Odissea – Libro XII
ODISSEA
Libro Dodicesimo
“La nave lasciò la corrente del fiume Oceano; 1
da lì raggiunse le onde del vasto mare
e l’isola di Eea, dove è di casa l’Aurora figlia del mattino,
gli spiazzi dei cori e il sorgere del sole.
Giunti lì, spingemmo la nave sull’arena; 5
poi scendemmo sulla riva del mare:
vinti dal sonno, aspettammo l’Aurora divina.
Quando al mattino apparve Aurora dalle dita rosee,
allora mandai i miei compagni a casa di Circe
perché mi portassero il corpo di Elpenore. Subito 10
abbattemmo degli alberi: addolorati e versando molte lacrime
celebrammo il suo funerale, là dove la sponda era più alta.
Quando il corpo e le armi furono bruciate,
innalzammo il tumulo ed innalzammo la stele;
e sulla cima della tomba fissammo il suo remo robusto. 15
Mentre noi facevamo tutte queste cose, Circe
capì che eravamo tornati dall’Ade: subito
venne da noi ben abbigliata, con le ancelle che portavano
pane, carne in abbondanza e limpido vino.
Si mise in mezzo a noi, divina tra le Dee, e ci disse: 20
– Infelici, voi che siete scesi vivi alla casa di Ades,
siete due volte mortali: gli altri uomini muoiono
una volta sola. Ora mangiate e bevete
per tutto il giorno. All’alba partirete:
io vi indicherò la strada, vi darò tutti i consigli 25
perché non cadiate in pericolosi tranelli e non dobbiate
subire delle disgrazie né in mare, né in terra –.
Così disse; e ne fu persuaso il nostro cuore orgoglioso;
per tutto quel giorno, fino al tramonto del sole,
mangiammo in abbondanza e bevemmo dolce vino. 30
Poi, quando il sole tramontò e giunse la tenebra,
tutti gli altri dormirono accanto alle funi della nave; Circe
mi prese per mano, mi prese in disparte dai miei compagni
e mi fece sedere; poi si distese accanto a me e mi chiese
di raccontarle ogni cosa: io le dissi tutto con ordine. 35
Allora la potente Circe mi fece questo discorso:
– Queste cose tu le hai fatte tutte, ma ora ascolta
quello che ti dirò io: anche un Dio te lo ricorderà.
Per prima cosa incontrerai le Sirene, che incantano
tutti gli uomini che si avvicinano a loro. 40
Chiunque, senza saperlo, approda alla terra
delle Sirene e ascolta la loro voce non tornerà più a casa:
la moglie e i piccoli figli non potranno stargli accanto,
perché le Sirene lo incantano con la loro voce melodiosa.
Sono appostate su un prato, accanto a loro c’è un mucchio di ossa 45
di uomini in putrefazione; intorno alle ossa, la pelle si decompone.
Tu tieniti lontano, riempi di morbida cera le orecchie
dei tuoi compagni, perché nessuno possa ascoltare
la loro voce. Se tu, invece, vorrai ascoltarle
fatti legare le mani e i piedi sulla nave veloce: 50
fermo e legato da corde alla base dell’albero
potrai ascoltare il canto delle Sirene e goderne;
se tu ordinerai ai tuoi compagni di scioglierti,
quelli dovranno stringerti con nodi ancora più forti.
Quando i tuoi compagni le avranno oltrepassate 55
allora non potrò più dirti con certezza
quale sarà la tua strada: dovrai sceglierla tu,
nel tuo animo, tra le due che ora io ti dirò.
Nella prima strada ci sono rocce scoscese, si scagliano
con fragore le onde di Anfitrite dagli occhi scuri: 60
gli Dei le chiamano Rocce Vaganti.
