IL FIUME E IL DESERTO – Parte diciottesima: Operazione Cavallo di Troia

Giugno. Anno del Signore 1530

Lucrezia Borgia dedicò giorni alla memoria di suo fratello Cesare, del quale ammirava il talento nel riuscire a capovolgere situazioni avverse trasformandole in vantaggi.

Quell’inetto di Gunnersen aveva voluto fare di testa propria a Venezia e la cattura del Doge era miseramente fallita. Il piano di far prigioniero il Re di Francia era stato quindi rimandato. L’ornitottero col messaggero era arrivato appena in tempo per fermare i finti svizzeri dall’assalto al palazzo reale.

Tutto sommato, il piano di riserva che aveva orchestrato era molto più machiavellico dell’originale. Benedì il grande Niccolò e si convinse che suo fratello avrebbe usato la nuova strategia, che, pensandoci, aveva doppio vantaggio.

Non appena Fatima entrò negli appartamenti di Lucrezia scortata dalla guardia del corpo beduina, i suoi samurai fecero il saluto all’illustre ospite. Sembrava aleggiare nell’aria che i giapanghesi e gli egiziani si sentissero molto più alleati di chi li comandava. Dopo i finti convenevoli, Lucrezia prese parola.

«Maestà, a causa di quanto è accaduto a Venezia, vi è stato tolto l’onore di poter soggiogare alla vostra volontà il Doge. Per evitare il fallimento anche con Francesco I, ho in mente un nuovo piano.»

Tacque, attendendo la reazione della regina. La curiosità era palese in quegli occhi neri, dietro ai quali si celava di sicuro il piano di quella per trarne dei vantaggi. Lucrezia era abituata agli intrighi e non sarebbe stata quella novellina divenuta sovrana da poco grazie a lei a fregarla. Proseguì.

«Conosco un detto delle vostre parti: “se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto”. A voi l’onore di penetrare nel palazzo reale a Parigi. Ascoltate: i finti svizzeri fingeranno un assalto. Durante il trambusto, un nostro ornitottero con lo stemma del Leone giungerà a portar soccorso al re. Un gruppo di danesi e giapanghesi, travestiti da fanti d’aviazione italiani verranno sbarcati dal velivolo direttamente nel palazzo. E voi sarete tra loro. Non appena a cospetto del Re, lo ipnotizzerete.

Putroppo dovrò sacrificare i danesi e il condottiero svizzero, ma non appena l’ordine sarà stato ristabilito a Parigi, il Re, ormai soggiogato alla vostra volontà, accuserà l’Italia di aver orchestrato il pronunciamento degli svizzeri e dichiarerà guerra alla Repubblica. E non solo la Francia, ma anche l’Impero. E all’inizio del mese prossimo la Repubblica si troverà circondata da nemici: ottomani a Oriente, francesi a Occidente, tedeschi a Nord.

E non appena Shimada avrà distrutto la loro forza aerea, le contrade d’Italia verranno invase da truppe francesi, lanzichenecchi e giannizzeri. E i gallinacei si beccheranno l’un l’altro fino a quando arriveremo noi a ristabilire l’ordine. Cosa ne pensa vostra Maestà?»

Fatima rispose risoluta: «Mi sembra un piano ben congegnato, ma datemi un giorno per rifletterci.»

Certo, pensò Lucrezia, un giorno per trovare cosa averne in cambio. Tutto l’oro del mondo, reginetta, basta che ti levi di torno per un po’ dandomi il tempo per impadronirmi del talismano.

                                                                        ***

Era stato lo stesso agente Ahmed a pianificare l’operazione Cavallo di Troia. Molto semplice: fingendosi ancora sotto l’influsso del potere ipnotico di Fatima si sarebbe presentato alla base sotterranea e raccontato di aver eliminato la forza d’attacco italiana. Avrebbe per un paio di giorni studiato la dislocazione dei beduini e dei samurai all’interno e quindi aperto l’ingresso segreto. I pochi uomini non sarebbero stati abbastanza per sconfiggere le forze del Triumvirato, ma al momento si trattava di liberare i prigionieri e metterli in salvo senza dare l’allarme.

Il sole era appena sorto quando si avvicinò con aria sicura all’ingresso. La sentinella beduina lo riconobbe. Schiacciò una pietra e la sabbia si mosse. Una botola si aprì. Lui si accomiatò e scese la rampa di scale incamminandosi per il dedalo di corridoi cercando di orientarsi. Non essendo più sotto l’effetto ipnotico, aveva dimenticato tutto della base.

