Amazzoni e robot – Seconda parte – Sesta puntata

 

La flotta d’invasione del Superregno uscí dall’Iperspazio a un milione di chilometri dal pianeta Calorius del sistema della Vespa. Duecento navi trasporto truppe erano stipate di amazzoni in assetto da guerra e pronte allo sbarco.

Nell’enorme hangar del trasporto truppe Demetria, un centinaio di mezzi da sbarco era pronto al decollo, mentre una folla di qualche migliaio di amazzoni aveva gli occhi rivolti verso un enorme schermo. Lo schermo si accese. L’olografia di Klea apparve imponente sopra le loro teste, gigantesca. Da qualche anno luce di distanza attraverso l’Iperspazio la Reginissima non perse tempo in discorsi pomposi o retorici. Pronunciò solamente la parola chiave per attivare l’ordine programmato nel microchip inserito nella nuca delle sue soldatesse schiave: «Conquistate Calorius.»

Poi lo schermo si spense. Mentre migliaia di amazzoni, scattavano simili ad uno sciame di formiche in movimento.

L’unità amazzonica Mil 203, che un tempo rispondeva al nome di Mildred Harris prima del suo involontario arruolamento nelle truppe del Superregno, salì veloce a bordo della navetta da sbarco. Nell’enorme hangar altre migliaia di amazzoni in perfetto ordine facevano lo stesso, ubbidienti a un ordine programmato inserito nella sua testa. L’hangar avrebbe ricordato un formicaio, e le amazzoni una tribù di formiche mosse da un unico cervello costituito dalla regina. E in effetti il principio era lo stesso e aveva diretto le mosse e le manovre dei robot da due millenni in qua. E da quel lato le amazzoni non differivano affatto dai loro commilitoni di metallo.

Ma Mil 203 aveva nella sua testa qualcos’altro che di lì a poco l’avrebbe fatta diventare un’arma micidiale: l’odio verso i robot. L’amazzone si allacciò la cintura di sicurezza un attimo prima che la navetta venisse sputata fuori nello spazio diretta verso Calorius. Le cinquanta amazzoni stipate nel mezzo da sbarco obbedirono ulteriormente ad altri ordini collettivi. E Mil fece lo stesso. Controllò il fucile a energia, levò la sicura.

Dall’altra parte della barricata i robot imperiali che si accingevano alla difesa del pianeta stavano facendo altrettanto, freddi ed efficienti. Ma nella testa di Mil la dopamina stava fluendo per tutto il cervello incitata dal piacere quasi imminente di poter usare la sua arma per distruggere gli odiati robot. Durante la conquista del Cavallo dove lei aveva avuto il battesimo del fuoco, aveva compiuto un’ecatombe. E ora, se l’ordine nella sua testa non le avesse intimato di restare ferma, avrebbe saltato dalla gioia in previsione dell’eccidio di quei mostri di metallo, che lei fremeva dalla voglia di compiere.

La luce rossa si accese. Si sentí l’impatto con la superficie del pianeta. Sincronizzate, le amazzoni staccarono le cinture di sicurezza. Contemporaneamente la rampa di sbarco si abbassò. La luce dei due soli di Calorius investì gli occhi di Mil, ma lei abbassò la visiera scura dell’elmetto. Contemporaneamente  la tuta protettiva avrebbe impedito che il clima torrido del Pianeta la facesse sudare. Le amazzoni sbarcarono. Lei aveva l’ordine di buttarsi a terra e di vendere cara la pelle.

Alla luce dei due soli del pianeta luccicò un plotone di robot. I guerrieri di metallo si buttarono all’ attacco, silenziosi, inesorabili, sospinti da un ordine programmato, senza odio né amore. Ai loro occhi apparvero le amazzoni. Erano sì programmati a far fuoco contro ogni nemico, ma ogni robot della Galassia era anche obbligato a servire la Donna. Chiaramente in ogni guerra, durante una conquista, le truppe robottiche occupanti dovevano mantenere l’ordine, dimodoché avevano inserito il programma “licenza di uccidere”. Se donne della parte avversaria avessero compiuto atti ostili,il robot aveva l’ordine di sparare. Ma prima doveva avvisare, poi sparare in aria, e infine, qualora la tipa non avesse desistito alle sue intenzioni, aveva la licenza di uccidere.

I robot mandati al contrattacco si trovavono davanti donne in carne e ossa armate, chiaramente ostili. Dagli altoparlanti all’unisono uscí la voce metallica e impersonale: «Chi va la? Gettate le armi altrimenti saremo costretti a far fuoco…»

Non appena le amazzoni si accinsero a puntare le armi, il programma LCU scattò veloce, ma non abbastanza. Ci voleva un frazione di secondo perché un robot compisse un atto contro la razza dominante. In condizioni normali non si era mai verificata nella storia della Galassia un caso in cui una donna, seppur armata, potesse battere in velocità la perfezione di un robot soldato. Ma quelle donne avevano inserita nei loro cervelli la medesima perfezione. Quella frazione di secondo fu fatale ai robot.