Di lì non passano neppure gli uccelli, né le timide
colombe che portano l’ambrosia al padre Zeus;
un picco di roccia ne imprigiona sempre qualcuna
e il padre Zeus deve mandarne un’altra a sostituirla. 65
A queste rocce non è sfuggita nessuna nave che sia giunta lì,
le onde del mare e il vortice del fuoco distruttore
trascinano via insieme assi di navi e corpi di uomini;
una sola nave di lungo corso riuscì a superarle:
la celebre nave Argo, che tornava dal paese di Aiete; 70
ma anche lui sarebbe finito contro le grandi rocce:
la salvò Hera, perché proteggeva Giasone.
Sull’altra strada ci sono due scogli: uno raggiunge il vasto
cielo con la sua cima aguzza, lo circonda una nuvola scura;
su quella cima il cielo non è mai sereno, 75
né d’autunno né d’estate: nessun uomo mortale
ci si potrebbe arrampicare e raggiungere la cima,
neppure se avesse venti mani e venti piedi:
la roccia è liscia come se fosse stata levigata.
Nel mezzo dello scoglio c’è una caverna tenebrosa 80
rivolta verso le tenebre dell’Erebo, a occidente; lì voi
dovrete dirigere la vostra nave profonda, splendido Odisseo.
Se dalla nave un uomo robusto mirasse con l’arco
il fondo della grotta non potrebbe raggiungerlo;
lì dentro abita Scilla che latra in modo orribile; 85
la sua voce è quella di un cucciolo di cagna,
ma in realtà è un mostro crudele: nessuno
sarebbe felice di incontrarla, neppure un Dio.
Dodici sono i suoi piedi, tutti deformi;
ha sei colli lunghissimi e ognuno ha una testa 90
spaventosa: ogni bocca ha tre fila di denti
fitti e numerosi, pieni del nero della morte.
Metà del suo corpo sprofonda nella grotta
e dal baratro sporgono le teste.
Scilla, frugando intorno allo scoglio, pesca ed afferra 95
(se gli riesce) delfini, pescicani e mostri ancora
più grandi, tra quelli che nutre la risonante Anfitrite.
Nessun navigante è passato incolume di lì
con la sua nave; Scilla con ogni bocca porta via
un uomo; lo afferra sopra la nave dalla prora scura. 100
Vicino vedrai un altro scoglio, Odisseo, ma più in basso
e vicino al primo (alla distanza di un tiro di freccia):
là c’è un grande fico selvatico, ricco di foglie;
sotto, la divina Cariddi ingoia l’acqua scura:
tre volte al giorno rigurgita l’acqua, tre volte l’inghiotte 105
in modo spaventoso. Non trovarti là quando inghiotte!
Neppure lo Scuotitore della terra potrebbe salvarti dalla morte.
Tu dovrai accostare allo scoglio di Scilla e portare
subito la nave lontano: è molto meglio perdere
sei compagni che piangerli tutti! –. 110
Così disse; e io di rimando le risposi:
– Dimmi ora sinceramente, o Dea:
se sfuggissi alla terribile Cariddi, potrei difendermi
da Scilla se volesse fare del male ai miei compagni? –.
Così dissi; e subito lei mi rispose, divina tra le Dee: 115
– Sciagurato! Tu pensi sempre alle battaglie e alla lotta:
non cederai neppure di fronte agli Dei immortali?
Lei non è mortale: è un essere malefico,
terribile, minaccioso, selvaggio e invincibile;
contro di lei non c’è scampo: la cosa migliore è fuggire lontano da lei. 120
Se tu perdessi tempo ad armarti accanto allo scoglio,
ho paura che lei si scaglierebbe di nuovo
con tutte le sue teste portandosi via altrettanti compagni.
È molto meglio fuggire e chiedere aiuto a Cratais,
la madre di Scilla, che la generò per la rovina dei mortali: 125
lei potrà evitare che si scagli di nuovo contro di te.
