Amazzoni e robot – Seconda parte – Quinta puntata

E la sua genialità nella cibernetica le aveva dato il segreto per raggiungere la  meta prefissa. Dopo anni di ricerche ed esperimenti segreti operati nel suo laboratorio privato nel palazzo reale all’insaputa di tutti, Klea ara riuscita a costruire un microchip che, inserito nella nuca di una persona, la rendeva un burattino programmato a seguire una direttiva primaria: devozione ed ubbidienza a lei.

Era stato un gioco da ragazze invitare le sovrane dei regni vicini per un summit.

Parate con robot lucenti che sfilavano davanti al palco reale, un bel pranzo, una grande festa. Discorsi sull’amicizia tra Borealia e i regni vicini. La regina di Galanord era rimasta infilzata dalla siringa proprio durante il pranzo mentre Klea in un atto di amicizia le versava il vino del pianeta Klud. Tutti gli occhi e le telecamere erano puntate sulla costosa bottiglia,mentre Klea metteva la mano sulla spalla della collega e celando col mantello la siringa, riusciva ad iniettare il minuscolo apparato. La sovrana di Puntaspirale era stata infilzata durante un abbraccio ufficiale durante il ballo. La reggente di Lattelandia del Nord era invece stata colpita mentre era in bagno. Klea e le altre due sovrane ubbidienti alla sua volontá l’avevano assalita mentre era seduta sul gabinetto, l’unico posto dove non c’erano né telecamere né robot. Infine, le quattro sovrane avevano preso di sorpresa la quinta dopo la partita di golf nelle docce. La sera stessa veniva firmato il trattato in cui i cinque regni si univano a Borealia formando il Superregno e l’abdicazione delle altre reggenti.

A questo punto sarebbe bastato invitare l’Imperatrice Alexandra a Borealia, e infliarle nella testa il microchip e Klea sarebbe stata padrona della Galassia.

Ma la cosa non era possibile. Le altre reggenti erano quasi alleate prima di diventare schiave impotenti. L’Impero e i Cinque regni invece erano quasi nemici da decenni. Oltretutto Alexandra odiava gli incontri ufficiali. Lei credeva in un impero universale galattico e non riconosceva gli altri stati. Alexandra si sentiva l’incarnazione della Dea stessa e non usciva mai dai suoi palazzi. Ed era circondata dai suoi robot guardie del corpo constantemente. Si diceva che facesse il bagno nuda ed andasse al gabinetto insieme ai robot. Nessuna donna poteva toccare la divina Imperatrice, soltanto i robot. Si diceva che amasse il tocco metallico delle macchine ma odiasse la vicinanza di esseri umani. Quindi, concluse Klea, niente mani sulle spalle, o abbracci o aggressioni in gabinetti o docce. Se Klea voleva l’Impero allora doveva conquistarselo in una guerra. Ma le armate unite dei cinque regni non erano in grado di battere l’esercito imperiale. Era stato allora che le storie delle amazzoni che lei seguiva in segreto su GALANET le avevano dato l’ idea geniale di usare il microchip per creare un’armata di amazzoni. Inserendo nel microchip oltre il programma di ubbidienza anche tutte le informazioni di un computer di un robot soldato avrebbe creato l’arma ultimativa. Un robot in carne ed ossa. Agile nell’uso delle armi quanto un commilitone di metallo, ma con l’agilità fisica di un essere vivente e qualcosa di più che i robot non avevano: l’istinto di conservazione e l’adrenalina.

Per questo aveva assalito i pianeti penitenziario e liberato le galeotte rendendole fedeli schiave col microchip. E l’armata delle amazzoni aveva debellato la Sesta Flotta Imperiale. Aveva conquistato i pianeti del Cavallo le cui abitanti erano a loro volta state programmate e trasformate in amazzoni. Le perdite umane erano state minime, ma Klea aveva salvato i suoi piccoli scrupoli di coscienza prodigandosi a clonare le cadute, cosí come si piantava il seme di un albero ogni volta che uno veniva abbattuto. Era stato come resucitare le decedute.

Klea sapeva che quello che stava facendo era contro i Comandamenti. Ma nella sua infinita megalomania era orgogliosa di stare infrangendo le regole. Tutte le regole. Era convinta più che mai di essere l’Anticristina, colei che avrebbe sconvolto tutto e avrebbe avuto miliardi di seguaci fedeli. La profezia si confaceva alla perfezione. Ma la stessa profezia diceva che alla fine le forze dell’ Anticristina sarebbero state sconfitte. Ma Klea era convinta che avrebbe infranto anche quest’ultima regola. La parte finale della profezia.