Mil, più spinta dall’odio verso le Faccedilatta che dalla direttiva primaria sparò a raffica. Pochi secondi dopo tre robot erano ridotti a un ammasso di rottami incandescenti. Le compagne di Mil fecero altrettanto.

I robot superstiti reagirono. Ma le amazzoni si misero ai ripari rispondendo al fuoco. Un robot riuscí a colpirne una. La rabbia e la sete di vendicare la morte della compagna diedero alle altre la spinta di fare una sortita. L’adrenalina mistra alla dopamina si sparse per le cellule di Mil. Velocissima, si buttò fuori dal suo nascondiglio rotolando a una velocità incredibile. Ai suoi occhi fu come se gli odiati robot si muovessero al rallentatore. Prevedeva un secondo prima le loro mosse. Ne vide uno che alzava il fucile. Lei intuì e previde la traiettoria del raggio del nemico, saltò di lato e al contempo sparò a un altro robot, che ancora non a aveva alzato la sua arma. Atterrò a pie’ pari con il raggio nemico che le passava a pochi centimetri dalla testa. Poi sparò al robot che aveva osato tentare di ammazzarla. La gioia immensa di vederlo esplodere in mille pezzi fu un’estasi indescrivibile. Sparò ulteriormente contro un macigno che incombeva sulle teste di tre robot che da dietro a delle rocce bersagliavano invano lei e le altre. L’enorme roccia franò e schiacciò i tre automi. Poi fu il silenzio.

Tutti i robot erano stati eliminati. Ma da sotto la roccia spuntava la testa metallica di uno di quelli travolti: era ancora funzionante. Mil sorrise sadicamente. Si avvicinò al robot morente. Poi col calcio del fucile colpí una, due, tre volte. La testa si mosse a destra e a sinistra. Mil continuò a colpire. L’odio le usciva dagli occhi. Una cosa era distruggere le Faccedilatta da lontano, ma il gusto di poterli massacrare da vicino usando i propri muscoli era insuperabile.

Infine il robot cessò di funzionare.

La radio inserita nell’elmetto gracchiò. Una voce umana disse che quel settore del pianera era stato conquistato. E il suo gruppo aveva l’ordine di marciare verso la città di Calacity.

L’esercito delle Amazzoni entrò a Calacity. Tra di loro Mil era, al momento, spinta solamente dal programma di ubbidienza e fedeltà a Klea e al Superregno. Fu per questo che, allorché vide migliaia di donne prigioniere scortate da amazzoni, non provò né odio né compassione. In base al programma quelle erano nemiche, ma in quanto umane non le detestava. L’unica cosa che provava era la gioia di sapere che di li a poco anche quelle sarebbero diventate fedeli serve di Klea. E quella gioia artificiale la spinse a ubbidire all’ordine programmato di prendere in consegna un gruppo di donne. Quelle erano alquanto spaventate. Ogni donna della Galassia sapeva che in caso di guerra e di occupazione non avevano niente da temere, in quanto i robot non nuocevano mai alla razza dominante, nemici o no, a meno che qualcuna avessse fatto opposizione e attivato il programma  LDU. E da che Galassia era  Galassia le battaglie avvenivano fuori dai centri abitati onde evitare che qualche donna venisse colpita involontariamente.

Più tardi, dopo l’invasione o l’occupazione, le autorità conquistanti lasciavano vivere le cittadine in pace. Veniva soltanto cambiato il programma nazionalità nel microchip d’identità inserito in fronte. E le donne prigioniere erano convinte che di lì a poco avrebbero dovuto sottostare a quell’operazione. Quello che le spaventava era che detta operazione avveniva così presto ma soprattutto dal fatto che a conquistare il pianeta erano state delle donne e non dei robot. Le migliaia di prigioniere erano testimoni di qualcosa di sacrilego, di qualcosa che nessuna donna al mondo aveva provato. La paura dell’ignoto. Il loro pianeta era in mano a delle serve del Demonio.

Mil vide la fila delle prigioniere che a turno venivano sottoposte all’inserimento del microchip. E a una a una, un secondo prima dell’operazione credevano che si stesse trattando del cambiamento di nazionalità. Ma allorché la siringa invece che nella fronte veniva piazzata nella nuca capirono. Non osarono gridare né piangere. E un attimo dopo sorridevano estasiate, pronte a servire Klea.

CONTINUA

di Paolo Ninzatti

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