Poi arriverai all’isola di Trinachia, dove pascolano
le molte vacche e le greggi ben nutrite del Sole:
sette mandrie di vacche e altrettante ricche greggi di pecore
(ogni armento ha cinquanta capi). Tra loro non ci sono nascite, 130
né morti; fanno da guardiane due divinità,
due ninfe dai bei riccioli: Faetusa e Lampetia,
che la divina Neera generò al Sole Iperione.
La nobile madre, dopo averle partorite e allevate,
le mandò a vivere lontano, nell’isola di Trinachia, 135
a custodire le greggi del padre e le vacche dalle corna arcuate.
Se le lasci illese e pensi solo al tuo ritorno,
potrete arrivare a Itaca, pur soffrendo dolori;
se invece farai loro del male, allora prevedo la rovina
per te, per la nave e per i compagni; se dovessi scampare, 140
giungerai tardi e male, dopo aver perduto tutti i compagni -.
Così disse; presto apparve l’Aurora dal trono d’oro
e lei se ne andò via attraverso l’isola, divina tra le Dee.
Io, invece, salii sulla nave e ordinai ai miei compagni
di salire anche loro e di sciogliere le funi di poppa. 145
Quelli salirono subito sulla nave, si misero ai banchi
e seduti in fila battevano con i remi il mare pieno di spuma.
Per spingere la nave dalla prora scura Circe dai bei riccioli
(la terribile Dea dalla voce umana) mandò un vento
favorevole che gonfiava le vele: un valido compagno. 150
Noi, dopo aver sistemato tutti gli attrezzi, sedemmo
tranquilli: la nave era guidata dal vento e dal pilota;
ma io parlavo ai compagni, sconvolto nel cuore:
– Amici, non devono conoscere solamente in pochi
i vaticini che mi svelò Circe, divina tra le Dee: 155
io ve li dirò affinché noi, conoscendoli tutti, possiamo
morire tutti insieme o evitare un destino di morte.
Per prima cosa, lei ci ha ordinato di evitare
la voce delle Sirene incantatrici e i loro prati fioriti.
A me solo ha ordinato di ascoltare quel canto; ma voi 160
dovete legarmi con nodi strettissimi, perché io resti
fermo e legato da corde alla base dell’albero;
e se anche vi pregassi o vi ordinassi di sciogliermi,
voi dovete stringermi con nodi ancora più forti -.
Così, riferendo le cose ai miei compagni, parlavo. 165
Intanto la nave ben fatta giunse rapidamente
all’isola delle Sirene, poiché la spingeva il vento favorevole.
Ed ecco, ad un tratto, che il vento cessò e venne la bonaccia:
un nume addormentò le onde. Balzati in piedi,
i miei compagni raccolsero la vela e la posero 170
in fondo alla nave; quindi, seduti sugli scalmi,
imbiancavano l’acqua con gli abeti puliti dei remi.
Io tagliavo a pezzetti una grande ruota di cera
con il bronzo affilato, la schiacciavo tra le mani gagliarde.
La cera si ammorbidiva in fretta, la premeva la gran forza 175
e la vampa del sole, Helios figlio di Iperione;
così turai in fila le orecchie a tutti i miei compagni.
Essi poi mi legarono mani e piedi nella nave,
ai piedi dell’albero: a questo fissarono le corde;
seduti in fila battevano con i remi il mare pieno di spuma. 180
Come fummo lontani tanto quanto si arriva con un grido
alle Sirene non sfuggì che un’agile nave si stava
avvicinando; esse intonarono un canto armonioso:
– Vieni qui, presto, glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei;
ferma la nave perché tu possa sentire la nostra voce. 185
Nessuno si allontana mai da qui con la sua nave nera,
se prima non sente la voce dalle nostre labbra, suono di miele;
poi riparte pieno di gioia, conoscendo più cose.
Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia
Argivi e Teucri patirono per volere dei numi; 190
tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice -.
Così dicevano, alzando la voce bellissima; allora il mio cuore
voleva ascoltare: ordinavo ai compagni di sciogliermi,
facendo cenno con le sopracciglia; ma essi remavano senza posa.
