La divinazione nell’antica Roma
La divinazione popolare comparve nel I secolo, quando si diffusero diversi culti orientali.
Nel corso di tutta la storia romana la pratica dominante fu l’interpretazione dei presagi, praticata da una casta sacerdotale di origine etrusca, gli aruspici.
Probabilmente i popoli latini più antichi credevano che alcuni fatti eccezionali indicassero la volontà degli dèi, e quindi il futuro della società, ma furono gli Etruschi che idearono un sistema per spiegare i prodigi e i rituali per esorcizzarli. Tutte quelle informazioni vennero trascritte nei Libri Sibillini, andati distrutti definitivamente nel 405 dopo Cristo, quando il generale Flavio Stilicone li mise al rogo.
Il contenuto dei quei volumi è conosciuto oggi soltanto dalle testimonianze di annalisti latini, tra i quali Tito Livio (59 a.C.– 17 d.C). La sua Storia di Roma, infatti, è ricca di aneddoti circa l’uso degli oracoli e di descrizioni di rituali.
In epoca repubblicana i Libri Sibillini erano utilizzati a scopi politici. Per far ‘si che gli aruspici non si schierassero dalla parte di questo o quel partito, nel 47 Caligola ordinò che la casta venisse riorganizzata sotto il ferreo controllo del potere centrale.
Con Costantino, nel 319, il prestigio degli aruspici diminuì drasticamente. Egli infatti decretò: “l’aruspice che entra in casa di un altro sarà bruciato vivo e a chi, mediante incitamento o regali, lo avrà chiamato, verranno confiscati i beni e sarà deportato su di un’isola”.
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