Il pianoforte – parte 1 di 3
IL PIANOFORTE parte 1 di 3
Mancava una settimana al Natale e le strade di Londra erano state già da tempo addobbate con luci colorate, ghirlande e festoni alle porte dei palazzi. Le vetrine dei negozi brillavano di luci e di ornamenti natalizi. L’atmosfera era gaia e una evidente allegria la si poteva scorgere nei visi della gente che animava le strade.
La città si preparava ad accogliere l’evento più importante dell’anno come meglio poteva. Il comune aveva fatto di tutto per abbellire le strade, con addobbi, abeti pieni di decorazioni in ogni angolo.
Solo in alcuni quartieri, quelli più poveri e disastrati, come Brixton, non erano intervenuti, troppa la differenza con il centro città. Le mura delle case di periferia erano annerite dallo smog, le strade in pessime condizioni di viabilità e, pensare di mettere luminarie e addobbi in quelle vie era considerata una spesa inutile.
Gli abitanti di quei quartieri erano una categoria di persone che stentava a trovare lavoro, senza redditi fissi, senza possibilità di poter usufruire di iniziative legate alle feste. Era gente povera e alloggiava in quegli enormi casermoni a tre piani tipici delle periferie.
L’amministrazione riteneva che non valeva la pena investire in quelle zone, non ne avrebbero tratto ricavi, nessuno avrebbe speso un penny in più per le feste natalizie. Meglio lasciare le cose così com’ erano.
La famiglia Dawson abitava al piano terra in uno di quei miseri appartamenti del quartiere. Il caseggiato era il più grande dei tre complessi che riempivano quasi interamente la zona e ospitava un gruppo di persone abbrutite dalla miseria e dalla sporcizia.
Lei Grace, era vedova e con una figlia tredicenne a carico, non aveva un lavoro fisso, solo occupazioni saltuarie e di poco conto. Non si sa come, madre e figlia riuscissero a tirare avanti, ormai erano diversi anni che vivevano in quella topaia e, nonostante tutto, erano ancora là.
I giorni trascorrevano monotoni come sempre e anche se mancavano pochi giorni al Natale, in quella casa non c’era un’aria natalizia, nessun albero addobbato, niente luci, niente alle finestre, solo una penombra irreale e un silenzio che odorava di polvere.
Tutto cominciò quando una mattina un furgone di quelli addetti alle consegne si fermò proprio davanti l’uscio di casa. I facchini una volta aperta la macchina, si diedero da fare all’interno. Trafficarono per un bel po’ di tempo tanto da incuriosire Grace che uscì di casa inviperita contro quel furgone messo proprio davanti la sua finestra.
“Allora si può sapere cosa ci fate quei fermi da un’ora? Ve ne volete andare? Su forza sloggiate, mi togliete quel poco di aria che c’è per non parlare della puzza di gasolio che quel coso sta buttando fuori. Andate via, prima che chiami la polizia, capito!”
“Stia calma signora, noi non siamo qui per divertimento, stiamo lavorando, dobbiamo fare una consegna in questo condominio, ci lasci fare, che la cosa è già abbastanza complicata. Anzi se vuole farci un piacere ci può dire a che piano abita la famiglia Dawson? Non vorrei che fosse ai piani alti sarebbe davvero una tragedia.”
Nel sentire pronunciare il suo nome la donna ebbe come un sussulto. Una consegna per lei, che cosa potevano mai consegnarle, non aveva ordinato niente a nessuno, non era in grado di poter comprare niente.
Si mise sulla difensiva, non sapeva dove stava l’imbroglio, ma era sicura che ci fosse, se veramente il nome del destinatario era lei, forse avevano sbagliato indirizzo, magari esistevano altre famiglie con lo stesso cognome.
“Sentite voi, secondo me avete sbagliato indirizzo qui non c’è nessuno con questo nome, vedete bene, qui è impossibile una consegna, siamo tutte famiglie povere senza lavoro e denari.”
“Eppure signora, l’indirizzo è giusto, Canterbury Cres, lo abbiamo controllato più volte, anche a noi è sembrato strano, conosciamo tutte le strade e, quando ci hanno detto di fare questa consegna qui, ci siamo meravigliati, sia per il posto che conosciamo bene, sia per quello che dobbiamo consegnare, ci è sembrato decisamente strano, impensabile!”
“Perché che cosa ha di speciale il vostro pacco? – domandò con interesse la donna, se il pacco era per lei voleva sapere che cosa conteneva prima di rifiutarlo.”