E subito alzandosi, Perimede ed Euriloco 195
facevano nuovi nodi e mi stringevano ancora di più.
Quando alla fine sorpassammo l’isola
e non si udivano più le voci e il canto delle Sirene,
i miei fedeli compagni si tolsero dalle orecchie la cera
che avevo spalmato e mi sciolsero le corde. 200
Avevamo appena superato l’isola, quando vidi un fumo
e grandissime onde. Si udì un fragore: atterriti,
ai miei compagni caddero dalla mano i remi che si scontrarono
tra loro sott’acqua; la nave rimaneva ferma perché le mani
non stringevano più i lunghi remi. Attraversando 205
la nave, esortavo i miei compagni e mi avvicinavo
a ciascuno di loro con parole incoraggianti:
– Amici, noi non siamo certo inesperti di mali; questo
che incombe non è peggiore di quando il Ciclope ci imprigionò
dentro la grotta profonda con la sua forza e la sua violenza. 210
Grazie al mio valore, alla mia forza di volontà e alla mia astuzia
fuggimmo anche da lì: di questo ve ne ricordate, io penso.
Ma ora facciamo tutti come dico io:
voi, seduti agli scalmi, con i remi battete in profondità
il mare tempestoso, nella speranza che Zeus ci conceda 215
di sfuggire e di salvarci dalla morte che incombe.
A te, pilota, che reggi il timone della nave profonda,
io ordino questo e tienilo bene a mente:
tieni la nave lontano dal vapore e dalle onde,
e stai attento allo scoglio; che la nave non vi vada addosso 220
senza che tu te ne accorga, portandoci alla rovina –.
Così dissi; quelli obbedirono subito alle mie parole.
Ma non parlai di Scilla (inevitabile sciagura),
per timore che i compagni, atterriti, abbandonassero
i remi e si nascondessero in fondo alla nave. 225
E dimenticai anche la dura esortazione
di Circe, che mi aveva detto di non armarmi;
invece indossai le mie armi gloriose, presi in mano
due lunghe lance e salii sul ponte della nave,
a prua; mi aspettavo che lì si mostrasse Scilla, l’abitatrice 230
dello scoglio, che minacciava rovina per i miei compagni.
Ma io non riuscivo a vederla, mi stancavo gli occhi
a guardare da tutte le parti quello scoglio tenebroso.
Così, tra i lamenti, attraversammo lo stretto:
da una parte c’era Scilla, dall’altra la divina Cariddi 235
che inghiottiva orribilmente l’acqua salata del mare.
Quando la vomitava, essa gorgogliava fremente,
come un paiolo sotto un grande fuoco; dall’alto
cadeva schiuma sulla cima di entrambi gli scogli.
Ma quando risucchiava i flutti del mare salato, 240
tutta dentro ribolliva vorticosa; intorno, la rupe
rimbombava terribilmente: di sotto appariva il fondo
nero per la sabbia. Allora ci prese una terribile angoscia:
mentre volgevamo lo sguardo alla roccia, temendo la morte,
ecco che Scilla con forza afferrò per le braccia 245
sei dei miei migliori compagni dalla nave concava.
Volsi lo sguardo alla nave veloce cercando i compagni:
vidi le loro gambe e le loro braccia sollevate
in alto; invocavano urlando il mio nome,
per l’ultima volta, con il cuore angosciato. 250
Come un pescatore che, su un masso sporgente,
con una lunga canna prepara per i pesci un’esca ingannevole
gettando in mare il corno di un bue selvatico e dopo avere
preso un pesce lo scaglia fuori dall’acqua, ancora guizzante;
così quelli erano trasportati verso la caverna, mentre si dibattevano. 255
Al primo varco, Scilla li divorò mentre urlavano,
con le mani tese verso di me: era una lotta atroce.
Fu quella la cosa più dolorosa che vidi con i miei occhi,
nelle peripezie che ebbi tra i flutti del mare.
