conto. Occhi negli occhi, dopo una lettura, una sola carezza. Tutta la mia anima avvampò nel ritrovarti vicinissima. E poi, al tocco delle nostre labbra, tutto l’universo sfumò intorno a noi.
Mai dimenticherò il sorriso che mi regalasti quando riaprimmo gli occhi. Il giardino, tutto, sembrava risplendere di una luce venerea, scintillante quanto il tuo sguardo magnetico.
Quanta freschezza e leggerezza provavo nello spirito quando stavamo abbracciati, testa contro testa, a sussurrarci parole dolci nelle orecchie, immersi nel tranquillo far niente, con le voci incrinate dalle emozioni. Eri una boccata di ossigeno, eri l’estate che mi si spalancava davanti e mi accoglieva nel suo caldo abbraccio. E quanto brillavano di promesse i nostri occhi, ogni volta che si incontravano.
Linda.
Molto tempo è già passato dal nostro ultimo incontro. Le primavere e le estati scivolano via lasciando posto ad autunni e inverni sempre più tristi e cupi. I cigni non sguazzano più nel loro stagno. I fiori, anche d’estate, hanno perso ogni lucentezza dai loro petali. I canti degli uccellini si disperdono tra le fronde come echi di sofferenza.
Non ci sei più.
Non so chi potrebbe spiegarmi il perché accadano certe cose. Forse non esiste nemmeno un perché. Eri il fiore più radioso, e la malattia ti ha piegata e strappata, portandoti fin troppo lontano da me.
Io, vagabondo giornaliero lungo i sentierini di quel bel giardinetto nel quale abbiamo vissuto il nostro sogno d’amore, non manco mai di fermarmi alla nostra panchina e di fissare triste, malinconico, l’acqua immota del laghetto, sicuro che, prima o poi, le nostre anime si riuniranno tra cori di serafini, ma consapevole che, nei percorsi del mio viaggio, mai più incontrerò una come te.
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