“Cara signora, come avete visto stiamo perdendo un sacco di tempo per cacciarlo fuori, è ingombrante e pesante pure, non vorrei che una volta messo fuori, poi non c’è nessuno e dobbiamo rimetterlo dentro, allora esiste questa famiglia, si o no?”
“C’è una famiglia con questo nome, ma non mi avete detto che cosa dovete darle, si può sapere o è un segreto nazionale?”
“Eh! Datevi una calmata signora, se proprio lo volete sapere è un pianoforte! Li conoscete? Uno di quegli strumenti con cui si possono suonare canzoni e musica. Certo chi lo sa fare, e qui in questo condominio, dubito ci possa essere uno che sappia utilizzarlo.”
“Ah! Così è un pianoforte, e dovete darlo alla famiglia Dawson? Allora siete proprio fuori strada credo che siate proprio pazzi, se proprio lo volete sapere la signora in questione sono io e abito al pianterreno, per vostra fortuna, ma non ho preso nessuno strumento. E’ come dico io, l’indirizzo è sballato.”
“Ancora con questa storia, – sbuffò uno dei due facchini – è giusto! Ed è tutto pagato in sede. Qualcuno ha voluto farvi un regalo e vi ha mandato questo affare, poi se lo usate o meno a noi non interessa, noi dobbiamo solo darvelo, l’uso che ne farete non è cosa che c’interessa, chiaro? Ora che sappiamo tutto, ve lo consegneremo e buonanotte!”
Detto questo, insieme con il compagno, finalmente riuscì a tirare fuori dal furgone un imballo enorme, a fasce di legno che, come aveva detto, doveva contenere un pianoforte. Per fortuna era uno del tipo verticale, quello più adatto per le abitazioni. Usando un paranco riuscirono a portarlo a terra su un carrello semovente, poi spingendo si avviarono verso l’uscio di casa Dawson.
“Ehi voi dove credete di andare con quel coso, ho detto che non ne sappiamo niente, non lo voglio e anche volendo non saprei dove metterlo. La casa è piccola e quello non ci serve mica.”
“Senta signora, per l’ultima volta, le ripeto che noi siamo solo i facchini che devono consegnare i pacchi. Se avete delle lamentele da fare dovete rivolgervi alla ditta. Noi, anche se non ci compete, adesso ve lo portiamo fino in casa va bene? Poi voi di quello che ne farete non c’interessa. Visto che insistete a non volerlo potete sempre venderlo, ci potete fare una bella sommetta e da quello che vediamo ne avete bisogno.”
Colpita dalle parole dell’uomo Grace si fermò a riflettere. L’idea di venderlo le era subito entrata nella testa come fattibile e senza rischi per nessuno. Un affare del genere doveva valere un bel po’ di quattrini e quelli erano sempre utili, decise di acconsentire allo scarico e diede anche una mano per trovare un posto adatto dove metterlo.
Spostò un divano e lo mise sotto la finestra, lasciando una parte di parete libera e fece posizionare il pianoforte proprio in quel punto, dopo averlo sistemato come si deve i due operai si accinsero a liberarle l’imballo che era molto ingombrante.
Quando ebbero finito uno dei due s’intrattenne un attimo con la speranza di ricevere una mancia per il lavoro eseguito anche con gli extra, ma il collega dopo aver dato uno sguardo alla casa e a come era messa, lo tirò per un braccio per portarlo via. Gli sussurrò sottovoce di lasciar perdere non era certo in quella casa che avrebbero potuto ricevere una mancia.
“Allora signora noi abbiamo finito, devo dire che comunque fa la sua bella figura. Un pianoforte in casa da sempre un tocco di originalità e di prestigio, arricchisce anche la più modesta delle abitazioni. Se può cerchi di tenerlo, le darà una nota di signorilità, grazie per l’aiuto e arrivederci.”
“Ragazzi, sono io che devo ringraziarvi per il fastidio che vi siete accollati, ancora non so che fare con questo affare fra i piedi, vedrò. Mi dispiace vorrei tanto darvi un pensiero per augurarvi buon Natale ma…. Accettate i miei auguri come quelli di una mamma e scusatemi se prima mi sono comportata in modo scorretto, non era certo con voi che imprecavo, ma con chi ha avuto questa brillante idea.”
“Non si preoccupi signora va bene così, non è il caso, stia bene e, arrivederci di nuovo.”
Usciti i due operai, Grace si mise seduta a rimirare quello strumento e, presa dalla malinconia, ripensò al suo passato, quando in un tempo che le sembrò infinitamente lontano, lei lo usava tutti i giorni. Rivide sé stessa seduta al piano, la sera, allietare la famiglia con la sua musica. Suo padre le aveva comprato un piano simile a quello che aveva davanti, proprio per incoraggiare la piccola di casa a esprimere la sua bravura.
