Pietro Cavallini
Pietro Cavallini
Attivo a Roma e a Napoli fra 1273 e 1321
Grazie al rafforzamento del potere papale e alle raffinate aperture della cosmopolita corte napoletana, l’arte centromeridionale è vivacizzata fra Due e Trecento da committenze che favoriscono sperimentazioni cruciali per gli sviluppi dell’arte figurativa italiana; Pietro Cavallini spicca in tale scenario.
Niente si sa della sua formazione, ma è certo il suo intervento, con mosaici e affreschi, in diverse chiese romane, le cui decorazioni attestano una nuova sensibilità per l’arte classica e per i problemi spaziali.
Forse in contatto con Arnolfo di Cambio, ai tempi in cui entrambi lavoravano in Santa Cecilia in Trastevere Pietro è chiamato nel 1308 a Napoli da Roberto d’Angiò; ormai famoso e con una schiera di collaboratori, viene compensato dal re con lauti stipendi.
Per le numerose modifiche all’interno della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, il capolavoro di Pietro Cavallini viene oggi a trovarsi nell’attuale coro delle monache di clausura, raggiungibile solo attraversando alcuni locali del convento.
Scoperti nel 1900 in stato frammentario, gli affreschi sopravvissuti, restaurati tempo addietro e già molto lodati nel XV secolo da Lorenzo Ghiberti, raffigurano lungo tre pareti uno straordinario Giudizio Universale, l’Annunciazione e alcuni brani di storie bibliche.
Il talento dell’artista salta agli occhi per la ricca tavolozza ancora evidente nelle variopinte ali dei serafini, per il saldo modellato dei volti, per l’individualizzazione e l’eccezionale potenza plastica delle figure.
Benché oggi quasi illeggibili, alcuni dannati, indagati con crudo realismo nei particolari anatomici, sono fra le più potenti raffigurazioni di nudo dell’epoca.
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