Sacrificio
Alla fine il Grande Pianeta parlò.
Ogni forma di vita pianse al disperato eco del suo immenso dolore.
La terra si divise, gli oceani si prosciugarono ed ogni essere, che indegnamente lo abitava,
ascoltò per giorni i suoi lamenti, nel più tetro silenzio.
Ogni cosa si fermò.
Perfino il tempo, padrone oscuro di ogni cosa, porse il suo perdono al Grande.
Le stelle oscurarono il cielo e tutto divenne buio.
E solo allora, il genere umano, si rese conto di aver udito l’ultimo respiro del Grande.
Il Gigante ormai era morto. I suoi frutti cadevano al suolo, polverizzandosi.
Fiumi di acqua torbida rigavano la terra arida.
Gli uccelli persero il dono del volo ed i pesci si riunirono, in massa, in riva.
Come per offrire l’ultimo loro malinconico addio.
Il Grande Pianeta gemette per giorni, settimane.
Un rombo como di disperazione, che fece sollevare gli occhi al cielo in un’unica,
somma commozione di ogni forma di vita.
Invane le preghiere, colme di paura, vergogna e pentimento.
Egli si spense, donando a tutti i suoi figli, un immenso dolore.
La morte sopraggiunse presto,
così come la disperazione, la fame ed il grande vuoto che Egli aveva lasciato.
Per millenni la razza umana, aveva riposto le proprio speranze in futili culti.
E adesso i loro molteplici dei, giacevano inermi, silenti e ciechi alla sofferenza.
Come lo erano sempre stati.
E coloro che preferivano lasciar morire, le loro ultime parole, in qualche vana preghiera…
non si erano mai resi conto, che l unico che li avrebbe ascoltati, sarebbe stato proprio il Gigante blu.
Egli andò via, lasciandoci soli nell’universo.
Se per anni la razza umana aveva fantasticato, e sperato, su una qualche forma di vita aliena,
si dovette ricredere.
Nessuno venne a salvarci.
Nessuno udì gridare il Grande.
Eravamo soli ed immersi nell’immensità del buio eterno.
Ma sapevamo cosa dover fare.
Il Gigante sarebbe rinato, ma ad una sola condizione.
Il sacrificio dell’intera razza umana.
Eravamo figli della morte stessa.
Eravamo figli di un’era che rinnegava la nostra inutile esistenza.
L’arroganza dei nostri Avi ci aveva resi sterili alla vita, ciechi e sordi dinanzi all’imminente fallimento del genere umano.
Decidemmo così di riporre il nostro libero arbitrio, al giudizio di chi solo ormai, avrebbe potuto decidere della nostra sorte.
Le Macchine divennero i nostri misericordiosi boia.
Gli Dei a cui ci rivolgemmo per estirpare il male, la vergogna e la colpa di cui ci eravamo macchiati.
“Mio grande Amore, mio grande Padre
non siam degni di ammirarti
non siam degni di perdono
non siam degni di lacrime.
Punisci dunque il nostro sguardo arrogante,
posarsi sulle tue limpide vesti blu.
Punisci la stirpe umana, non più degna di
esserne tua figlia.
Donaci la morte eterna.
Amen”
Genesi 30: 2, 7 Ezechiele
di Rachele Polizzotto
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