Era davvero brava, aveva preso molte lezioni con un maestro di musica e le sue agili mani scorrevano sui tasti con la leggerezza di una libellula. Si guardò intorno e non poté evitare di confrontarsi con quello che lei era prima del matrimonio e quella che era diventata adesso.
Come era stato possibile un cambiamento così radicale, come era riuscita a cadere così in basso. Il mondo che la circondava era lontano anni luce da quello della sua giovinezza. Si guardò le mani e le vide rovinate, quasi consunte, ossute e senza grazia, unghie lunghe e sporche, di uno sporco difficile da togliere, quello della miseria, della cattiva alimentazione, del continuo contatto con acqua fredda che le spaccava la pelle.
Chissà, si chiese, se erano ancora in grado di scorrere su una tastiera. Guardava quel piano spinta dalla curiosità e dalla voglia di provarlo. Quello che la frenava oltre al timore di non essere in grado, era la preoccupazione del vicinato se avessero sentito uscire dalla sua casa anche solo una nota, sapeva bene il tipo di reazione che avrebbe avuto.
Possedere un piano era un lusso che in quella zona era da considerarsi quasi assurdo. Doveva venderlo, guadagnare dei soldi che avrebbero risollevato un po’ la sua situazione finanziaria. Era seduta sul divano, lontano dall’oggetto che se ne stava là immobile, ma che emanava un richiamo irresistibile.
Quella sequenza di tasti bianchi e neri, non la vedeva da tanti di quegli anni che le sembrò non fossero mai esistiti. Si alzò tremante, percorsa da un brivido di paura per quello che stava per fare, si avvicinò ai tasti e li guardò con uno sguardo allucinato, come un alcolizzato potrebbe guardare una bottiglia di gin combattuto dalla necessità di bere e dalla scarsa volontà di allontanarsi dal suo male.
Con gli occhi quasi febbricitanti si avvicinò ancora, come se volesse abbracciarlo e sentire ancora dentro di lei quel calore di una volta, il calore dimenticato della sua gioventù, presa da un attimo di smarrimento dovette appoggiare le mani per non cadere e nel farlo toccò i tasti, ne uscì un suono improvviso e forte che risuonò fra le grigie pareti come un urlo. Sobbalzò a quel rumore informe e dovette sedersi per non svenire.
Restò attonita, nel silenzio che seguì quello strano suono sgraziato, piano piano si riprese e non potendo resistere alla tentazione appoggiò una mano lievemente sulla tastiera senza premere, il solo contatto con i tasti la fece rabbrividire.
La mano quasi inconsciamente si predispose nella posizione di accordo e nello stesso tempo l’altra mano si mise sugli altri tasti, premette entrambe le mani e ne uscì un suono melodico senza una particolare armonia, ma almeno aveva la parvenza di un suono gradevole. La mano destra percorse tutta la tastiera e le dita ritrovarono parte della perduta agilità.
Le venne in mente una nenia di quando era piccola e a occhi chiusi ripercorse le note ripetendole mentalmente mentre le suonava. L’aria si riempì di suoni melodiosi. Lo squallore che regnava nella stanza sembrò scuotersi e ricoprirsi di una polvere dorata, il fascino di quella musica fece scomparire le macchie d’umidità dalle pareti che diventarono come colorate d’azzurro, l’eco che rimbalzava da muro a muro si spandeva intorno a riempire tutti gli spazi.
La finestra aperta fece sì che la musica uscisse dai confini di quelle mura per estendersi nella strada e nelle abitazioni limitrofe. Mai si era sentita in quella strada una musica così lieve, dolce, sembrava il sospiro di un neonato.
La gente cominciò ad affacciarsi alle finestre per seguire la provenienza di quelle note celestiali. Grace come in trance aveva ritrovato nel profondo della sua anima l’antica conoscenza e ora non smetteva di suonare.
Martellava sui tasti con una nuova vigoria, appassionata, esprimeva in quella sua frenetica voglia di musica tutta la sua rabbia, la frustrazione di anni di sacrifici estremi, il marito disoccupato e morto in seguito a un incidente, la piccola Emma senza futuro.
Tutto si riversava in quelle mani che diventavano sempre più veloci, incalzanti, capaci di trarre da dei semplici tasti d’avorio suoni così sublimi. Dopo tanto ardore nello sfogarsi su quel piano Grace, sfinita, si fermò. Era esausta, senza rendersene conto aveva suonato per quasi un’ora di seguito.