Lei era convinta che avrebbe vinto e che quella parte della profezia era stata agguinta per mitigare le anime: l’oppio dei popoli. Klea non vedeva nella Galassia alcuna personalità forte abbastanza da poter guidare un opposizione alla sua avanzata. Klea considerava Alexandra una pappamolla pomposa superba ma vigliacca abbastanza da restare rintanata nei suoi palazzi fino alla caduta dell’ultimo robot. No, non vedeva quella bambola senza carisma fare discorsi infiammanti. Ma  Klea avrebbe forse dubitato della sua invincibilità se avesse saputo che da qualche parte della Galassia esisteva una persona anch’essa capace di rompere le regole e di usarle contro di lei. Lei sapeva che una c’era. Era la misteriosa Julia Verne, che osava mandare a suo rischio e pericolo le storie delle Amazzoni. Ma una fuorilegge non poteva infiammare gli animi o dare ordini ad armate di robot. Le Amazzoni di Julia erano finzione. Quelle di Klea erano una realtá micidiale.

La divina Imperatrice Alexandra amava il potere, amava dirigere e tiranneggiare. Amava talmente il potere, che aveva una sacrosanta paura di perderlo. Sognava l’Impero Universale perché cosí non avrebbe avuto rivali nella Galassia. Aveva ereditato l’Impero, non se lo era conquistato. In realtà Alexandra non era una personalità da conquista. Portava il nome biblico di una condottiera che in tempo antichissimi aveva conquistato mezzo mondo. Ma lei non sarebbe mai stata in grado di compiere un’impresa del genere. Aveva una personalità insicura e paurosa. Le faceva quindi comodo avere un potere enorme. Nessuno avrebbe quindi mai e poi mai scoperto la sua insicurezza celata dietro il cipiglio autoritario e coronato, nessuno l’avrebbe mai manipolata o diretta. Il potere le dava la possibilità di evitare conflitti e discussioni. Si doveva fare quello che voleva lei e basta. Era quindi ossessionata dalla paura di perdere quel potere, l’unico suo asso nella manica. Viveva col terrore tremendo di essere rapita. Si circondava di robot guardie del corpo. In fondo amava i robot molto meglio delle altre donne. Si fidava più di loro che delle altre. Aveva paura di restare sola. Dormiva con i robot accanto e se li tirava dietro anche nell’intimità. Solo insieme a loro si sentiva al sicuro. In un robot lei vedeva una specie di antico eroe una figura mitica, qualcosa di inesistente qualcosa che rispondeva al maschio degli animali inferiori. Lei era una ciberfan e questa era una perversione. Ma la sua autorità le permetteva di nasconderla. Sognava sogni erotici e proibiti in cui si trovava ad abbracciare un robot provando sentimenti sconci. Poi si svegliava e cercava di cacciare via quegli sporchi desideri. E poi si trovava a giustificare se stessa autoconvincendosi che lei in realtà provava quei desideri nascosti perché vedeva nei robot la protezione. Ma poi si trovava anche ad avere incubi in cui robot nemici la assalivano e la portavano via con la forza. Mani metalliche che le impedivano i movimenti che la trasportavano via dal suo palazzo a dal potere su mondi sconosciuti e primitivi. Si vedeva prigioniera di qualche sovrana nemica che la deridesse per la sua caduta e la riducesse ad una sua ancella privata.

Ma l’incubo peggiore l’ aveva avuto la notte prima allorché aveva sognato per l’ennesima volta di essere rapita. Ma stavolta non erano stati dei robot a catturarla, bensí delle donne in carne ed ossa: delle Amazzoni. Sognava di dormire nel suo letto. Poi dalla finestra erano entrate delle donne con elmi e corazze, l’avevano messa in un sacco e portata via. Poi dopo un’eternità l’ avevano tirata fuori  e si era ritrovata al cospetto di una regina amazzone in una foresta primitiva. E la regina Amazzone aveva il volto di… Klea.

E lei nel sogno aveva urlato, e chiamato i suoi amati robot in soccorso. E i robot erano arrivati ma le amazzoni con le loro primitive spade li avevano distrutti. E quando alla fine la regina stava ridendo di lei era arrivato qualcuno a salvarla: non era un robot, ma era … un essere umano, ma non una donna… Un ibrido tra una donna e un robot, ma aveva i muscoli ed il petto villoso ed ….. Era una scimmia maschio.

A quel punto si era svegliata. E aveva avuto una meravigliosa sensazione nel corpo.

CONTINUA

di Paolo Ninzatti

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