IL FIUME E IL DESERTO – Parte diciannovesima: Il morto vivente
Giugno. Anno del Signore 1530.
Ahmed uscì furtivo dalla cella, salutò i beduini di guardia fuori dall’atrio, che dopo un’accurata perquisizione lo lasciarono andare e si incamminò verso gli alloggi di Fatima.
Dopo essere stato orientato sugli ultimi avvenimenti aveva finto di accettare l’incarico di controllare Iside per conto di Freja. La rivalità tra le due donne avrebbe giocato a suo favore. La sua parte professionale le considerava ambedue nemiche, ma per la regina provava un odio particolare perché l’aveva reso schiavo senza alcuna volontà.
Cercò di non farsi prendere dalle emozioni e di agire con freddezza per mettere in atto il piano proposto da Silvana mentre camminava verso gli alloggi di Fatima.
La di lei rivale e Gabriele l’avevano informato che Fioravante era stato ipnotizzato e ridotto a una specie di morto vivente. Una precauzione per il fatto che il semplice sonno non era bastato. Due beduini montavano di guardia alla camera. Lo riconobbero e lo fecero passare.
Iside sedeva su uno scranno. Il tono con cui lo accolse era duro e sprezzante.
«Sono delusa che tu abbia visitato gli altri due prima di me dopo il tuo ritorno, schiavo.»
Le parole lo colpirono come un pugno nello stomaco, aumentando l’astio che già provava per la perfida sovrana. Cercò di recitare la parte senza far trapelare emozioni. La consumata esperienza da spia lo aiutò.
«Padrona, perdonatemi, ma ho agito per potervi informare di un inganno che quei due stanno tramando alle vostre spalle.»
Iside assunse un’espressione tra l’indignato e il curioso prima di domandare.
«Cosa hanno in mente?»
«Hanno osato incaricarmi di controllare che Vostra Maestà non trafughi il talismano.»
L’indignazione nel volto si trasformò in un sorriso sardonico che degenerò in una breve risata. Dopodiché proferì.
«Povera stolta, ti crede diventato soltanto un agente al servizio del Triumvirato, ma non sa dell’ordine primario indotto di fedeltà a me fino alla morte. E il tuo piccolo cervello, ormai in mio potere, è capace di ingannarli. Sicuramente hai finto di accettare e fare il loro gioco.»
«Padrona, ho chiesto di recarmi nella cella delle prigioniere con la scusa di saggiare l’efficienza delle guardie beduine.»
«Bene, che credano che tu sia i loro occhi e orecchie. Ma adesso voglio sapere cosa ne è stato del gruppo d’assalto.»
«Innanzitutto sono finalmente riuscito a sapere chi sia protetta dai Messaggeri e chi no. Poi, quando non mi sono serviti più, li ho riempiti di piombo con un intero caricatore di pistola.»
L’espressione esultante di Fatima sembrò illuminare la stanza.
«Cosa aspetti a dirmelo, ignobile schiavo?»
Ahmed trattenne la voglia di crivellarla di colpi con la pistola che portava alla fondina e iniziò a mentire, come se ogni bugia fosse stata un proiettile.
«La femmina chiamata Silvana, figlia di Fioravante, non è in contatto coi Messaggeri e nemmeno la di lei figlia. E neppure quella di Loretta, la sensitiva che porta al collo il talismano. L’americana, la danese e la scozzese, invece, lo sono.»
«Come è possibile? Se il druido è in contatto con un Messaggero, per forza tutta la sua generazione deve esserlo.»
«Fioravante non è protetto da alcun Messaggero, padrona. E Loretta lo è divenuta solo perché qualcuno le ha donato il talismano, secondo un antico rito, che Fioravante conosce.»
Il suo volto si rabbuiò, ma un attimo dopo tornò a illuminarsi, prima di proseguire.
«Ascoltami bene, servo. Fioravante si trova in uno stato tra la vita e la morte. Sembra un cadavere rigido e freddo, ma è capace di udire, capire e soffrire. Ora che so che non è protetto da alcun Messaggero, posso farmi svelare le fasi del rito.»
«La vostra astuzia è pari solo alla vostra bellezza, padrona» adulò Ahmed.
«Ma le ronde giapanghesi di quella maledetta Lukia controllano ogni mio movimento. Prima di recarmi da Fioravante ho bisogno che tu mi spiani la via.»
«Ottima idea, padrona. Ora che credono che io sia i suoi occhi e orecchie non ne avrà bisogno.»
«Non sei tanto stupido come sembri, schiavo. E adesso vai e sbrigati.»