Seduta sullo sgabello ora ansimava e si guardava le mani, erano arrossate, stanche, le dolevano i polpastrelli, si toccò la fronte, scottava. Era tutta in subbuglio, non riusciva a respirare. Fu il suono del campanello alla porta che, squillando, la distrasse da quel momento di faticosa estasi.
Riportata alla realtà, chiuse immediatamente il piano e andò ad aprire. Era la sua vicina di casa Guendaline Collins, un’anziana zitella che spesso veniva da lei a chiacchierare, spettegolando su tutti i condomini del complesso.
“Cara Grace, ma che sta succedendo in questo palazzo, hai sentito anche tu nell’aria una musica? Ora dico io, è vero che siamo in tempo di Natale e di musica se ne sente parecchia in giro, ma qui da noi che abitiamo in questa casa da molti anni, mai si era sentito qualcosa del genere.
Una musica che proveniva dal nostro palazzo e precisamente dal tuo appartamento. Non era particolarmente bella, ma ti prendeva alla gola, mi sembravano grida umane, lamenti di una donna che soffre. Tu che hai da dire? Era un pianoforte se non mi sbaglio.
Senti Grace, lo sai che io non sono incline al pettegolezzo, ma devo ammettere che mi piaceva quella musica, si sentiva che era suonata da una mano esperta. Molto brava, non m’intendo molto, ma so riconoscere una musica bene eseguita. Allora tu che cosa puoi dirmi? Ti vedo agitata, sei rossa in viso come se avessi fatto un notevole sforzo.”
“Che vuoi che ti dica Guendy, oggi è una giornata molto strana, sono successe molte cose a dir poco insolite non so se hai visto stamattina la presenza di un furgone davanti casa mia.”
“Certo che l’ho visto, cosa credi, mi sono chiesta per tutto il tempo che diavolo volevano quei due, ho visto anche che hanno scaricato una specie di scatolone di legno, doveva essere un mobile o qualcosa del genere, lo hanno portato da te, che cos’era? Mi fai vedere, dove l’hai messo?”
“Senti Guendy, – Grace era seccata dall’insistenza dell’amica – non ti pare di esagerare adesso? Permetti che le cose di casa mia restino in casa e non devono per forza essere alla mercé di tutti.”
“Che cosa? – fece quasi inorridita la vecchia zitella – come ti permetti di dire che sono una pettegola, questo non me lo aspettavo da te, ti ritenevo un’amica e mi pugnali così alle spalle! Certo quello che fai a casa tua sono affari tuoi, ci mancherebbe, ma da amiche di vecchia data pensavo che potessi avere un po’ di fiducia in più verso di me.
D’accordo se non vuoi dirmelo, non importa, tanto io lo so già, volevo solo che me lo dicessi tu, da amica! Cosa credi che sia stupida, ho visto benissimo che quel grosso contenitore, poteva contenere solo un pianoforte. Ecco che cosa ti è arrivato e la musica che ho sentito, anzi, che abbiamo sentito tutti nel palazzo, era bellissima, non pensavo proprio che sapessi suonare così bene.
Anche questa tua dote mi hai tenuta nascosto, davvero una bella amica, mi sa che dovrò rivedere un po’ la mia disponibilità. Quando hai avuto bisogno, non mi sono mai tirata indietro, ho fatto da babysitter alla tua piccola, ho collaborato anche in termini economici nei momenti più difficili, per quello che ho potuto, e tu? Mi hai tenuto nascoste molte cose di te.”
“Uffa Guendy, quanto la fai lunga, ho capito, non credere che non riconosca e apprezzi la tua disponibilità nei miei confronti, ma come stavo dicendo prima, oggi è stata una giornata complicata, tutto potevo immaginare meno che qualcuno mi regalasse un pianoforte.”
“Come! Te lo hanno regalato?”
“Certo, non penserai mica che lo abbia potuto comprare io, sai come siamo messe io e mia figlia, figurati, il pensiero non può nemmeno avermi sfiorato. I due che lo hanno portato, hanno detto che qualcuno ha pagato tutto, compreso il trasporto e che dovevano consegnarlo a me.
Da questo, poi, alla musica il passo non è stato molto difficile, come un’eruzione vulcanica sono scoppiati come un’eruzione di un vulcano tutti i ricordi di un tempo, così lontano, che faccio fatica, anche adesso, a pensare che siano mai accaduti. Noi ormai ci conosciamo da molti anni e, diciamo, mi hai visto sempre con questi stracci addosso, che cosa vuoi che ti dica, prima del matrimonio, quando ero giovane, la mia vita era diversa, molto diversa.