Sapeva dell’ingresso soltanto dopo aver spiato per giorni l’andirivieni nemico. Continuò a camminare sperando di non incontrare nessuno che si accorgesse quanto fosse spaesato. Fu allora che udì delle voci in italiano. Una di donna e quella di un uomo provenienti sa dietro una porta. Non v’era alcun dubbio: chi stava discutendo animatamente erano quella Freja e il suo compare. Parlavano tanto forte che riuscì a udire ogni parola dal di fuori.

«Niente di niente. La morta mente. Le portaornitotteri italiane non esistono. Mi meraviglio come tu ti sia lasciata abbindolare da quella sibilla in fasce» insisteva l’uomo. La donna ribatté.

«Sei sicuro di aver scandagliato ogni miglio?»

«Sei tu ad aver localizzato questo posto nel Venezuela spedendomi in quel luogo infernale. Abbiamo perduto giorni preziosi.»

Ahmed trasalì. Quelli sapevano della forza d’attacco. Ma chi gliel’aveva svelata? Maledì il fatto di non ricordare nulla dei giorni in cui era stato schiavo della volontà di Fatima. Una morta in fasce? Una mummia probabilmente. Fatima aveva dei poteri paranormali e ora quelli sapevano delle tre portaornitotteri. Una fortuna che l’avesse saputo soltanto dal capitano Santus dopo essere stato liberato dall’influenza della Regina. In caso contrario l’avrebbe certamente rivelato sotto ipnosi e loro avrebbero scoperto la vera ubicazione.

C’era solo una cosa da fare. Bussò alla porta. Fu Freja ad aprire. Il volto furente si aprì un sorriso. Poi esordì.

«Bentornato, agente Ahmed. Se sei in vita deduco che altri non lo siano più.»

Attese una risposta.

«Corretto, signora. Non solo le spie giaciono ora sotto la sabbia, ma prima di averli mandati all’Inferno sono riuscito a sapere cose che è mio onore riferirvi.»

«E sarebbero?»

«Il Doge ha sparso la falsa voce di una forza d’attacco consistente in tre portaornitotteri nascoste in America.»

Lo sguardo trionfante di Gabriele la fulminò. Freja domandò.

«Falsa voce? A quale scopo?»

«Propaganda, non solo, ma anche per mascherare la lentezza con cui la reale costruzione di quei colossi sta procedendo. Saranno pronte soltanto a fine anno. Parole del Capitano Santus, che avrebbe avuto l’onore di comandarle, prima di cadere sotto i colpi della mia pistola.»

Un lampo di gioia sembrò brillare negli occhi della donna, che, con aria di trionfo, volgendo la testa verso l’uomo, esclamò: «Come vedi, la mummia non ha mentito. Ha soltanto pronosticato un futuro plausibile. Per quel tempo avremo già vinto la guerra.»

«Neppure io mi ero sbagliato allora» proferí l’uomo effeminato. «Quegli inetti sono ancora indietro nella produzione. Ma come vedi, è molto meglio fidarsi di un agente vivo e vegeto piuttosto di una sibilla morta da secoli.»

Sorrise ad Ahmed e lodò.

«Hai fatto un ottimo lavoro. E ora vai a riposarti.»

«Non prima di venir aggiornato sugli ultimi sviluppi. Giorni nel deserto mi hanno lasciato nell’ignoranza.»

                                                                               ***

Silvana udì dei passi al di là delle sbarre. Si aspettò l’ingresso di quella maledetta regina o dell’altra degna compare. Finse di dormire, come al solito. Con gli occhi socchiusi scrutò quale delle due venisse a fare loro visita. Non era una donna, bensì un uomo, un arabo a giudicare dagli abiti. Si muoveva guardingo. A un tratto bisbigliò.

«Sono venuto a liberarvi. Non c’è un attimo da perdere. Se fingete di dormire alzatevi al più presto.»

Forse era una trappola, ma Silvana non aveva più niente da perdere e decise di rischiare.

Si alzò e corse verso le sbarre. L’uomo parlò con aria concitata.

«Vostro marito è fuori, poco lontano, assieme al capitano Santus e altri agenti. Il Proteus è pronto. Devo solo sapere dove sono le chiavi per aprire questa cella.»

Silvana rispose: «Non ci sono chiavi. La Regina ha un anello per aprire la porta a sbarre.»

«Un problema» rispose l’uomo. Silvana confermò con un cenno della testa e riprese.

«E neppure l’unico: Fioravante, mio padre, non è più chiuso qui.»

«Lo so» rispose l’uomo. «E so anche dove si trova ora, è vivo.»

La gioia della notizia le diede l’euforia per congegnare un piano di fuga.

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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