***
Fioravante soffriva. Niente era peggio di sentirsi morto pur essendo cosciente, udire il suono del silenzio rotto da passi lontani e vedere ogni giorno il medesimo panorama davanti agli occhi impossibilitati a chiudersi: buio nero. Sentì passi avvicinarsi. Niente di nuovo, ogni tanto qualche guardia faceva il suo ingresso a controllare che lui fosse sempre supino, freddo e immobile.
Qualcuno entrò. Una fiaccola illuminò l’ambiente mostrandogli il soffitto biancastro.
Una voce sussurrò nell’orecchio. La morte fisica si ravvivò di emozioni. Dopo giorni, qualcuno gli parlava.
«Sono un agente della Serenissima Repubblica. Sono stato ipnotizzato dal Iside e ridotto in sua schiavitù, come il mio compagno che vi ha ingannati e fatti arrestare. Ma grazie ai talismani in possesso dell’agente Mehmet sono stato liberato dalla servitù mentale anche se la regina mi crede ancora in suo potere. Ho visitato vostra figlia Silvana e lei ha orchestrato un piano di fuga. E adesso vi spiego ogni dettaglio.»
***
Mai come prima Lucrezia si era sentita degna di portare il cognome Borgia. Il grande Machiavelli aveva scritto che uno dei migliori metodi per liberarsi di un avversario era di portare le sue guardie del corpo a tradirlo. Fatima aveva ridotto Ahmed al loro servizio e lei al proprio.
Non sapeva come funzionassero gli ordini indotti della peculiare prerogativa della regina, ma non appena lei, figlia di Rodrigo e sorella di Cesare, l’aveva adulato e lodato per la sua astuzia, e promesso l’Egitto non appena eliminata Iside, quello aveva reagito come qualsiasi servo avrebbe fatto: cambiare padrone.
Se ne era accorta fin dal momento in cui Ahmed si era presentato nei suoi alloggi prima ancora di recarsi da colei che l’aveva portato a tradire l’Italia. Era bastato accennare a come la regina lo trattasse come schiavo e Ahmed aveva reagito. Stupida dilettante.
Il potere si otteneva lisciando e lodando, promettendo mari e monti, senza poi mantenere. Ma questo quel servo non poteva immaginarlo, ebbro d’odio per colei che gli amministrava frustate verbali offendendolo nonostante i suoi servigi. E da quel momento, Ahmed avrebbe controllato la rivale.
Se soltanto quello avesse potuto entrare nella cella avrebbe anche potuto prendere il talismano e portarglielo, soffiandolo sotto il naso di quella reginetta da quattro soldi. La leggendaria pazienza della famiglia Borgia le ridiede la calma atta ai grandi progetti. Al momento avrebbe dovuto attendere.
Fatima doveva prima recarsi in Francia a ridurre in suo potere Francesco I. Il piano che aveva in testa era degno di un nuovo capitolo del Principe del grande Niccolò: Ahmed avrebbe convinto Iside a consegnargli di nascosto l’anello-chiave poco prima della partenza.
E mentre lei era via sarebbe stato lui a trafugare il talismano, ma non per le mire di quella Cleopatra da pantomima, ma l’avrebbe consegnato a lei, l’ultima dei Borgia, figlia di un papa di nome Alessandro, sorella di un Cesare.
E il Sole all’Orizzonte le avrebbe conferito il potere massimo sul mondo. Aprì il cassetto e ne estrasse la copia perfetta, forgiata da un orafo, che Ahmed avrebbe posto al collo di Loretta, sostituendola con quella vera. Quando Iside sarebbe tornata dalla Francia non avrebbe sospettato di nulla.
***
Satanico ripensava alle calde notti a letto con la Duchessa nella cabina della portaornitotteri. Cinque notti da sogno che avevano alleviato la noia del lungo viaggio facendolo sentire nuovamente giovane. Decise che il giorno in cui avrebbe ridotto le sue ora complici a schiave, la Duchessa sarebbe invece divenuta la sua compagna, l’unica regina degna di sedere al suo fianco per governare il mondo.
Qualcuno bussò alla porta disturbando i suoi sogni. Lucrezia si stagliò con una strana espressione, o almeno un’espressione che non aveva mai notato prima di allora.
«Shimada è tornato con il pieno di lava da Stromboli» informò. Ma la luce negli occhi mentre pronunciava il nome dell’ammiraglio gliela presentò come donna normale. Innamorata? Forse. Che Lucrezia Borgia fosse in grado di provare amore? Forse il giapanghese non era una semplice pedina nel gioco della figlia e sorella di due maestri dell’intrigo. Ciò che provava per la Duchessa stava forse aprendogli la mente: anche i servi dell’Ombra avevano sentimenti al di là della brama di potere.
CONTINUA…
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.