Dopo aver scampato gli scogli di Scilla 260
e dell’orrenda Cariddi, arrivammo subito all’isola beata
del nume, dove c’erano le vacche dall’ampia fronte
e le pingui greggi di Helios figlio di Iperione.
Quando ero ancora sul mare, nella mia nave nera,
sentivo il muggito delle vacche chiuse nei recinti 265
e il belato delle pecore. Mi tornarono in mente
le parole dell’indovino cieco, il tebano Tiresia,
e di Circe di Eea, che si erano raccomandati
di tenermi lontano dall’isola del Sole che allieta i mortali.
Allora, addolorato nel cuore, dissi ai miei compagni: 270
– Compagni, ascoltate le mie parole, anche se vi faranno
soffrire: vi ripeterò le profezie di Tiresia e di Circe,
che si sono raccomandati di tenermi lontano
dall’isola del Sole che allieta i mortali.
Mi dicevano che lì ci aspetta una grande sciagura. 275
Perciò spingete la nave lontano da quest’isola –.
Così dissi; e a quelli si spezzò il cuore.
Subito Euriloco mi rispose con parole ostili:
– Sciagurato Odisseo, tu sei forte e il tuo corpo
non conosce la stanchezza: sei fatto di ferro, tu 280
che non lasci scendere a terra i compagni, oppressi
dalla fatica e dal sonno! In quest’isola circondata dal mare
noi ci prepareremmo una cena gustosa.
Tu invece ci ordini di continuare a vagare, nella rapida notte
e per il mare scuro, sbattuti via dall’isola. 285
Di notte si alzano venti ostili, che distruggono le navi:
come potremmo evitare il destino di morte,
se all’improvviso arrivasse una tempesta di vento,
di Noto o del funesto Zefiro, quelli che più di ogni altro
fracassano una nave, anche contro il volere degli Dei immortali? 290
Arrendiamoci alla notte nera; prepariamoci
la cena fermandoci accanto alla nave veloce:
all’alba, ci imbarcheremo spingendo la nave sul vasto mare –.
Così disse Euriloco; gli altri compagni erano d’accordo con lui.
Allora io capii che un Dio meditava per noi la sciagura; 295
rivolto a Euriloco, dissi parole alate:
– Euriloco, voi mi fate violenza perché sono solo.
Ma ora giurate solennemente: se incontreremo
una mandria di buoi o un grande gregge di pecore,
nessuno di voi ucciderà, con un gesto scellerato, 300
una vacca o una pecora. Resterete tranquilli
a mangiare il cibo che ci ha dato Circe immortale –.
Così dissi; e quelli giurarono come io avevo chiesto.
Dopo che ebbero fatto un giuramento solenne,
ancorammo la nostra bella nave in fondo al porto, 305
accanto a una sorgente di acqua dolce; i compagni
scesero dalla nave e prepararono con cura la cena.
Quando ebbero saziato il desiderio di bere e di mangiare,
cominciarono a piangere, ricordando i compagni
che Scilla aveva divorato, portandoli via dalla nave concava; 310
mentre piangevano scese su di loro il dolce sonno:
quando le stelle tramontarono (restava un terzo della notte),
Zeus adunatore di nubi fece alzare un vento violento
e una terribile tempesta, che con le nubi nascose
la terra e il mare; dal cielo scese la notte. 315
Quando al mattino apparve Aurora dalle dita rosee,
portammo a terra la nave e la trascinammo in una grotta
profonda, dove si tenevano le danze e i cori delle Ninfe.
Poi, convocata l’assemblea, feci questo discorso:
– Amici, nella nostra nave veloce c’è da mangiare e da bere; 320
per evitare sciagure, teniamoci lontani dalle vacche:
queste vacche e queste greggi ben nutrite sono di un Dio
terribile, il Sole che tutto vede e che tutto ascolta –.
Così dissi; e ne fu convinto il loro cuore orgoglioso.