Mio padre non era un nobile né un milionario, ma un affermato e stimato commerciante. La mia casa brillava di luci e di profumi. Poi non so, che cosa è successo, in un niente mi sono ritrovata in queste condizioni. Questo regalo che qualcuno ha voluto farmi ha riaperto vecchie ferite, ricordi di un tempo felice, è stata una malvagità, farmi ricordare chi ero e che cosa sono diventata adesso.”
Grace interruppe di parlare e si mise le mani in faccia per nascondere il suo imbarazzo, piangeva! La sua amica cercò di consolarla, l’abbracciò con le sue grasse braccia, parlandole.
“Dai non fare così, è stata un’esecuzione bellissima, si sente che hai ancora la mano buona, non credere che io non sappia apprezzare la buona musica. Vivere in queste topaie non vuol dire che siamo nate e vissute sempre qui. Come hai detto poco fa, avevi una vita più che felice con la tua famiglia, cosa credi che io non abbia gli stessi ricordi.
Anche la mia famiglia era agiata e rispettabile, mio padre era un notaio, capisci? Una famiglia borghese, senza particolari problemi, poi successe qualcosa che strada facendo mi ha portato a vivere qua dentro. Il condominio dei falliti.
Io conosco le storie di quasi tutti quelli che ci sono qua dentro, a parte una coppia che proprio non si può nemmeno definire tale, gli altri sono tutti reduci da vite certamente migliori di questa. Non ti scoraggiare, hai nelle mani un tesoro e se saprai usarlo vedrai che sarai in grado di cambiare questa vita di stenti.”
“Grazie mia cara, ma non vedo come potrei fare, d’accordo ho un pianoforte che non mi è costato niente e poi? Che ci faccio mi metto a suonare per la strada e cerco l’elemosina?”
“Non lo dire nemmeno per scherzo Grace, adesso sei ancora sottosopra e non ti rendiconto, ma questa è un’opportunità che ti è stata offerta, dovresti essere grata a chi ha avuto questo pensiero. Sei proprio sicura di non aver scritto una letterina a Babbo Natale?”
“Che cosa vai a pensare, stupida, ti sembro tipo che potrebbe fare questo genere di cose?”
“Non lo so, sotto sotto, tuttavia, qualcosa che abbia a che fare con il Natale ci deve essere. Ora io me ne vado, tu riposati se puoi, ti vedo distrutta. Domani ne riparliamo a mente fredda, intanto vedi cosa dice tua figlia. L’unica cosa che ti prego di non fare, assolutamente, è quella di farti convincere a vendere quel piano. Ancora non lo sai, ma quello sarà il punto di partenza della tua rinascita.
Ora vado, devo mettere a bollire le solite verdure per la cena. Noi anziane dobbiamo mantenerci leggere, la sera prima di andare a letto, altrimenti ci vengono gli incubi.”
“A proposito, che sbadata, hai fatto bene a ricordarmelo, anche io devo farlo questa storia del piano mi ha distratto, spero di fare in tempo, tanto sono solo due patate, la ragazzina, arriva sempre affamata.”
L’amica la guardò in silenzio e scosse il capo, gran brutta situazione quelle di Grace, avrebbe fatto volentieri un gesto di amicizia dandole un po’ delle sue verdure, lei ne aveva e non le mangiava tutte, ma conosceva bene l’amica, non avrebbe mai accettato per orgoglio.
Chinò il capo rassegnata e la strinse a sé nel saluto prima di uscire. Andata via la vecchia zitella, Grace si dedicò subito alla cucina. Non che avesse molto da fare, le solite patate lesse con l’ultimo pezzetto di burro rimasto e del pane che era avanzato del giorno prima.
Espletata l’operazione cucina tornò a sedersi sul divano e si mise a guardare quel piano. Era in legno, di un colore scuro, un tempo doveva essere stato lucido e brillante, adesso invece presentava segni d’invecchiamento e diverse abrasioni in vari punti. La marca era stata tolta, era chiaramente un oggetto usato, la cosa che aveva notato era la perfetta musicabilità, era stato accordato alla perfezione.
Quando era giovane il suo, quasi uguale al modello che aveva davanti, era di una nota marca tedesca, ma nelle sue passeggiate in città si fermava spesso davanti alle vetrine dei negozi musicali, per vedere quelli a coda che erano i suoi preferiti. Sognava di riuscire a esibirsi in un concerto proprio con uno di quelli.
Il piano a coda significava essere arrivati all’apice del successo. per quanto fosse di buona qualità, quello che lei usava a casa era ben poca cosa a confronto. Era ancora intenta a fissare quell’oggetto e a ricordare i tempi andati, quando entrò Emma.
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