Ma per tutto un mese non si interruppe mai il soffio di Noto: 325
non ci fu nessun altro vento se non Euro e Noto.
Finché ebbero cibo da mangiare e vino rosso da bere,
loro si tennero lontani dalle vacche (desiderosi di vivere):
quando sulla nave finì tutto il cibo, allora
furono costretti a vagare per l’isola con gli ami ricurvi, 330
andando a caccia di pesci, di uccelli e di qualsiasi cosa
capitasse tra le loro mani: la fame ci logorava lo stomaco.
Allora io mi inoltrai nell’isola a pregare che gli Dei
mi indicassero un modo per ripartire.
Camminando attraverso l’isola, lasciati i compagni, 335
mi lavai le mani e, dove c’era un riparo dal vento,
pregai tutti gli Dei che hanno dimora nell’Olimpo:
essi mi versarono sugli occhi il dolce sonno.
Allora Euriloco diede un consiglio funesto ai compagni:
– Ascoltate le mie parole, compagni di sventura. 340
Tutte le morti sono odiose per i mortali infelici,
ma ancora più misero è il destino di morire di fame.
Orsù, prendiamoci le vacche migliori del dio Sole,
sacrifichiamole agli immortali che abitano il vasto cielo.
Se potremo giungere ad Itaca, la terra dei padri, 345
subito dopo costruiremo per Helios figlio di Iperione
un grande tempio e vi porremo molti splendidi voti.
Se, invece, adirato per le vacche dalle corna dritte,
egli vuole distruggere la nave con il consenso degli altri Dei,
preferisco piuttosto annegare e morire una volta, 350
piuttosto che languire in un’isola disabitata -.
Così disse Euriloco; gli altri compagni erano d’accordo con lui.
Subito si trascinarono dietro le più belle vacche di Helios
(erano vicine, perché quelle vacche dalle corna arcuate
e dalla vasta fronte pascolavano non lontano dalla nera nave), 355
le circondarono e poi invocarono gli Dei
strappando delle foglie tenere da un’alta quercia:
sulla nave dai forti remi non avevano orzo bianco.
Levando preghiere, sgozzarono e scuoiarono le bestie;
tagliarono i cosci, li avvolsero in un doppio strato 360
di grasso e vi misero sopra le interiora.
Non avevano vino da versare sulle vittime che bruciavano
ma, libando con l’acqua, arrostirono tutte le viscere;
Dopo che ebbero arse le cosce e mangiate le viscere,
tagliarono a pezzi le altre carni e le infilzarono sugli spiedi. 365
Allora il sonno ristoratore lasciò i miei occhi;
mi incamminai verso la nave veloce e la riva del mare.
Ma quando ero ormai vicino alla nave ricurva
mi raggiunse il profumo del grasso che bruciava;
gemendo, gridai agli Dei immortali: 370
– Zeus padre e voi tutti Dei beati e immortali,
mi avete condotto alla rovina con un sonno crudele:
i miei compagni, rimasti soli, hanno compiuto un’azione terribile! –.
Lampetia dal lungo peplo andò subito a riferire
a Helios figlio di Iperione che avevamo ucciso le sue vacche; 375
questi, irato, così parlò agli Dei immortali:
– Zeus padre e voi tutti Dei beati e immortali,
punite i compagni di Odisseo figlio di Laerte:
mi hanno oltraggiato uccidendo le vacche
di cui mi compiacevo quando salivo verso il cielo stellato 380
e quando tornavo di nuovo verso la terra.
Se non pagheranno la giusta pena per quelle vacche,
io scenderò nell’Ade e illuminerò i morti! –.
Gli rispose allora Zeus adunatore di nubi:
– Helios, tu continuerai a illuminare gli immortali 385
e gli uomini mortali sulla terra feconda: presto
io colpirò con il fulmine abbagliante la loro nave veloce
e la farò a pezzi nel mare oscuro –.
Queste cose io le seppi da Calipso dalla bella chioma,
che mi disse di averle sentite da Hermes messaggero. 390
Quando raggiunsi la nave e il mare, mi scagliai contro
i miei compagni, uno dopo l’altro; ma non potevamo
trovare nessun rimedio: le vacche erano già morte.
Presto gli Dei ci mostrarono dei prodigi: a terra le pelli
strisciavano, le carni cotte e crude muggivano 395
sugli spiedi con la voce delle vacche.
Per sei giorni i miei compagni banchettarono
con le belle vacche del Sole che avevano rubato;
quando Zeus figlio di Crono fece sorgere il settimo giorno,
allora il vento smise di infuriare con l suo turbine; 400
noi alzammo l’albero, ritornammo sul vasto mare:
tirammo su le vele bianche e salimmo sulla nave.
Quando lasciammo l’isola e non si vedeva più
altra terra, ma solamente cielo e mare,
il Cronide innalzò sulla nave concava 405
una nuvola scura: di sotto il mare divenne cupo.
La nave non andò avanti per molto: ad un tratto giunse
stridente lo Zefiro, imperversando con una grande tempesta;
la furia del vento spezzò entrambe le funi
dell’albero, che cadde all’indietro rovesciando tutte 410
le vele e le sartie nel fondo; sulla nave, a poppa,
il timoniere venne percosso da un colpo che gli ruppe
le ossa del cranio; cadde dal ponte, simile
ad un tuffatore, e l’anima volò via dal suo corpo.
Zeus ad un tempo tuonò e scagliò un fulmine sulla nave: 415
colpita dal fulmine divino essa si rigirò su se stessa
e si riempì di vapori sulfurei. I miei compagni caddero in acqua
e, intorno alla nave, come corvi di mare venivano
trascinati dai flutti: il nume gli precluse il ritorno.
Io mi aggiravo sulla nave, quando un’ondata 420
staccò i fianchi della chiglia, che venne trasportata dai flutti;
poi l’albero si abbatté sulla chiglia; su di esso
era finita una fune fatta con pelle di bue;
con essa legai ambedue: la chiglia e l’albero;
disteso sui legni, ero sospinto da venti funesti. 425
Quando Zefiro smise di imperversare con la tempesta,
venne rapido Noto a stringermi nell’affanno
di dovere attraversare di nuovo l’orrenda Cariddi.
Fui sballottato tutta la notte: il sole stava sorgendo
quando giunsi allo scoglio di Scilla e all’orrenda Cariddi. 430
Essa risucchiava l’acqua salata del mare;
io, sollevatomi sopra il grande fico e aggrappatomi,
mi reggevo come un pipistrello. Non avevo
dove salire o puntare i piedi saldamente:
le radici stavano lontano, i rami larghi e grandi 435
erano in alto e coprivano di ombra Cariddi.
Mi ressi con tenacia, fino quando essa non rigettò
di nuovo l’albero e la chiglia. Io li aspettavo ed infine
arrivarono: nell’ora in cui un giudice chiamato a dirimere
le liti tra gli uomini lascia il foro per andare a cena, 440
a quell’ora vennero fuori i legni da Cariddi;
allora io, che stavo più in alto, staccai dall’albero i piedi
e le mani, mi gettai su quei lunghi pezzi di legno,
mi sdraiai sopra e cominciai a remare con le mani.
Il padre degli uomini e degli Dei non lasciò che mi vedesse 445
Scilla: altrimenti non sarei sfuggito ad una morte rapida.
Per nove giorni fui trascinato: la decima notte
gli Dei mi gettarono nell’isola di Ogigia, dove abita
Calipso dai riccioli belli, Dea tremenda dalla voce umana,
che mi accolse e mi nutrì. Ma perché ti narro tutto questo? 450
Queste cose le ho già raccontate ieri
a te e alla tua nobile sposa: non mi è caro
narrare di nuovo quanto è stato già detto”.
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